Mohamed Shahin, l’imam della moschea Omar di Torino, resterà in Italia. Lo ha stabilito la Corte d'appello di Caltanissetta, rigettando il ricorso presentato dall’Avvocatura dello Stato, contro la precedente decisione del Tribunale, che chiedeva il via libera all’espulsione decisa dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. I giudici siciliani, in linea con quanto già stabilito in primo grado, hanno riconosciuto a Shahin lo status di richiedente asilo: una condizione che, almeno per ora, blocca qualsiasi rimpatrio.
L’attenzione sul caso è alta, soprattutto per il dibattito che ha suscitato a livello politico. Tuttavia, la decisione della magistratura si muove sul piano strettamente giuridico: fino a quando la procedura legata alla richiesta di protezione internazionale non sarà completata, Shahin non potrà essere allontanato dal territorio italiano.
Nei giorni scorsi anche il Tar del Lazio è intervenuto sulla vicenda, chiamato a valutare una richiesta di sospensiva dell’espulsione avanzata dagli avvocati dell’imam. In quel caso i giudici amministrativi hanno respinto l’istanza, ma la decisione ha avuto valore relativo, dal momento che la questione centrale era già stata incardinata nel procedimento di Caltanissetta.
L'imam di via Saluzzo
Sposato e padre di due bambini nati a Torino, città in cui vive da vent'anni, è finito nel mirino delle autorità dopo un intervento pronunciato al megafono durante un corteo a favore del popolo palestinese. Era una manifestazione in cui si celebrava il cessate il fuoco temporaneo nella striscia di Gaza, a pochi giorni dall'anniversario del 7 ottobre. Le sue parole pubbliche, relative a quell'attacco nei confronti di Israele, secondo le autorità, avrebbero superato la soglia tollerata, scatenando l’iter per la sua espulsione. Il fermo era arrivato lo scorso 24 novembre.
La solidarietà
Il caso aveva immediatamente generato una grande mobilitazione cittadina su diversi fronti per sostenere la liberazione della guida spirituale che per decenni ha rappresentato un punto di riferimento per il quartiere di San Salvario. Lo stesso quartiere che ha unito le diverse anime (dalla chiesa valdese, all'associazionismo più laico) e che nei giorni scorsi ha chiesto a gran voce giustizia a seguito del decreto di espulsione. Ma la solidarietà si era estesa con manifestazioni organizzate non solo a Torino, ma in tutta Italia.
Un caso politico
La posizione dell’imam resta dunque sospesa tra procedimenti amministrativi e giudiziari, in attesa che venga fatta chiarezza definitiva sul suo diritto a rimanere in Italia. Ma intanto il tam tam di dichiarazioni politiche si è fatto fitto negli ultimi giorni. Soprattutto dall’ala parlamentare di Fratelli d’Italia dopo il caso dei presunti finanziamenti ad Hamas che ha portato all’arresto a Genova di Mohammad Hannoun.
A sostenere la colpevolezza (e quindi l’espulsione) dell’imam torinese è stata, ancora una volta, la vicecapogruppo del partito Augusta Montaruli secondo cui la moschea Omar, guidata da Shahin, avesse intessuto relazioni di collaborazione con l’associazione per il popolo palestinese, al centro dell’inchiesta, guidata da Hannoun.
Mentre, sul caso, la stessa premier Giorgia Meloni si era espressa a seguito della prima decisione dello scorso 15 dicembre che aveva portato alla liberazione dell'imam dal Cpr di Caltanissetta, dove era trattenuto, .
"Parliamo - aveva scritto Meloni sui social - di una persona che ha definito l’attacco del 7 ottobre un atto di "resistenza", negandone la violenza. Che, dalle mie parti, significa giustificare, se non istigare, il terrorismo. Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?”.




