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Un Occhio sul Mondo | 02 dicembre 2025, 10:15

“Militari illuminati e professori ottenebrati”

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

“Militari illuminati e professori ottenebrati”

L'Articolo 34 della Costituzione Italiana può essere considerato uno dei pilastri dello spirito democratico della nostra Repubblica perché, riconoscendo che l'istruzione è un diritto universale per ogni Cittadino, oltre a tutelare il principio dell'uguaglianza sociale di fronte ad un aspetto così importante per la crescita di ogni persona, garantisce alla Nazione la possibilità di evolversi, attraverso lo sviluppo di tutte le proprie risorse umane.

L'articolo si apre con l'affermazione di principio che “La scuola è aperta a tutti”, che sancisce inequivocabilmente il diritto di ogni soggetto di poter adire al sistema scolastico, un approccio già rivoluzionario di per se stesso, se comparato a quanto accadeva nel passato. Tuttavia, nella ferma intenzione di garantire l'uguaglianza verso l'istruzione, i Padri Costituenti ritennero di non potersi affidare esclusivamente alla sola forza concettuale della loro idea, per cui addirittura vincolarono lo Stato a provvedere, attraverso i suoi organi e risorse, affinché tutti, indipendentemente da status sociale e condizioni economiche, potessero esercitare il diritto all'istruzione.

Potrebbero bastare queste poche considerazioni giuridiche, per definire illecita ed inaccettabile la risposta negativa dell'Università di Bologna alla richiesta del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, il Generale Carmine Masiello, di istituire un Corso di laurea in Filosofia, per alcuni giovani Ufficiali della Forza Armata.

Il Rettore Giovanni Molari, già Professore di meccanica agraria, che aveva indicato nel diritto allo studio uno dei punti di forza del suo programma elettorale per il rettorato, di fronte alle dichiarazioni di sorpresa e delusione del Gen. Masiello per il diniego ricevuto, si è pilatescamente disimpegnato dal rispondere, attribuendo al Dipartimento competente la responsabilità sia della valutazione che del verdetto, Strano atteggiamento per un alto dirigente che, da statuto universitario, oltre alla rappresentanza legale dell'Ateneo, ha compiti di indirizzo, coordinamento e supervisione della programmazione e della gestione delle attività didattiche. Un atteggiamento degno del più pavido dei burocrati e del più becero degli allineati ad un pensiero unico, tanto superficiale quanto deviato.

E il pensiero in questione, espresso dal Dipartimento di Filosofia, inquadra il mondo militare nella sua più banale ed anacronistica visione, intendendolo quasi come una minaccia della libertà del pensiero. Infatti, la richiesta dell'Esercito, nonostante sia stata proposta dettagliandone gli obiettivi didattici, è stata strumentalmente classificata come “Un'ulteriore prova della militarizzazione degli Atenei”, dimostrando, tra l'altro, di non conoscere assolutamente il reale significato di militarizzazione.

Tutto questo ha quindi creato una surreale e paradossale situazione in cui, da una parte, c'é un militare, che secondo l'Università bolognese dovrebbe essere l'emblema della più gretta ed impositiva interpretazione della vita, che chiede umilmente di poter evolvere e migliorare il proprio pensiero a chi, a suo parere, dovrebbe esserne il migliore depositario. Dall'altra parte, c'é un'Università, che si ritiene il cenacolo della conoscenza del pensiero umano, la cui missione è “la ricerca pura ed applicata” e “la diffusione nella società civile della conoscenza teorica e pratica delle discipline filosofiche”, come enfaticamente dichiara sul proprio sito internet, che invece nega ad una decina di giovani di poter formarsi in queste discipline.

Tale scempio di un diritto costituzionale di questi Italiani in uniforme si fonda solo su una precostituita e pregiudiziale avversione ideologica verso l'Istituzione che quell'uniforme rappresenta, da parte di chi invece dovrebbe incarnarsi come il più acerrimo nemico di un siffatto bieco approccio discriminatorio.

In tal modo, si dimostra ancora una volta che la prigionia del pregiudizio ottenebra le menti, perché questo saccente Dipartimento, oltre a perdere l'occasione di estendere al mondo militare il dominio della propria “ricerca”, ne viola meschinamente quei caratteri di “purezza e applicazione”, che decanta nel proporsi ai propri discenti. Una propaganda che, molto probabilmente, ha affascinato anche il Generale Masiello, che confidava nel carattere super partes che chi si occupa di scienze umane dovrebbe considerare come privilegio del suo essere.

Invece, l'Ateneo non si è minimamente chiesto del perché un'Istituzione come l'Esercito, che una parte dell'immaginario collettivo associa strettamente alle armi, alla gestione della violenza e alla soluzione radicale e finale dei problemi, ha sentito il bisogno di far immergere propri adepti nel mare del pensiero.

E la risposta sarebbe stata semplice da trovare per i cattedratici, perchè si tratta dell'Esercito Italiano, una Forza che é indubbiamente armata, ma che da sempre ha operato nel pieno rispetto dell'alveo democratico, costituendone addirittura l'estremo garante. Una Forza che é indubbiamente armata, ma che ha maturato un'eccezionale esperienza nell'osservanza dei diritti umani, soprattutto nell'ultimo trentennio di Operazioni di pace in mezzo mondo, risultando una delle poche formazioni militari che non é stata coinvolta nei famigerati “effetti collaterali” (coinvolgimento della popolazione nelle operazioni belliche). Questo perché i militari italiani hanno sempre professionalmente saputo e moralmente voluto discriminare tra la violenza e l'“uso proporzionato della forza”, che è tutta un'altra storia, molto più impegnativa, perché comporta un maggiore rischio personale, visto che presuppone l'imperativo dell'uso delle armi a ragion veduta e non per riflesso condizionato per rispondere ad una minaccia. Una Forza che é indubbiamente armata, ma che nella soluzione delle controversie e dei problemi ha sempre ricercato prioritariamente la via della parola, considerando sempre la popolazione come “focus operativo”, attribuendo alle armi principalmente una funzione deterrente e ricorrendo al loro impiego solo nei casi estremi.

Quanto detto potrebbe sembrare retorica, ma basterebbe la pazienza di ripercorrere le cronache di eventi piccoli e grandi, in cui sono stati coinvolti militari italiani, per verificare che si tratta solo di realtà dei fatti, che sono valsi la stima di Autorità internazionali militari e civili, ma soprattutto la fiducia ed il rispetto delle popolazioni.

IL Generale Masiello conosce bene tutto questo, perché l'ha praticato da militare e l'ha richiesto da Comandante, per cui la sua logica di soldato italiano gli ha imposto di continuare a perseguire questa via, convincendolo che, in un momento in cui i Governanti di mezzo mondo parlano con tanta facilità e altrettanta faciloneria di guerra, di corsa agli armamenti, di aggressioni e di ritorsioni, ci sia bisogno di migliorare ulteriormente la confidenza e la fiducia dei suoi Ufficiali nella capacità di pensare, di riflettere e poi di decidere.

Indubbiamente è un Ufficiale illuminato, ma che è solo la punta dell'iceberg Esercito, che opera costantemente con questa filosofia professionale ma che, sicuramente, non avrebbe mai immaginato di impattare nelle tenebre dei pregiudizi e dei preconcetti della più antica Università d'Europa.

Marcello Bellacicco

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