Ernesto Gallarato, nato a Santena ma dalle origini orgogliosamente langarole, è laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Torino e la sua carriera lavorativa si è svolta nell'ambito delle Assicurazioni.
Da tempo malato di Parkinson, ha scritto diversi libri e si dedica alla creazione dei "vuovi", mosaici realizzati coi gusci d'uovo, toccando tematiche forti che invitano ad una riflessione profonda. Cattolico praticante, si è convertito al buddismo circa vent'anni fa. L'intervista nasce dalla lettura del suo libro autobiografico "Estremista della vita".
Quando e com'è nato in te l'interesse verso il buddismo? Hai fatto tua qualche massima?
"Il buddismo l'ho incontrato "per caso" quando fui condotto ad un loro incontro. Non sapevo il significato del mantra che ascoltai quella sera, ma ebbi la sensazione di aver trovato il pezzo mancante del puzzle e da allora abbracciai questa spiritualità. Ero stato catechista, cattolico convinto ma dopo aver atteso invano che la chiesa mi accogliesse l'abbandonai perché, essendo gay, dovetti prendere atto che non mi volevano. I valori cristiani sono comunque le mie radici. Ho impiegato molto tempo a convertirmi perché mi sentivo in colpa. Spero di essere riuscito a fare mia qualche massima, come trasformare il veleno in medicina.
C'è un'immagine di mio papà che mi è sempre stata d'ispirazione, e si può dire sia un concetto buddista: bravo nel coltivare ed innestare le piante, un giorno innestò un melo su un pero e quella pianta produceva entrambi i frutti. Come quell'albero, mi sento un cristiano che non ha buttato via le sue radici, e sconsiglio a chiunque di farlo. È un errore enorme, perché al primo refolo di vento si cade."
Cosa vuol dire riconoscere il Budda che c'è in sé e negli altri?
"È l'intento di tutti i buddisti: se mi si chiede di parlare del buddismo, non è un caso. Quando lo faccio, anche gli altri lo sentono e, a loro volta, sono portati a fare lo stesso. So che qualunque incontro é l'occasione per provare a dare qualcosa di mio. Il mio obiettivo è, anzitutto, manifestare il Buddha che c'è in me. "Buddha" vuol dire perfettamente dotato, illuminato: siamo perfetti così come siamo. Pur essendo buddista, non credo che questa sia l'unica via. In ogni religione, in ogni spiritualità correttamente vissuta c'è un pezzo di verità. Aborro il fanatismo, che considero una bestemmia."
Esempi di quelli che tu nel libro chiami pensieri salvavita. "Non aspettare che smetta di piovere per imparare a danzare, ma impara a danzare sotto la pioggia" è uno di questi? Tu sei riuscito a metterlo in pratica?
"Qualche volta sì, ma non è un meccanismo che si esaurisce lì per lì. - poi aggiunge - Sì, questo pensiero salvavita l'ho sperimentato, tutti quelli del libro li ho sperimentati almeno una volta."
Ci racconti come è nato e come si evolvono il pluricalogo e l'agenda anti-Mr. P?
"Il pluricalogo è il mio decalogo, chiamato così perché contiene più di dieci consigli: quasi tutte frasi non mie, prese da libri, film o meeting buddisti che mi hanno colpito, arricchendo la mia vita e dandomi una direzione da seguire.
L'agenda anti-Mr P ha a che fare con l'intervento di BDS, Deep Brain Stimulation (stimolazione profonda del cervello) che consiste nell'inserimento nello stesso, da svegli e senza anestesia, di due elettrodi. Dopo il panico iniziale, mi ha aiutato la scrittura, fare uno schema di ciò che ritenevo utile a gestire l'ansia. L'agenda anti-Mr P è proprio uno di questi schemi."
Nel tuo libro racconti di un episodio accaduto in una parrocchia di Santena, durante il quale il parroco definì l'omosessualità un abominio. Come hai regito?
Malissimo, mi sono sentito ingiustamente rifiutato, senza alcuna vera argomentazione religiosa. È stato come essere cacciato di casa dai propri genitori, senza aver fatto nulla di male. Nonostante tutto, però, provo gratitudine nei confronti della Chiesa, perché il mio volontariato nei gruppi parrocchiali ha contribuito a fare di me un uomo. Cattolico "scomodo", bullizzato da adolescente, grazie a quel bambino sopravvissuto dentro di me, sono vivo e contento di esserlo, ma mi sento in debito con lui perché mi ha salvato la vita."
Cosa vuol dire per te definirti estremista nella vita e cosa è cambiato in te dal giorno della diagnosi?
"Estremista della vita vuol dire che la amo in tutte le sue forme, sono entusiasta come i bambini, ho mille idee e non ho mezze misure nei sentimenti e nelle passioni.
La diagnosi di Parkinson fu una sentenza. Ero atterrito dalla paura, ma reagii, spero, da buddista. Quindi attuai la controoffensiva: combattere sempre e vivere tutto in pienezza, senza farmi fermare dalla paura. A volte ci riesco, a volte no. Ho incontrato medici bravi ma carenti in empatia, che conta quanto e più delle medicine. Il mio appello é che la usino di più. Dovrebbero essere obbligati ad avere uno psicologo di riferimento da cui essere seguiti."
