Nel giro di pochi anni il delivery è passato da servizio accessorio a canale vitale per ristoranti, pizzerie, bar e dark kitchen. Le grandi piattaforme di marketplace hanno reso semplice ricevere ordini, ma al prezzo di commissioni elevate e di una dipendenza crescente da intermediari digitali che “possiedono” il rapporto con il cliente.
Per le piccole e medie imprese della ristorazione, il tema oggi non è più solo “essere o non essere” sui marketplace, ma come usarli in modo strategico per costruire un canale diretto, più sostenibile e meno costoso. In questo scenario, un’app per ordinare il cibo a domicilio proprietaria può diventare lo strumento chiave per trasformare i clienti delle piattaforme in clienti propri, fidelizzati, senza aumentare il budget marketing.
Scenario: dal boom del delivery alla dipendenza dai marketplace
La pandemia ha accelerato un trend già in corso: l’uso strutturale del delivery nella vita quotidiana. Secondo una ricerca di Netcomm e del Politecnico di Milano, il food delivery in Italia è passato in pochi anni da nicchia a mercato di massa, con una crescita che in alcune fasi ha superato il 50% anno su anno. Anche dopo la fase emergenziale, i volumi non sono tornati ai livelli pre-2020, segno che l’abitudine a ordinare cibo a domicilio si è stabilizzata.
Le grandi piattaforme di intermediazione hanno saputo intercettare questa domanda offrendo visibilità, logistica e pagamenti integrati. Per molti ristoratori sono state la porta d’accesso più veloce al mondo digitale: nessuna necessità di sviluppare tecnologia propria, nessun investimento iniziale in marketing, un flusso di ordini immediato.
Questo modello, almeno nella fase di ingresso, è stato percepito come “win-win”: il ristorante paga una commissione ma ottiene visibilità e un canale di fatturato aggiuntivo senza troppi pensieri gestionali. Nel medio periodo, però, emergono alcune criticità strutturali che rendono rischioso basare l’intero business sul delivery intermediato.
Dati e statistiche: quanto pesa davvero il delivery su conti e marginalità
Per capire la portata del fenomeno, è utile osservare alcuni ordini di grandezza del mercato e degli economics per il singolo esercizio.
Secondo le stime del settore, il valore del food delivery in Italia ha superato i miliardi di euro, con una quota sempre più rilevante concentrata nelle grandi città ma una penetrazione crescente anche nei centri medi e piccoli. In parallelo, le indagini delle associazioni di categoria mostrano che per una parte non trascurabile dei locali urbani il delivery rappresenta tra il 20% e il 40% del fatturato complessivo, con punte ancora più alte in alcune categorie (pizzerie, etnico, dark kitchen).
Il tema cruciale, però, è la marginalità:
● Le commissioni dei marketplace si collocano spesso tra il 25% e il 35% sul valore dell’ordine, a cui si aggiungono eventuali costi di promozione interna alla piattaforma.
● I costi fissi del ristorante (materie prime, personale, affitto, utenze) restano invariati o aumentano con l’inflazione, riducendo ulteriormente lo spazio di profitto per ordine.
● Nei casi in cui il ristorante partecipa a campagne di sconto sponsorizzate, la compressione della marginalità può arrivare a livelli non sostenibili nel lungo periodo.
Secondo alcune analisi di settore, molti esercenti che lavorano quasi esclusivamente tramite marketplace riportano margini netti per ordine molto bassi o addirittura negativi se si considerano tutte le voci di costo. Questo non significa che i marketplace siano “da evitare” in assoluto, ma che devono essere gestiti come canale di acquisizione, non come unico pilastro del modello di business.
Il vero problema: il cliente non è “tuo”, è del marketplace
Al di là dei numeri, il punto strategico è uno: nelle piattaforme il cliente è, a tutti gli effetti, cliente del marketplace, non del ristorante. È il marketplace a gestire:
● i dati di contatto e di pagamento;
● lo storico degli ordini e dei comportamenti;
● la comunicazione (notifiche push, email, promozioni);
● l’esperienza complessiva di acquisto, dal catalogo al servizio clienti.
