Economia e lavoro | 26 luglio 2025, 07:00

Dal diritto di parola alla galera: il fragile equilibrio tra libertà d'espressione e giustizia nell’era digitale

L’evoluzione sociale ha trasformato la comunicazione passando da quella non simultanea a quella digitale, in maniera immediata, sincrona

Dal diritto di parola alla galera: il fragile equilibrio tra libertà d'espressione e giustizia nell’era digitale

L’art. 21 della Costituzione recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», ma anche che «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume».

L’evoluzione sociale ha trasformato la comunicazione passando da quella non simultanea (via telefono o via posta cartacea) a quella digitale, in maniera immediata, sincrona. Capita quindi che i commenti e i pensieri siano in forma scritta e pubblica e che contengano giudizi con l’erronea convinzione di esercitare il diritto di esprimere la propria opinione, senza eventuali ripercussioni.

L’evoluzione dei mezzi di diffusione nell’attuale epoca telematica si manifesta anche con il Web (dall’inglese world wide web, in italiano rete dell’intero mondo). I social network sono diventati i mezzi di comunicazione più diffusi al mondo: ogni parola pubblicata è leggibile e consultabile da chiunque e in qualsiasi luogo. Questo canale di comunicazione, la cui potenza diffusiva dà anche molti vantaggi, è diventato terreno di numerosi abusi.

I comportamenti su internet sono tecnicamente chiamati immateriali, ma tale condizione non consente di tenerli esclusi dalla possibilità di trasformarli in condotte penali e quindi di inquadrare reati perseguibili dalla magistratura.

Il delitto (sì, proprio così) maggiormente consumato su Facebook è quello della diffamazione aggravata previsto dall’art. 595, comma terzo, del codice penale che prevede la pena della reclusione fino a tre anni; si concretizza quando una persona, comunicando con altre, offende la reputazione di un’altra assente.

La Corte di cassazione penale, sez. V, con sentenza 8.4.2024, n. 14345 ha riaffermato che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata poiché la condotta realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o quantitativamente apprezzabile, di persone e non può dirsi posta in essere col mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad un'attività di informazione professionale diretta al pubblico».

Un altro delitto (contro l’ordine pubblico) ancora più grave è quello dell’istigazione a delinquere previsto dall’art. 414 del codice penale. L’istigazione, quindi l’incitamento, si realizza quando una persona pubblicamente induce qualcuno a commettere uno o più reati. Il nocciolo del reato è l’elemento soggettivo che consiste nella volontà di commettere il fatto in sé senza considerare il motivo per cui si agisce. Il codice penale distingue la punizione; se si tratta di istigazione a commettere delitti (ad esempio l’omicidio) la pena sarà quella della reclusione (galera) fino a cinque anni, mentre se si tratta di istigazione a commettere contravvenzioni la pena sarà una multa in denaro.

Il Parlamento dovrebbe avere il coraggio di alleggerire il peso dei reati diffamatori, tecnicamente chiamati delitti contro l’onore. È anacronistico pensare di considerarli delitti al pari della condotta dell’istigazione e dell’incitamento perché nascono da due stati d’animo negativi diversi. Se un’automobilista boccia la mia auto è tenuto a pagare il danno, non certamente andrà in galera. Lo stesso concetto è (dovrebbe essere) sovrapponibile ai reati che riguardano l’onorabilità. Non è più pensabile che ancora nel 2025 il codice penale preveda la galera per chi offende l’altrui reputazione. Minore, invece, è la posizione di chi diffama in conseguenza di una provocazione: in questo caso il codice penale considera la condotta non punibile.

Non costituisce reato, come argomentato recentemente dagli Ermellini – sez. V, sentenza 13.6.2025, n. 22341 –, la posizione penale di chi scrive post o commenta pubblicamente con espressioni di forte asprezza o di cattivo gusto, anche se pertinenti al contesto, a condizione che non trascendano in una gratuita e immotivata aggressione alla sfera personale.

Il punto focale oggi è che bisognerebbe raggiungere il giusto equilibrio tra il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero senza ledere altri diritti – come la riservatezza e la reputazione – e la protezione giudiziaria per non finire massacrato per avere avuto il coraggio di dichiarare una realtà oggettiva. La verità non deve mai fare rima con censura: davanti a troppo disequilibrio bisogna dimostrare fermezza e rompere il politicamente corretto.

Nell’attesa però di una riscrittura più chiara delle norme per renderle meno interpretabili dai giudici, ogni volta che scriviamo in pubblico (esempio: Blog, Facebook, Twitter, Instagram, ecc.) dobbiamo fare attenzione. Prima di cliccare su invio, rileggiamo e pensiamo. La prima regola da seguire per vivere serenamente – e non solo nel mondo di Internet – è quella dell’educazione e della continenza, a prescindere dal titolo di studio, dal ruolo sociale e dalle grandi o piccole capacità di ragionamento. In fondo, per ricordare una memorabile affermazione del filosofo Norberto Bobbio «I nostri diritti non sono altro che i doveri degli altri nei nostri confronti».

Pierluigi Lamolea

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Barbara Gabriella Renzi

Salve! Mi chiamo Barbara Gabriella. Sono appassionata di filosofia, psicologia e letteratura. Ho scritto e scrivo di filosofia e anche i miei brevi racconti hanno sempre un risvolto filosofico e psicologico.
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Mi piacciono i gatti e anche i cani ma purtroppo vivo senza animali. Adoro il mare e la sua canzone e la montagna d’estate quando si cammina sui sentieri e ci si immerge nella natura. Tra i viottoli e le mulattiere, lì, i miei passi danno il ritmo ai miei pensieri. Vivo a Berlino e ne sono contenta.

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