Per quasi quarant’anni ha percorso in divisa i sentieri della Val Troncea con l’occhio attento ai cambiamenti negli equilibri ambientali e con la mente intenta a immaginare il futuro di quel territorio e, al tempo stesso, a ricostruire un passato sociale dai risvolti drammatici. Il pinerolese Domenico Rosselli, storico guardiaparco delle Aree protette delle Alpi Cozie, è andato in pensione lo scorso giugno. Nell’ente è compreso anche il Parco della Val Troncea, dove Rosselli iniziò a lavorare nel 1986. Testimone di mutamenti ambientali e professionali, è stato anche custode e narratore delle vicende dei minatori del Beth, della valanga del 1904 che costò la vita a 81 lavoratori e dell’impresa mineraria pragelatese di Pietro Giani, a cui è stato dedicato un documentario.
Il lungo cammino della divisa
“Nelle fredde mattinate d’inverno, all’inizio, il nostro problema principale era di controllare che le pelli sotto gli sci fossero ben tirate e di non aver dimenticato il binocolo. Ora se non sai usare gli strumenti digitali sei spacciato” con questa immagine Rosselli esprime l’evoluzione professionale di cui è stato testimone. Responsabile del settore vigilanza delle Aree protette della Alpi Cozie, quando iniziò a lavorare in Val Troncea, negli anni ottanta, era in compagnia di appena quattro colleghi guardiaparco e un direttore. Nei locali scaldati dalla stufa, le determine – gli atti amministrativi emessi dal parco – venivano battute a macchina. “Allora dovevi saper fare un po’ tutto: dal costruire tavoli e panche nel laboratorio di falegnameria a occuparti della vigilanza, della gestione faunistica, dell’educazione ambientale e della polizia giudiziaria ed amministrativa” racconta. Con il passare del tempo l’ente organizzò con diverse aree di specializzazione: “Arrivarono i tecnici, gli operai e poi le aree dedicate alla biodiversità, ai progetti europei e alla fruizione”. Nel frattempo il suo lavoro si burocratizzò sempre di più: “Ormai il lavoro d’ufficio per me aveva superato quello sul campo” rivela con una nota di amarezza. Ma alcune evoluzioni tuttavia lo accendono ancora di entusiasmo: “L’attenzione per la sicurezza di chi lavora è aumentata costantemente. Basta pensare che ora d’inverno si esce sul campo con segnalatore arva, pala e sonda mentre un tempo c’erano solo i primi cani antivalanga”. Questa evoluzione è stata possibile grazie alla formazione: “C’è stata sempre attenzione alla formazione dei guardiaparco e questo ha permesso di evitare disgrazie sul lavoro che hanno colpito invece altri parchi. Nonostante la Val Troncea, con i suoi versanti ripidi, sia pericolosa per le valanghe”.
Minatori, stambecchi e lupi
Ma è stata proprio la severità di quella vallata ad aver affascinato Rosselli fin dalla giovinezza, tanto da spingerlo a trascorrere la sua vita lavorativa tra le sue montagne. “Frequentavo la Val Troncea fin da ragazzo e mi è sempre piaciuto quell’ambiente severo, un po’ chiuso, e tuttavia ricco dal punto di vista faunistico”. Tra i suoi luoghi del cuore ci sono il Vallone Fauri, Clapis e il Colle del Beth. Proprio alle miniere del Beth, all’incidente minerario del 1904, Rosselli ha dedicato varie pubblicazioni. È inoltre coautore del libro ‘Pragelato il Beth e le sue miniere ad un secolo dalla grande valanga’, inoltre, ha partecipato alla realizzazione del documentario ‘Le miniere del Beth – Sulle orme di Pietro Giani’, nato proprio dalla frequentazione, iniziata nel 2007, tra il guardiaparco e i discendenti dell’imprenditore minerario.
Ma la storia che è passata sotto gli occhi di Rosselli non è solo quella dei libri: “Tra i momenti che hanno cambiato il Parco c’è sicuramente il successo della reintroduzione dello stambecco: erano gli anni novanta e il timore di una débâcle era diffuso. Per questo dedicammo molto impegno a un’impresa che ha permesso di collegare le popolazioni degli stambecchi del Queyras a quelle del Monviso”.
È il ritorno di un importante carnivoro ad aver caratterizzato un’altra svolta storica: “L’arrivo del lupo a metà degli anni Novanta segnò un altro momento importantissimo nella storia del Parco. Tanto più perché si tratta di un animale che suscita grandi amori così come grandi odi”.
Il futuro che vedranno le sue nipoti
Gli animali continueranno ad essere protagonisti del futuro di Rosselli che, nonostante la pensione, non dismetterà completamente la divisa: “Continuerò a collaborare con l’ente per alcuni progetti che già seguivo. In particolare per quelli che coinvolgono gli studenti delle scuole superiori e gli universitari, impegnati in lavori sui temi pastorali ed ambientali – annuncia –. Questo è sempre stato un ambito del lavoro che mi ha dato soddisfazioni”. Avrà più tempo poi per dedicarsi a un’altra delle sue passioni legate al territorio: la cartografia storica delle Alpi Cozie, su cui, nel 2023, ha contribuito a realizzare la mostra ‘Dal Monviso al Moncenisio’ alla biblioteca universitaria di Torino. Continuerà quindi a percorrere la strada provinciale 23 del Colle di Sestriere con il pensiero alle emergenze ambientali di cui vedranno gli sviluppi le sue nipoti: “Di certi fenomeni ci si accorge prima in montagna perché i processi sono accelerati e tra questi c’è sicuramente l’aumento incredibile delle temperature di cui siamo stati testimoni negli ultimi anni”.