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In Breve

| 29 marzo 2020, 10:20

La dura lezione del Covid-19

"Oggi, nei primi giorni della più triste primavera a memoria d'uomo, assistiamo a scene che resteranno per sempre nella nostra memoria collettiva"

La dura lezione del Covid-19

Conoscere e capire il passato, dovrebbe consentirci di vivere meglio il presente e programmare il futuro senza ripetere gli errori già commessi. E allora proviamoci, a conoscere e capire il recente passato.

Da quello che ci dicono i mezzi di informazione, il 17 novembre 2019, a Wuhan, Cina, si accerta il primo caso di SARS CoV-2, conosciuto meglio come Covid19 o Corona Virus. Ma il governo cinese, al posto di prestargli attenzione, incarcera il giovane medico che lo ha riscontrato e lo segnala come possibile avvisaglia di una pericolosa epidemia. Il giovane viene costretto a scrivere una lettera di scuse in cui ritratta quanto da lui affermato e solo in seguito a questo documento viene riabilitato e rimandato al lavoro in ospedale. Il medico morirà, in piena epidemia, in seguito all' infezione contratta. Il governo cinese, solo il 21 gennaio 2020, ovvero 65 giorni dopo, si decide a comunicare al mondo l'esistenza di questo flagello, quando ormai il virus, anche grazie a questi due mesi di omertà, si è diffuso ai quattro angoli del pianeta. Quando tutto questo sarà finito, Sara bene fare due conti con questi “untori globali”, anche se il loro peso economico, nei confronti della nostra economia è immenso. Se pensano di essersi lavati la coscienza inviandoci un team di esperti e una fornitura di mascherine e ventilatori polmonari, che per quanto possano essere utili e avere un valore, non sono minimamente comparabili al danno umano, prima ancora che economico, che hanno creato all'Italia, si sbagliano. Grazie del pensiero, ma non basta.

Oggi, nei primi giorni della più triste primavera a memoria d'uomo, assistiamo a scene che resteranno per sempre nella nostra memoria collettiva. I volti segnati dai dispositivi di protezione individuale, indossati troppo a lungo da medici ed infermieri stremati da turni senza fine, consumati nel disperato tentativo di dare un conforto, medico prima ed umano poi, a persone in fin di vita. Le file interminabili di mezzi militari che portano via carichi di bare cui non si riesce a dare sepoltura, perché i cimiteri sono congestionati oltre ogni limite immaginabile. Donne e uomini rinchiusi tra quattro assi senza aver avuto la possibilità di ricevere un conforto dai propri cari, dire loro addio e ricevere da loro un degno commiato. Scene apocalittiche, cui non credevamo di dover mai assistere.

A fare da contraltare ai leoni dei Pronto Soccorsi, gli sciacalli di certa politica finanziaria europea, con lo scandaloso mercanteggiamento  da parte di alcuni di loro, che per giorni hanno cercato di negare al nostro Paese quegli aiuti finanziari per le urgenze sanitarie e che solo successivamente, quando si sono resi conto che la pandemia non era solo, o solo più, un problema nostro, ma anche loro, si sono lentamente smossi dalle posizioni iniziali, pur continuando a porre vincoli e condizioni, moralmente inaccettabili, per popoli che si definiscono “civili”. Amaramente ci tocca dire che “per fortuna” anche loro sono stati colpiti da un virus cui si credevano immuni. Roba da italiani, ridacchiavano sprezzanti. Stanno iniziando a provare sulle loro pelli il dolore che ci sta straziando, come popolo e come individui, da ormai un mese. Malgrado ciò, alcuni tengono ancora duro, arroccati sulle loro posizioni di una miope intransigenza, che impedisce loro di rendersi conto che se la barca Europa affonda, in pasto agli squali non finiscono solo i ponti inferiori del transatlantico, ma anche quelli superiori, su fino al ponte di comando, lassù in cima, con tutti o quasi quelli che ci sono sopra. E nella furibonda corsa alle scialuppe di salvataggio, nessuno è sicuro di trovarvi posto a bordo. Siamo ai più bassi livelli di sciacallaggio, da parte di Paesi che non sono stati obbligati, ma hanno scelto, è bene ricordarlo, di far parte di una Unione, quella Europea, che tanto unione non sta dimostrando di essere. Un patto tra nazioni, progettato per quando tutto va bene, ma che alle prime avvisaglie di problemi seri, lascia intravvedere tutte le divisioni culturali, prima ancora che politiche, che stanno dietro ad una bella facciata.

