Cultura e spettacoli | 10 luglio 2025, 06:56

The Cherry Pies, dal lockdown ai live in tutta Europa: come è nata l'unica band torinese in scena a Monitor

Questa sera saliranno sul palco dello sPAZIO211 in occasione del festival ideato da Gianluca Gozzi: "Torino potrebbe Berlino se investisse meno sugli spritz e più sulla musica"

The Cherry Pies, dal lockdown ai live in tutta Europa: come è nata l'unica band torinese in scena a Monitor

The Cherry Pies devono il loro nome alla torta preferita del sergente Cooper di Twin Peaks. “Durante il lockdown, io e la mia compagna Veronica ci siamo riguardati tutta la serie, ci siamo accorti che aveva quelle stesse note bitter sweet, pop ma al tempo stesso malinconici e cattivi, che sono il sound della band” spiega il frontman Stefano Isaia. 

La band, che sarà l’unica torinese in line up per il nuovo festival musicale Monitor, è nata proprio tra le mura domestiche di Stefano e di Veronica Zucca durante i giorni di isolamento portati dalla pandemia. Questa sera saliranno sul palco dello sPAZIO211 per il pubblico di "casa".

“Oggi il nostro studio è ai Docks Dora, siamo quattro membri, si sono aggiunti Nicola lotta, che suona la batteria e Riccardo Salvini al basso. Suoniamo principalmente in Europa, ma in Italia, sarà bello portare la nostra musica sul palco di Monitor”.

Già fondatore dei Movie Star Junkies, Stefano ha iniziato a lavorare il disco “Omonimo” per caso. La cassetta è passata dalla Francia fino all’Australia. Come è nato il progetto? 

“Abbiamo registrato con il computer e un microfono di un vecchio Mac, ma nel giro di qualche mese avevamo un LP tra le mani. I brani con la voce di Veronica sono nati come folk pop con uno spirito molto low profile. Alcuni li abbiamo riarrangiati quando siamo diventati quattro membri”. 

A Omonimo, è seguito l’album “Don’t just say things”. Qual è il prossimo passo? 
 “A breve vorremmo registrare un album nuovo. Ci piacerebbe mantenesse la sua personalità, ma con sonorità nuove. Ci piacerebbe poi andare a suonare in Portogallo, poi magari negli USA dove ero già stato con i Movie Star Junkies e perché in Australia dove è uscito il primo vinile”. 

Quanto è difficile oggi fare musica underground a Torino?

“Era già difficile prima del lockdown, poi alcune piccole realtà hanno chiuso. Ognuno ha dovuto riorganizzarsi. Alcuni fonici hanno fatto i camionisti. Per vent’anni io ho solo suonato, ma ho fatto un corso da manutentore del verde per fare il giardiniere e tuttora lo faccio. Alcune realtà sono un po’ sparite. I musicisti. Alcuni come Afterhours hanno ricevuto aiuti, ma i musicisti della fascia medio alta che hanno sempre fatto tour in Europa e hanno sempre vissuto di questo, sono rimasti fregati. Adesso si sta risalendo, ci sono locali nuovi, ma è stata lunga”. 

Monitor si inserisce proprio in questo contesto, cosa vi aspettate da questo evento? 

“Lo spirito di Gianluca Gozzi è di portare novità e curiosità, la gente va ai festival blasonati, anche se musicalmente non gli frega niente, credo che qui la qualità sia al primo posto. Nei grandi festival o ai concerti dei grandi vecchi non vedi tanti giovani, perché hanno bisogno di aria nuova. Siamo fieri di esserci e di rappresentare l’Italia”. 

In città cosa resta da fare per supportare la musica? 
“Mi preoccupa questo continuare ad aprire locali da aperitivo. Non ci sono club in cui i musicisti si possono esibire o comunque sono sempre meno. Li conto sulle dite della mano. È assurdo perché Torino potrebbe Berlino se investisse meno sugli spritz e più sulla musica”. 

Chiara Gallo

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