Come é avvenuto il coming out riguardo l'affettività? Come è stata la reazione della tua famiglia?
"È avvenuto nel mio stile: stavo con Pasquale da alcuni anni, eravamo ragazzi. Di lui ne ho parlato spontaneamente coi miei, perché l'ambiente familiare era ottimale. Non sopportavo l'idea di nascondere ai miei genitori un pezzo del loro figlio.
Mio papà, nonostante fosse dispiaciuto, mi incoraggiò a seguire la mia strada. Mia mamma invece, per il dolore ed il timore del giudizio altrui, si fece condizionare dai luoghi comuni. La sua crisi durò dieci anni, con qualche timida apertura, finché accettò definitivamente Pasquale.
Il mio compagno, invece, scelse di non fare coming out esplicito."
Cos'è cambiato negli altri e in te stesso quando hai comunicato la diagnosi di Parkinson?
"Lo dissi solo a papà perché mamma aveva avuto un ictus devastante. La diagnosi l'abbiamo gestita io, il mio compagno e i miei amici. Il rapporto coi miei genitori, quindi, non è cambiato; con gli altri, invece, è diventato più complicato, alcuni amici si sono allontanati, provocandomi un grande dolore. Per quanto mi riguarda, ho cercato di fare una vita più o meno normale. In fondo faccio le cose che voglio, anche se con più fatica. Continuo a fare progetti, per il momento non mi abbatto e spero di poter andare avanti così."
Quali sono state le sensazioni, le emozioni dell'intervento da sveglio e se c'è stato un momento in cui pensavi di non farcela?
"Sì, c'è stato. Se penso alle emozioni, in un primo momento sono state positive, grazie alla gentilezza e all'accudimento dei presenti in sala operatoria. C'erano accanto a me la mia psicologa ed il neurologo, entrambi preziosi. Certo, durante l'intervento in alcuni momenti ho avuto il terrore di non farcela. Ma alla fine ne sono uscito, anche grazie ad un po' di leggerezza che mi salva sempre."
Nel tuo libro contesti le posizioni di chi ritiene che la ricerca contro il Parkinson debba concentrarsi sulla prevenzione e sull'arresto della malattia ai suoi esordi, trascurando chi è in fase avanzata. Cosa intendi?
"Confermo, ho ascoltato questa tesi in un convegno, e secondo me non ha assolutamente senso, perché ritengo che i fondi della ricerca dovrebbero aiutare anche me e chi è nella mia medesima condizione."
Ad un certo punto nel libro scrivi "quanta gioia posso trarre da tutto questo?" Sei riuscito a darti una risposta e a mutare il tuo dolore in concime di trasformazione per la tua vita?
"Sì, in qualche modo ci sono riuscito. Anche adesso lo sto facendo, grazie a te che stai offrendomi un'occasione. Ci sono tanti momenti nei quali non riesco a dire grazie alla malattia, e i libri e i vuovi sono stati il mio modo di reagirvi. Non siamo nati per soffrire ma per essere felici. Per carattere non riesco ad essere indifferente al dolore degli altri, e avere il Parkinson mi ha reso ancora più sensibile. Però il dolore esiste, inutile negarlo, tanto vale trovare dei modi non distruttivi per attraversarlo e trasformarlo."
Fragilità, debolezza, limite: tu li reputi valori, ma in che misura lo sono secondo te? Come sei riuscito a coltivare lo spirito di gratitudine? Sei riuscito a metterlo sempre in atto?
"Qualche volta sì. Ritengo che lo spirito di gratitudine sia un antidoto alla lamentela, che non serve a nulla perché fa sprecare energie. In "buddhese" si dice che "la lamentela mangia il daimoku", che è la preghiera buddhista. Con lo spirito di gratitudine posso ringraziare per tante cose in questo momento."
Parlaci dei vuovi. com'è nata quest'idea di utilizzare i gusci delle uova?
"Sono il mio orgoglio, ne ho fatti 300 in tre anni. L'idea nacque così: una sera usai le uova in cucina e durante la notte mi domandai se i gusci potessero essere riutilizzati in qualche modo. Cercai informazioni su internet: digitai gusci d'uovo - arte e mi si spalancò un mondo. Scoprii un'antica tecnica vietnamita consistente nell'utilizzare questi materiali per fare mosaici. Cercai di imparare questo metodo, ma volli farlo mio applicando un criterio che desse multidimensionalità alle opere, sovrapponendo i frammenti di guscio d'uovo oltre ad affiancarli. Sono felice di essere un eretico anche in questo, perché eretico vuol dire colui che sceglie."
Quali sono i tuoi obiettivi a breve, medio e lungo termine?
"Non me ne pongo tanti, preferisco concentrarmi sul presente. Amo viaggiare, uno dei miei obiettivi è di andare in Cappadocia, sto facendo di tutto per riuscirci. Ne ho anche altri, ma preferisco non dirli per scaramanzia".


















