Marco Dolfin, classe 1981, dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia si specializza in Ortopedia e Traumatologia. Costretto sulla carrozzina a seguito di un incidente in moto, "ha accettato il verdetto ed ha trasformato il baratro in trampolino", come affermato da Massimo Gramellini in uno dei suoi "Caffè" intitolato "L'aggiustatore", dedicato proprio a Dolfìn. L'intervista nasce dalla lettura del suo libro autobiografico "Iron Mark", scritto dal fratello Alberto, giornalista sportivo".
Cosa ti hanno trasmesso campioni come Alex Zanardi e Federico Morlacchi? Come andò l'incontro con Paolo Anibaldi, chirurgo di Rieti e paraplegico dai 17 anni?
"L'idea di raccontarmi nasce dal desiderio di restituire un favore perché al momento del mio incidente, e nei mesi successivi, ho cercato ispirazione in quello che vedevo e sentivo, aggrappandomi a storie di gente che ce l'aveva fatta o che si era realizzato nonostante le difficoltà. Mi sono imbattuto in storie diverse, con più risalto mediatico. Sportive come quella di Alex Zanardi, nel nuoto quella di Federico Morlacchi, diventato mio compagno di squadra. Parimenti, per ciò che riguarda il lavoro, mi ero fatto raccontare diverse storie tra cui quella di Paolo Anibaldi, chirurgo, che aveva avuto un incidente ancora prima di iniziare gli studi specialistici, e che si era organizzato in sala operatoria per poter operare in stazione eretta. Con estrema disponibilità mi ha fatto vedere le sue soluzioni operative e da quel momento in poi si è instaurata un'amicizia. Ci scambiamo consigli a vicenda ed anche contatti con persone del mondo della disabilità che la affrontano come piace a me."
La prima reazione dopo l'incidente, la rabbia: dopo quanto tempo si è trasformata da negativa a positiva, per darti la forza di reagire? Come è stato il rapporto con la tua famiglia dopo l'incidente?
"L'emozione predominante nei primi tempi è stata la rabbia perché quando ho recuperato un po' di lucidità, ho preso coscienza della mia situazione. Lo sguardo punta di più su quello che hai perso, ma poi quando valuti tutte le abilità rimaste, cerchi di fare il meglio con quello che hai a disposizione. Mi è servita molto la figura di mia moglie Samanta, eravamo sposati da pochissimo tempo e in quelle condizioni devi stravolgere i tuoi piani, ma ho cercato comunque di cucirmi questa nuova vita addosso col suo aiuto proprio perché era una realtà che volevo condividere con lei."
Come è stato, da chirurgo ortopedico, vivere i primi tempi con la speranza di un miglioramento e poi renderti conto delle conseguenze dell'incidente? E tornare ad operare con la carrozzina verticalizzabile?
"All'inizio ne parli coi colleghi, da ortopedico sai che si tratta di paraplegia incompleta, ma speri che possa andare più in maniera "cinematografica", che con impegno e volontà si recuperi. In realtà non è così. Nutrivo grandi speranze, ma in assenza di progressi eclatanti da quel momento ho cambiato prospettiva, iniziando ad organizzare vita e lavoro in carrozzina. Avevo scelto questa professione e dopo anni di studio non sopportavo che un incidente decidesse per me. Una volta fatti i conti con i mezzi che avevo a disposizione dovevo capire se potevo continuare a fare il mio lavoro e soprattutto farlo con la stessa qualità di prima. Quando ho visto che era fattibile, col supporto dei tecnici ortopedici dell'officina Maria Adelaide abbiamo modificato una carrozzina verticalizzabile, joystick compreso, per poterla utilizzare in autonomia anche in sala operatoria senza nulla togliere alla sterilità, per tutta la durata dell'intervento. Opero così da 14 anni."
Emozioni della prima gara, vittorie, riconoscimenti e rinunce. In generale, cosa rappresenta per te lo sport?