Il ristorante vede solo una porzione limitata di queste informazioni. Non può, per esempio, contattare direttamente il cliente per proporre una promozione mirata, un nuovo menù, una formula di abbonamento. Non può costruire un vero programma di fidelizzazione proprietario. Se domani il marketplace cambia regole, commissioni o politiche di visibilità, il ristorante ha un margine di manovra ridotto.
In termini di marketing, questo scenario equivale a investire ogni mese in un canale che porta clienti, ma senza costruire un proprio database. È un modello di “affitto” permanente di contatti, invece che di “acquisto” e valorizzazione nel tempo del proprio capitale relazionale.
Perché un’app proprietaria può cambiare gli equilibri
In questo contesto, dotarsi di una propria app di ordinazione e delivery non è solo una scelta tecnologica, ma una decisione strategica. Un’app dedicata permette di:
Primo, spostare progressivamente una quota di ordini dai marketplace verso un canale diretto, con commissioni azzerate o drasticamente ridotte. Anche se il volume iniziale è limitato, ogni ordine diretto contribuisce in modo più sano alla marginalità del locale.
Secondo, costruire un database clienti proprietario: email, numeri di telefono (laddove consentito), preferenze di acquisto, frequenza, ticket medio. Queste informazioni consentono di impostare una logica di marketing relazionale più avanzata rispetto alle dinamiche impersonali dei marketplace.
Terzo, controllare l’esperienza utente: dall’interfaccia grafica ai contenuti (foto, descrizioni, storytelling del brand), dalle promozioni agli orari. L’app diventa uno spazio in cui l’identità del locale può emergere in modo coerente, rafforzando il posizionamento.
Infine, integrare l’app con processi interni (gestione comande, magazzino, contabilità) e con altri canali digitali (sito web, social, newsletter), creando un ecosistema unico invece di una costellazione di strumenti non comunicanti.
“A costo zero”: cosa significa davvero
La promessa di trasformare i clienti dei marketplace in clienti diretti “a costo zero” non va letta in modo ingenuo. Non esiste acquisizione di clientela totalmente priva di costi: esiste però la possibilità di sfruttare gli investimenti già sostenuti (commissioni pagate ai marketplace, presenza online, produzione di contenuti) per innescare un percorso di migrazione verso il canale diretto, senza aumentare il budget complessivo.
In pratica, si tratta di:
● usare il marketplace come “vetrina di acquisizione” di prima istanza;
● fare in modo che, dal secondo ordine in poi, una parte dei clienti scelga il canale proprietario (app) invece di tornare sempre alla piattaforma;
● costruire processi e abitudini che rendano naturale, per il cliente, preferire l’app in quanto più conveniente, semplice o gratificante.
I costi tecnologici e gestionali dell’app vengono così “spalmati” su un numero crescente di ordini diretti, mentre la spesa in commissioni ai marketplace può ridursi nel tempo o restare stabile pur a fronte di una crescita complessiva del volume.
Strategia operativa: come trasformare i clienti dei marketplace in clienti diretti
1. Diagnosticare la situazione attuale
Prima di definire un piano, è necessario conoscere i propri numeri. Alcune domande chiave per un ristoratore o una PMI della ristorazione:
Quanta parte del fatturato viene oggi dai marketplace? Qual è il margine medio per ordine intermediato, considerando commissioni, costi di materie prime e personale? Quanti clienti ripetono l’ordine più volte al mese? Esiste una base, anche minima, di clienti che già ordinano in modo diretto (telefono, social, sito)?
Anche stime approssimative sono sufficienti per capire da dove si parte e per fissare obiettivi realistici: ad esempio, portare nel primo anno il 10–15% degli ordini totali sul canale app, per poi crescere gradualmente.