Homo homini lupus. Eppure non bisogna stupirsi, l'esempio, ce l'avevamo qui di fianco, bastava guardare.

Ricordiamo tutti che fine ha fatto e quanto dolore e sangue è stato sparso nella ex Jugoslavia, tenuta insieme dalla dittatura di Tito e poi deflagrata dopo la sua scomparsa. Semplicemente perché non c'era armonia di cultura, di religione, di intenti. Era un coacervo tenuto insieme con la repressione. Stesso discorso, ovviamente con le dovute proporzioni, vale per questa unione in cui si vorrebbe far passare per comuni i valori, le tradizioni e gli usi latini, propri dei popoli del bacino del mediterraneo e quelli dei popoli nordici. Siamo diversi, profondamente diversi, diamocene pace. Dove “diversi” non vuol dire “migliori”, vuol semplicemente dire che quello che sta bene a noi può apparire inaccettabile a loro e viceversa. Nel massimo rispetto reciproco, sia ben chiaro. Ma se alla base di tutto questo non c'è un chiaro patto, fondato su una precisa volontà di coesistenza o almeno di mutuo soccorso economico finanziario, per far fronte comune contro i giganti demografici ed economici, ovvero, USA, Russia, Cina e l'emergente India, sperando semplicemente che supposti valori comuni ci tengano insieme, ci stiamo avviando a passo di corsa verso un doloroso fallimento.

Questi signori della finanza, che forse non aspetteranno nemmeno che il cadavere Italia, ma forse anche i cadaveri Spagna e Portogallo e magari anche Francia, si siano freddati per avventarsi sulle spoglie alla ricerca di qualche succulento bocconcino, rappresentato dalle poche industrie sopravvissute, ma malconce ed asfittiche, questi signori ci danno, nel migliore dei casi, la dimostrazione del loro miope egoismo; se vivo in un condominio, e l’alloggio sotto al mio brucia, non chiedo al mio vicino se sarà in grado di restituirmi l'estintore ricaricato, dopo averlo usato, ma glielo presto senza indugi, perché mi rendo conto che se brucia il suo alloggio, anche il mio avrà seri danni. A meno che non aspetti volutamente che il fuoco faccia abbastanza danni da ridurre il mio vicino sul lastrico, in modo da poter comprare quel che resta del suo alloggio con quattro spiccioli. Ma in questo secondo caso, non sarei un miope, bensì un bandito in guanti bianchi. Ed in ogni caso, non fare che prolungare la mia agonia, perché quando mi troverò di fronte ai giganti di cui dicevo poco prima, sarò sicuramente più debole di oggi, perché gli stati ridotti sul lastrico saranno sicuramente più felici, non fosse altro per spirito di rivalsa, di diventare la cinquantunesima stella americana, piuttosto che rimanere la ventisettesima europea.