"Lo sport ha sempre fatto parte integrante della mia vita, sia prima che dopo l'incidente, come valvola di sfogo e per tenermi in forma. Mi stuzzicava molto il fatto che un evento così negativo come l'incidente potesse darmi la possibilità di competere coi migliori al mondo. All'inizio ci pensavo in maniera semplicistica, mi illudevo che con poco allenamento avrei raggiunto buoni livelli. Mi è pianto il cuore a sapere che non avrei più potuto praticare l'hitball, ma dovevo sbatterci la testa contro. Così è stato quando abbiamo organizzato, con amici e compagni di squadra, nella vecchia sede del'hitball, una partita serale. Ho riprovato con il tennistavolo, ma con scarsi risultati. Poi con il nuoto, anche lì scontrandomi con la realtà. Quando ho conosciuto il mio allenatore della Briantea84 Alessandro Pezzani, la situazione è cambiata. Della Paralimpiade di Rio 2016 ho i ricordi più belli: la preparazione, e poi l'ingresso nel Maracanà, l'uscita dal tunnel, le ovazioni del pubblico e lo spettacolo di luci, e l'altro momento è quello della gara, dove la concentrazione per onorare il lavoro di poco più di quattro anni per quel minuto e mezzo diventa adrenalina. Ricordo molto bene l'incontro con Mattarella, condiviso con gli altri gli atleti olimpici, quando al ritorno siamo stati celebrati. Ricordo meno l'incontro col capo della Polizia Gabrielli perché all'arrivo mi si è lussata la spalla sinistra, rimessa poi a posto da mio fratello, spaventatissimo, secondo le mie istruzioni."
Cosa ha significato, per te, dover mettere in atto quelle che Luca Pancalli definisce le "paralimpiadi quotidiane"? Quanto ti è pesato, e ti pesa, dover dipendere dagli altri, anche solo parzialmente?
"Le "paralimpiadi quotidiane" sono tutta quella serie di "gare" da mettere in atto per una nuova organizzazione della quotidianità, al fine di renderla meno pesante. E' un autoapprendimento permanente, diverso in base alla disabilità di ognuno. Ad esempio, per la mia attività ambulatoriale o operatoria, in settimana ho bisogno di alzarmi alle 4/5, quindi devo partire prima per poter fare tutto quello che fanno gli altri in minor tempo. Facendo ciò che mi piace, il peso si riduce, ma a volte ci sono le giornate no ed è tutto più complicato."
Come è cambiato il tuo rapporto con la fede?
"Nella mia esperienza, la rabbia iniziale era diretta anche a Lui. Ti chiedi "perché a te?", poi confrontandoti con altre storie più "gravi" cerchi di andare avanti con positività."
Quali sensazioni suscitano in te i pregiudizi altrui e la diffidenza rispetto al tuo modo obbligato di svolgere la professione di chirurgo? Sono mutate entrambe nel tempo oppure no?
"Riprendere il lavoro dopo l'incidente ha posto più domande a me che ai pazienti. Mi facevo molti scrupoli, ma la loro diffidenza iniziale rispetto alla disabilità, dopo aver spostato il focus sulla visita, passava in secondo piano. Grande sostegno e collaborazione ho ricevuto da tutto il personale del Giovanni Bosco, dai colleghi e dal personale in sala operatoria, ma anche i ragazzi addetti alle pulizie. Anche nella nuova realtà, l'Humanitas Cellini, ho trovato tutta gente che mi ha messo nelle condizioni di lavorare come piaceva a me, quindi ho continuato a fare tutto esattamente come prima."
Come è stato diventare padre e percepire i loro sguardi stupiti? Come vivono il rapporto con te?
"I figli sono un'altra medaglia, li abbiamo cercati tanto con mia moglie Samanta. Non è stato semplice perchè disabilità e paraplegia rendono tutto più complicato. Nel 2014 sono arrivati tutti e due insieme, Mattia e Lorenzo, e quello che avrebbe potuto essere uno dei giorni più belli della mia vita stava diventando l'opposto, il peggiore, perchè mia moglie ha avuto complicanze in seguito al parto e stavo rischiando di perderla, ma fortunatamente è andato tutto bene. In merito al rapporto con loro mi interrogavo sulle mie eventuali difficoltà e soprattutto sulla loro accettazione della disabilità, ma essendo nati dopo l'incidente, è stata vissuta come normalità. Ricordo quando Lorenzo abbassò lo sguardo cercando di capire cosa fosse quell'oggetto misterioso che gli altri papà non avevano, la carrozzina. Anche Mattia, quando scendevo dalla carrozzina e giocavamo per terra, vedendola vuota vi affiancava la sua sedia preferita affinché fossero una accanto all'altra e che tutti e due giocassimo, ognuno a modo suo."
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
"Sempre tanti. Cercare di continuare a fare il mio lavoro con passione e offrire sempre il meglio nonostante i vari intoppi. Dal punto di vista sportivo, divertirmi. Passare al padel mi ha permesso di ritrovare la passione, la voglia di allenarmi. In quest'ultimo anno mi ci sono dedicato e mi sta dando grandi soddisfazioni, nonostante non sia sport paralimpico e pur non raggiungendo alti livelli. Per quanto riguarda la famiglia, sperare che siano sempre in salute, e che i ragazzi facciano le loro esperienze, si divertano e trovino la loro strada".