2. Progettare l’app come “esperienza migliore”, non solo più economica
Perché il cliente abbandoni l’abitudine consolidata di aprire un marketplace e scelga l’app di un singolo ristorante, la differenza deve essere percepibile. Non basta replicare il menù in un altro contenitore digitale.
Alcuni elementi che rendono l’app realmente preferibile:
● Un’interfaccia semplice, veloce, ottimizzata per lo smartphone, con pochi passaggi per completare l’ordine.
● Informazioni chiare su tempi di consegna, fasce orarie, ingredienti, possibilità di personalizzazione.
● Un sistema di pagamento sicuro e rapido, eventualmente con salvataggio delle preferenze per ordini successivi.
● Un meccanismo di premialità (punti, sconti fedeltà, omaggi periodici) accessibile solo tramite l’app.
La logica è quella di costruire un vantaggio competitivo percepito che non sia un semplice “sconto permanente”, ma un insieme di benefici: esperienza, relazione, riconoscimento come cliente abituale.
3. Sfruttare ogni contatto esistente per far conoscere l’app
Un errore frequente è sviluppare un’app e poi attendere che i clienti la scoprano. Senza una strategia di comunicazione integrata, l’adozione resterà limitata. La trasformazione dei clienti dei marketplace in clienti diretti passa invece da un lavoro capillare su tutti i punti di contatto:
Nel locale fisico: menù, tovagliette, locandine, scontrini possono ricordare l’esistenza dell’app, spiegando in modo sintetico perché conviene usarla (ad esempio, accumulo punti o offerte dedicate). Il personale di sala e cassa può essere formato per menzionarla nei momenti opportuni, senza insistenza.
Nelle consegne a domicilio: ogni ordine che arriva da un marketplace è un’occasione di relazione. All’interno del packaging si possono inserire materiali informativi che illustrano i vantaggi dell’app. La comunicazione deve restare corretta e non aggressiva, ma è legittimo ricordare al cliente che esiste un canale alternativo e più vantaggioso.
Sui canali digitali propri: sito, pagine social, eventuali newsletter diventano strumenti per spingere l’adozione dell’app, magari raccontando storie, novità di menù, iniziative riservate agli utenti registrati.
4. Politiche di prezzo e valore: il tema della “parità”
Dal punto di vista normativo e dei contratti con i marketplace, occorre gestire con attenzione il tema della parità di prezzo tra canali. Alcune piattaforme, in passato, hanno previsto clausole di “price parity” che impedivano ai ristoratori di offrire prezzi più bassi su canali diretti. In diversi paesi europei queste clausole sono state oggetto di interventi antitrust e, in molti casi, limitate o vietate quando considerate restrittive della concorrenza.
In linea generale, è opportuno:
● verificare le condizioni contrattuali specifiche con ogni piattaforma, per capire quali margini di manovra siano previsti;
● evitare differenze di prezzo eccessive che possano generare percezioni di ingiustizia o conflitti;
● puntare, dove possibile, più su bonus di valore (omaggi, punti fedeltà, promozioni occasionali) che su prezzi base drasticamente inferiori rispetto ai marketplace.
L’obiettivo non è entrare in conflitto frontale con le piattaforme, ma valorizzare il proprio canale diretto in modo intelligente, restando nella legalità e salvaguardando i rapporti commerciali.
5. Programmare il passaggio graduale e misurare i risultati
La migrazione verso il canale app non avviene in poche settimane. È un processo che richiede tempo, coerenza e capacità di misurazione. Alcuni indicatori utili:
● numero di download e utenti attivi dell’app;
● quota di ordini diretti sul totale dei delivery (in valore e in numero);
● frequenza media di acquisto per cliente su app rispetto ai marketplace;
● valore medio dell’ordine sui diversi canali;
● riduzione progressiva del peso delle commissioni sul fatturato complessivo.