Meraviglia quindi che si continui a chiedere agli economisti di turno, consigli e soluzioni per una crisi che, nata sanitaria  si è allargata a economico finanziaria e sta ora diventando politica e quindi solo con strumenti politici può essere risolta. Abbiamo già visto cosa è successo nel 2008, col governo tecnico, presieduto da Mario Monti e messo lì dalla finanza internazionale, col beneplacito dei politici nostrani che non volevano insudiciarsi le mani a fare uno sporco lavoro, che avrebbe fruttato loro la impopolarità politica, come poi dimostrato dai quattro voti in croce presi da Monti stesso, che ebbe la geniale pensata di fondare una formazione politica e presentarsi agli elettori alla successiva tornata elettorale. Abbiamo visto che a pagare, come al solito, sono state le classi meno abbienti, per cui la forbice si è allargata, facendo crescere a dismisura il numero dei poveri o almeno di quelli che vivono alla soglia della povertà, sull'orlo di un baratro sempre pronto ad inghiottirli. Oggi, anzi, ieri, avevamo cinque o sei milioni di italiani, compatrioti, magari vicini di casa, amici, in questa tragica situazione. Ma il cuore generoso del resto della popolazione che, spesso sostituendosi allo Stato ed andando a colmarne le sue lacune, interveniva col volontariato e la beneficienza, oggi, anzi domani, rischia di non bastare più. Su sessanta milioni di abitanti, una proporzione di un bisognoso ogni nove donatori, reggeva abbastanza bene e iniziative come il Banco Alimentare, le mense delle varie Caritas e similari, facevano arrivare a fine mese gente che altrimenti non avrebbe saputo come farcela. Ma questa pandemia e la crisi economica ad essa collegata, magari anche un po' indotta, perché no, rischia di lasciarci in eredità un mare di nuovi poveri.

Se le stime sono corrette, uno scenario che ci presenterà un rapporto di uno a uno, tra bisognosi e donatori, è tutt'altro che irreale. Un'ipotesi da far accapponare la pelle, perché è evidente che sarebbe una situazione insostenibile, prodromica di un profondo disagio sociale che avrebbe grandi possibilità di sfociare in una rabbia di massa, un poveri contro ricchi, un tutti contro tutti, da cui si uscirebbe tutti, senza eccezioni, con le ossa rotte.

Per lunghi anni, dal boom economico ad oggi, questi avvoltoi della finanza globale, si sono comportati con noi come il pusher fa col drogato.

Prima una dose modica di beni e servizi, gratuita per giunta, giusto per provare e farci prendere gusto. Poi, visto il gradimento, dosi sempre più massicce, a costi sempre più elevati, fino a creare una totale dipendenza da un sistema che ci vede nella doppia veste di schiavi, produttori ed al contempo consumatori di quei beni e servizi di cui siamo stati resi succubi, incapaci di farne a meno. E come avviene col drogato che, finite le finanze proprie, vendute le cose di casa e depredata la famiglia, si getta a delinquere per procurarsi quello di cui non può più fare a meno, le masse di disperati, senza un lavoro, senza una casa, senza un domani, prima di vedere i loro figli morire di fame, saranno pronte a qualsiasi gesto.

Siamo pronti a vivere sulla nostra pelle, nelle nostre città, situazioni che finora abbiamo solo visto nei telegiornali, credendole lontane anni luce da noi e dal nostro dorato ma effimero benessere?

Quello che i politici italiani, oggi, non domani o fra una settimana o un mese, sono chiamati a decidere, è se sia lecito consentire ad un ristretto manipolo di avidi accaparratori, di tenere in ostaggio sessanta milioni di cittadini. Se uno Stato di diritto, deve privilegiare i loschi interessi speculativi di pochi a discapito del benessere di una Nazione, i cui cittadini li hanno scelti come tutori ed amministratori. Putin, col suo ruvido ma sbrigativo e sovente efficace assolutismo, ha tassato, dall’oggi al domani, le rendite più alte. Insomma, ha preso i soldi dove ci sono.

Come dovremo fare i conti coi cinesi per il virus, li dovremo fare anche con gli “amici” europei per la solidarietà economico finanziaria.

La grande opportunità che questa pandemia ci offre, è di ripartire da capo, riscrivendo le regole del gioco, mettendo al centro l'uomo, non il capitale. Restituendo al denaro il ruolo di mezzo con cui vivere onestamente e dignitosamente del proprio lavoro, non come fine da perseguire a discapito del prossimo, calpestandolo senza pietà.

Domenico Beccaria

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