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Un Occhio sul Mondo | 25 maggio 2024, 09:00

Che aria tira in Bosnia Erzegovina

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

Che aria tira in Bosnia Erzegovina

Attacco della Russia all'Ucraina nel 2022, attacco di Hamas e poco dopo di Hezbollah ad Israele nel 2023, attacchi del Gruppo Houthi nel Mar Rosso e attacco dell'Iran ad Israele nel 2024. Senza considerare il confronto Cina – Taiwan, che merita un discorso a parte, queste sono attualmente le principali aree di crisi che stanno rendendo sempre più instabile la situazione internazionale, in un crescendo di tensione che sembra progressivamente acuire la divisione in due parti del mondo le quali, magari pur non volendolo fondamentalmente, appaiono sempre più in contrapposizione.

Volendo fare un'analisi di quanto sta succedendo esclusivamente sotto il profilo militare, è possibile affermare che questa situazione sta impegnando notevolmente la parte occidentale, la quale o per costrizione, dovuta ad alleanze strategiche o per volontà, connessa con le proprie convinzioni valoriali, è costretta a profondere, direttamente o indirettamente, molte delle proprie risorse materiali e finanziarie del settore difesa.

L'impegno si concretizza infatti in finanziamenti, armamenti e munizioni che vengono direttamente fornite ai due Paesi belligeranti, Ucraina ed Israele, ma non bisogna assolutamente sottovalutare i Comandi, i reparti terrestri, i gruppi di volo e le unità navali che le Nazioni occidentali, soprattutto per tramite NATO e UE, sono costrette a rischierare in mezzo mondo, con costi elevatissimi. Il tutto in un contesto economico-finanziario che non gode di ottima salute, in particolar modo per l'Europa.

Quindi si può oggettivamente parlare di logorio e di dispersione delle forze e degli assetti, di consumo delle scorte disponibili, ma anche di una preoccupante ed evidente insufficienza del sistema produttivo del comparto della Difesa, che non riesce a fronteggiare completamente le crescenti esigenze che l'attuale situazione comporta.

A questo si aggiunge un altro importante aspetto costituito dalla disponibilità di personale. Attualmente le Forze Armate occidentali si affidano soprattutto ad organici professionistici, che garantiscono elevata efficienza, ma hanno numeri limitati. Pertanto, un'ulteriore escalation dell'impegno comporterebbe il ricorso alle riserve, che non tutte le Nazioni hanno o, addirittura, al rispolvero della coscrizione obbligatoria, un argomento ormai indigesto a gran parte delle società occidentali.

Dall'altra parte e per altra parte intendiamo soprattutto Russia, Cina e magari anche Iran, tutte queste problematiche non sembrano sussistere o, comunque, non sembrano avere uno spessore tale da incidere sulle capacità militari di tali Paesi.

In tale contesto, si potrebbe anche pensare che la cronologia degli eventi, citata in apertura di articolo, possa non essere casuale, ma frutto di una strategia pianificata e coordinata, proprio finalizzata a disperdere e logorare le Forze occidentali.

In un'ottica del genere, che non costituisce assolutamente una forzatura dietrologica, si potrebbe altresì pensare che l'apertura di aree di crisi non si sia esaurita, ma possa interessare anche altre regioni del pianeta.

Una di queste aree è ragionevolmente identificabile nei Balcani, dove i focolai di tensione inter-etnica e religiosa non sono mai stati completamente spenti, ma solo sopiti da una Comunità internazionale capace di trovare “soluzioni-tampone”, ma incapace a risolvere in maniera definitiva le problematiche di questo tipo.

In questo senso, la Bosnia Erzegovina ed il Kosovo costituiscono i principali nodi che potrebbero ben presto venire al pettine, anche sull'onda di un appoggio russo virtuale ai Serbi, che si concretizza sui piani politico, etnico e religioso.

In Bosnia, la situazione attuale sembra essersi flemmatizzata, ma in prossimità dell'attacco russo all'Ucraina del 2022, il rischio di una ripresa della guerra fu molto concreto, perché il Presidente della Republika Srpska Milorad Dodik era molto vicino alla dichiarazione di secessione dallo Stato della Bosnia Erzegovina che, come è noto, è composto dalla citata Entità serba e dalla Federazione di Bosnia Erzegovina, costituita dai Bosniaci (Musulmani) e dai Croati (Cattolici).

In pratica, i Serbi stavano per staccarsi da quell'alchimia statuale, che era stata creata dagli Americani a dicembre 1994, subito dopo il cessate il fuoco che poneva fine alla guerra civile. Un ordinamento di Stato che avrebbe dovuto avere una durata temporanea, ma che invece sussiste ormai da trent'anni, perchè la Comunità internazionale non ha più voluto/potuto metterci mano.