Con questi dati è possibile capire se la strategia sta funzionando, quali iniziative di comunicazione sono più efficaci e dove intervenire per ridurre gli attriti nell’esperienza d’uso.
Rischi e criticità se non si interviene
Ignorare il tema del canale diretto e limitarsi a “subire” le logiche dei marketplace comporta diversi rischi, soprattutto per le PMI del settore food.
Rischio di compressione strutturale dei margini: in un contesto di inflazione delle materie prime e aumento del costo del lavoro, affidare una quota eccessiva del fatturato a canali ad alta commissione espone l’impresa a una progressiva erosione della redditività. In assenza di efficienze interne o di aumento dei prezzi, il modello può diventare insostenibile.
Rischio di dipendenza da poche piattaforme: se la maggior parte del fatturato proviene da 1–2 marketplace, ogni cambiamento di algoritmo, regolamento, commissioni o politiche di promozione può avere un impatto immediato. Si tratta di un rischio simile a quello delle aziende e-commerce che dipendono quasi totalmente da un’unica grande piattaforma generalista.
Rischio di invisibilità del brand: nel mare di offerte delle piattaforme, il singolo ristorante tende a essere percepito come “una delle tante opzioni disponibili”, senza una vera identità. Questo rende più difficile costruire una comunità di clienti fedeli e meno sensibili al confronto di prezzo puro.
Rischio di arretratezza digitale selettiva: paradossalmente, appoggiarsi solo ai marketplace può creare un’illusione di “digitalizzazione compiuta”, quando in realtà l’azienda non sviluppa competenze interne di gestione dei dati, marketing digitale, ottimizzazione dei processi. Nel medio periodo, questa mancanza di capacità autonoma può penalizzare anche in altri ambiti (ad esempio, prenotazioni online, gestione eventi, vendita di prodotti complementari).
Opportunità e vantaggi di una strategia basata sull’app proprietaria
L’introduzione e la valorizzazione di un’app proprietaria porta con sé una serie di opportunità, che vanno oltre il semplice risparmio sulle commissioni.
Maggiore controllo sui dati: disporre di uno storico completo degli ordini consente di segmentare la clientela (famiglie, single, clienti business, frequenti, occasionali) e di progettare iniziative mirate: promozioni tematiche, proposte di menù personalizzati, comunicazioni in momenti specifici (es. festività, eventi sportivi, ricorrenze locali).
Fidelizzazione più efficace: con l’app è possibile implementare meccanismi di loyalty che i marketplace, per loro natura generalista, tendono a diluire. Punti, badge, livelli di “fan del locale”, anteprime di nuovi piatti o offerte “solo per chi ordina da noi” rafforzano il legame emotivo e la continuità di acquisto.
Maggiore prevedibilità dei flussi: un bacino di clienti abituali che ordinano direttamente, magari con formule ricorrenti (es. pizza del venerdì, pranzo aziendale settimanale), consente una pianificazione migliore di produzione, turni e acquisti di materia prima, con benefici anche sul fronte dello spreco alimentare.
Capacità di sperimentazione: possedere un canale digitale proprio permette di testare in modo rapido nuove proposte (menù limitati nel tempo, bundle, offerte per fasce orarie meno affollate), raccogliendo feedback diretti e adattando l’offerta con maggiore agilità.
Capitale immateriale dell’impresa: nel medio-lungo periodo, un brand che controlla i propri canali digitali, possiede un database clienti strutturato e ha sviluppato processi tecnologici interni aumenta il proprio valore complessivo, anche in ottica di cessione dell’attività o di espansione in franchising.
Aspetti normativi e regolatori da considerare
La gestione di un’app proprietaria implica alcune responsabilità sul piano normativo, in particolare rispetto a protezione dei dati personali, pagamenti elettronici e trasparenza delle condizioni di vendita.
