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Cultura e spettacoli | 31 agosto 2021, 07:41

Tim Roth al Museo del Cinema: "Ricordo ancora i dialoghi delle Iene. I film più belli? Quelli fatti per amore" [FOTO]

L'attore inglese, ospite di una masterclass, ha ripercorso alcune delle tappe salienti della sua carriera: "C'è bisogno di tutto il pubblico per tornare al cinema dopo il Covid"

Tim Roth

Tim Roth durante la masterclass al Museo del Cinema di Torino

"Non ho frequentato scuole di recitazione e non ho un metodo, vado molto a istinto con i personaggi che interpreto. Ma i miei film non li rivedo mai. Alcuni li ho fatti per amore, perché volevo a tutti i costi lavorare con quel regista o quell'attore, altri solo per pagare il mutuo. Ultimamente ho recitato in un piccolo horror movie a New York, non c'erano soldi, l'ho fatto perché mi andava. Ma la cosa più bella è quando mi chiamano e mi dicono: c'è questo nuovo progetto, si gira in Italia".

T-shirt bianca, jeans, tatuaggio in vista sul braccio destro, Tim Roth si è raccontato ieri sera nell'Aula del Tempio del Museo nazionale del Cinema, ospite del direttore Domenico De Gaetano per una masterclass andata sold out nel giro di pochi minuti. Tra aneddoti, ricordi, riflessioni sul cinema di ieri e di oggi, l'attore britannico, candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista per Rob Roy nel 1996, ha intrattenuto la foltissima platea calibrando british humour e confessioni colloquiali, in una chiacchierata casual e informale proprio come il suo stile. 

Da Peter Greenaway a Tim Burton: "Che divertimento, sul set"

"Peter Greenaway passave le ore a sistemare i bicchieri, sul set, con estrema precisione. Poi arrivavamo noi del cast e mettevamo tutti in disordine, eravamo dei matti. Ma alla fine anche lui si è lasciato travolgere dall'energia un po' folle di tutto il gruppo", ha detto, parlando di Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante (1989). Una storia affascinante, ha aggiunto, perché "per noi rappresentava la metafora del mondo di Margaret Thatcher, profondamente odiato". 

E, ancora, l'esperienza di Invincibile, di Werner Herzog (2001) - un "viaggio molto complesso, una sensazione mista di frustrazione e divertimento" - e il temibile Generale Thade del Pianete delle scimmie, nello stesso anno: "Tim Burton è uno di quei registi per cui accetti subito di lavorare senza pensarci due volte. Mi sono divertito tantissimo. Lui voleva un film ancora più dark di quanto le alte sfere della produzione potessero consentirgli, quindi ha scavato nell'oscurità del nostro animo proprio attraverso la figura di Thade. L'invisibilità, il recitare sotto una maschera, mi è piaciuto molto. C'è stato un lunghissimo lavoro di make up e movimento. L'ho fatto anche per i miei figli, all'epoca ancora piccoli, come con Hulk qualche anno dopo".

"Tarantino? Sono stato ciò che lui voleva che fossi"

A chi gli chiede quale sia il suo approccio ai tanti e sfaccettati personaggi che interpreta, Roth risponde candidamente di non avere un metodo, di non seguire un processo preciso: "Dipende dal personaggio, vado molto a istinto. Non ho frequentato scuole di recitazione, non ho una formazione da quel punto di vista. Però ci sono delle sceneggiature che, quando le leggi, non vedi l'ora di farne parte, ti trascinano come un flusso per come sono scritte". E' il caso di Quentin Tarantino, maestro di plot cinematografici, che ha voluto Roth nelle Iene, in Pulp fiction e nel più recente The Hateful Eight

"Ero la persona che lui voleva per quel personaggio - ha ricordato Roth, rivedendo una clip del suo indimenticabile Mr. Orange -. Ancora mi ricordo tutti i dialoghi, dopo tanti anni. Tarantino è quel tipo di regista perfetto per uno che vuole fare l'attore nella vita. Qualcosa di meraviglioso e terrificante al tempo stesso".

Mai più dietro la macchina da presa

E, dopo l'esordio come regista nel '99 con Zona di guerra, Roth dichiara convinto che non si ripeterà: "Avevo preparato già due o tre copioni, ma li ho lasciati lì. Preferisco fare l'attore. C'è sempre da scavare nel profondo, prima di entrare in un personaggio. Oppure si tratta di esercitarsi a lungo a livello pratico, se devi interpretare un pittore, un pianista o un infermiere. Ma, una volta finito, esco, per così dire; mi scrollo di dosso tutto quanto e vado avanti con il progetto successivo". 

Manuela Marascio

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