Da notare che a novembre 2021, poco prima di minacciare la secessione, il Presidente Dodik aveva fatto visita a Putin, ma i contenuti del colloquio non sono mai stati resi noti completamente. Fatto sta che subito dopo l'attacco russo, le velleità dei Serbi di Bosnia si sono flemmatizzate. Molti analisti occidentali hanno ritenuto che tale comportamento serbo sia imputabile all'amara sorpresa costituita dalla ferma reazione occidentale all'invasione russa. In poche parole, Dodik avrebbe temuto che la sua azione di distacco sarebbe stata punita duramente dall'Occidente, magari anche con un intervento militare.

Una tesi che teoricamente non fa una grinza, anche perché è indubbio che, nell'ultimo periodo, il Presidente Serbo ha reso più cooperativo il suo atteggiamento verso l'Occidente. Tuttavia, è altrettanto vero che Dodik non ha assolutamente rinunciato alla sua retorica separatista all'interno della Bosnia, segno che il tarlo nella sua testa e in quella dei suoi connazionali rimane.

A rendere ancora più nebulosa la situazione bosniaca ci stanno pensando i Croati, il cui leader Dragan Čović ha pienamente sposato le teorie secessioniste del collega serbo, con la differenza che un eventuale distacco croato avrebbe valenza doppia, perchè sarebbe sia dalla Federazione di Bosnia Erzegovina che dallo Stato di Bosnia.

Non risulta che Čović abbia avuto alcun colloquio a Mosca con Putin, ma un fatto appare sufficientemente certo, se “partono” i Serbi i Croati li seguono a ruota e i sogni occidentali di una Bosnia Erzegovina federata ma unita o naufragano miseramente o devono essere imposti da un intervento di forza.

Nel primo caso, non si sbaglierebbe a pensare che un distacco serbo potrebbe anche assumere la valenza di un'autodeterminazione, principio previsto dal Diritto Internazionale, che dovrebbe essere riconosciuta a qualsiasi popolo. E se l'imposizione di convivere con i Bosniaci musulmani doveva essere una punizione della Comunità Internazionale, per quanto avvenuto nella guerra civile degli anni '90, anche questa potrebbe avere una fine, visto che le atrocità non furono commesse da una sola parte.

Nel secondo caso, un intervento punitivo occidentale avrebbe comunque un effetto temporaneo di pochi anni e contribuirebbe significativamente ad incattivire ulteriormente gli animi. Ma questa eventualità comporta un ulteriore domanda. Vista l'attuale situazione, l'Occidente ha Forze e risorse militari per ingaggiarsi in un simile intervento, che non si esaurirebbe in poche settimane di bombardamenti, ma comporterebbe uno sforzo di medio termine?

I dubbi al riguardo sono molti perché, ad esempio, solo un mese fa gli USA sono stati costretti a ritirare le proprie portaerei dal Mediterraneo, lasciando scoperto il fronte sud, in quanto cominciano a scarseggiare le navi necessarie a fronteggiare tutte le aree di crisi.

E allora un altro dubbio sorge spontaneo. Cosa si sono detti Putin e il Presidente Dodik a novembre 2021? Di certo, il leader russo non avrà detto al suo collega serbo di desistere dalle sue aspirazioni secessioniste, abbandonandosi nelle braccia occidentali. Di certo, gli avrà garantito il suo appoggio politico qualora si volesse staccare dalla Bosnia. Molto probabilmente, non gli avrà garantito il suo appoggio militare, perché un atto del genere avrebbe un peso strategico verso l'Occidente e la NATO troppo forte anche per la spregiudicatezza putiniana.

Sin qui qualche certezza e qualche probabilità, ma volendo azzardare un'ipotesi, Putin potrebbe anche aver dettato i tempi a Dodik di quando avviare la sua avventura autonomista, senza dover temere più di tanto la reazione occidentale.

D'altra parte, l'influenza russa in Bosnia, come in Montenegro e Serbia, è da sempre molto forte e non per l'onda lunga dell'ideologia comunista. Un contributo molto importante in questo senso è garantito dalla Chiesa Ortodossa, che ha potere di condizionare anche il mondo accademico e molti media, tutti settori in grado di rinfocolare i sentimenti filo-russi di gran parte della popolazione serba.

Questo atteggiamento è stato ulteriormente catalizzato dall'approccio occidentale sia di colpevolizzare univocamente i Serbi, per quanto accaduto nella guerra civile sia di non voler riconoscere l'esistenza del cosiddetto “mondo pan slavo”, orgogliosamente vivo nelle sue origini, nella sua cultura e nella sua religione.

I Servizi Segreti occidentali sono molto presenti in Bosnia e, più in generale, nei Balcani e monitorizzano costantemente la situazione. Tuttavia, questo accurato e tempestivo flusso informativo a poco serve se non viene concretamente ed obiettivamente utilizzato per comprendere a fondo la realtà di quest'area che, anche nella sua parte Serba è, con buona probabilità, sotto l'aspetto storico più legata all'Europa che al “mondo russo”.

Purtroppo però l'attualità sta minando fortemente questo legame, per cui occorre probabilmente un cambio di rotta drastico e deciso prima che venga compromesso definitivamente, perché l'Occidente non si può permettere di avere un'area balcanica sotto l'influenza di una Russia che, al momento, sta attuando i suoi propositi con successo.

Marcello Bellacicco

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