Sul fronte privacy, il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR) richiede che l’azienda:
● informi chiaramente l’utente, tramite informativa dedicata, su quali dati raccoglie, per quali finalità, per quanto tempo li conserva;
● raccolga il consenso esplicito dove necessario (es. marketing, profilazione), documentandone l’acquisizione;
● assicuri misure tecniche e organizzative adeguate per proteggere i dati da accessi non autorizzati o violazioni;
● consenta agli utenti di esercitare i loro diritti (accesso, rettifica, cancellazione, limitazione del trattamento).
Per quanto riguarda i pagamenti, la normativa europea sui servizi di pagamento impone che le transazioni elettroniche avvengano attraverso fornitori autorizzati, con sistemi di autenticazione forte del cliente ove previsto. In pratica, il ristorante non gestisce direttamente i dati delle carte, ma si appoggia a un gateway di pagamento certificato.
Sul piano della tutela del consumatore, è importante che condizioni di vendita, prezzi, costi di consegna, eventuali supplementi (es. imballaggi, servizi aggiuntivi) siano esposti in modo trasparente e comprensibile. Anche le politiche di rimborso, reclamo e gestione di ordini errati devono essere chiaramente descritte.
Infine, rispetto al rapporto con i marketplace, è opportuno leggere attentamente le clausole contrattuali e, in caso di dubbi su vincoli di prezzo o di promozione, valutare un confronto con consulenti legali o associazioni di categoria. La strategia di spostamento verso il canale diretto deve essere costruita in modo da non violare obblighi contrattuali e da preservare, per quanto possibile, una relazione corretta con le piattaforme.
Domande frequenti (FAQ)
È realistico per una piccola pizzeria o un singolo ristorante avere la propria app di delivery?
Sì, oggi esistono soluzioni tecnologiche che permettono anche a singoli locali o a piccole catene di dotarsi di un’app senza dover sviluppare tutto da zero. La sostenibilità economica dipende dal volume di ordini e dalla capacità di promuovere attivamente il canale diretto, ma non è più un’opzione riservata solo ai grandi gruppi.
Conviene abbandonare del tutto i marketplace una volta avviata l’app?
Nella maggior parte dei casi, no. I marketplace restano un canale utile di acquisizione e visibilità, soprattutto per attrarre nuovi clienti o turisti. L’obiettivo non è “uscire” dalle piattaforme, ma riequilibrare il mix: usarle per il primo contatto e lavorare perché una parte crescente degli ordini ricorrenti passi attraverso l’app proprietaria.
Come si può incentivare il cliente a usare l’app senza entrare in conflitto con le regole del marketplace?
La leva principale non deve essere solo il prezzo, ma un insieme di vantaggi: promozioni esclusive e temporanee, programmi fedeltà, comunicazione personalizzata, esperienza d’uso più rapida. All’interno di questi margini, è possibile progettare incentivi che valorizzino il canale diretto rispettando, al contempo, le clausole contrattuali e la correttezza nei confronti delle piattaforme.
Conclusioni: il marketplace come alleato, non come “padrone” del cliente
La transizione digitale del settore food non si esaurisce nella presenza sui marketplace. Per le PMI della ristorazione, la sfida dei prossimi anni sarà costruire modelli in cui tecnologia e dati vengano messi al servizio di relazioni dirette, durature e sostenibili con i clienti.
Un’app proprietaria di delivery rappresenta uno strumento chiave in questa direzione: consente di trasformare il flusso, oggi spesso passivo, di ordini intermediati in un capitale relazionale gestito dall’impresa, riducendo la dipendenza da intermediari e recuperando margini economici. Non si tratta di un cambiamento da affrontare in modo improvvisato, ma di un percorso graduale, fatto di decisioni strategiche, attenzione normativa e capacità di lettura dei dati.
Per ristoratori, imprenditori del food e manager di piccole catene, il momento è favorevole per ripensare il proprio mix di canali, dotarsi degli strumenti giusti e impostare una strategia in cui il marketplace resti un alleato importante, ma il cliente torni ad essere, in primo luogo, cliente del locale.




