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Calcio | 13 ottobre 2017, 12:03

Da mezzo secolo la Farfalla Granata non vola più

Domenica saranno trascorsi cinquant'anni dalla tragica e prematura scomparsa di Gigi Meroni. Artista, in campo e fuori, ragazzo avanti anni luce rispetto al calcio di allora

Da mezzo secolo la Farfalla Granata non vola più

"Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede". Questa frase, scritta da Indro Montanelli dopo la scomparsa del Grande Torino, calza perfettamente anche per Gigi Meroni.

La farfalla granata ha smesso di volare da mezzo secolo, da quella maledetta domenica sera del 15 ottobre 1967, quando venne investito, mentre attraversava sulle strisce in corso Re Umberto, dall'auto condotta da Attilio Romero (futuro presidente di un Toro assolutamente dimenticabile). Da allora Gigino, come lo chiamavano molti compagni e tifosi granata, ha continuato a dribblare lassù in cielo, assieme a capitan Valentino e compagnia. Meroni, infatti, assieme a Giorgio Ferrini è stato il giocatore più amato del dopo Superga, accomunato nello stesso tragico e prematuro destino.

Torino si vestì a lutto per l'ultimo saluto al campione, come era successo nel maggio del 1949, il 22 ottobre tutto lo stadio Comunale piangerà in silenzio la sua morte, con il Toro che travolse la Juve 4-0 nel derby più malinconico della storia. Tripletta di Combin, come aveva pronosticato Gigi nei spogliatoi la settimana precedente, dopo la partita contro la Sampdoria, mentre la quarta rete la segnò Carelli, che indossava quella maglia numero 7 che era di Meroni.

La Juve doveva essere nel destino dell'ala granata, che era stato già ceduto ai cugini nell’estate del 1967. L’Avvocato Agnelli era innamorato di lui, considerava Meroni l’erede di Omar Sivori e lo voleva per far diventare la squadra bianconera competitiva in vista della Coppa dei Campioni: dopo una lunga trattativa, il club bianconero aveva convinto il presidente Pianelli a cederlo, ma una mezza rivolta di piazza, con il paventato sciopero di centinaia di tifosi del Toro che lavoravano alla Fiat, convinse l’Avvocato a fare marcia indietro. Alla Juve passò un altro Gigi granata, Simoni, ma fu una cessione riparatrice. Molti giornalisti, tra cui l'ex direttore di Tuttosport Piero Dardanello, giurano che l’affare Meroni era stato solo posticipato di un anno, per far calmare la piazza.

Lo ha confermato anche di recente Natalino Fossati, che di Meroni era compagno di stanza, in una intervista al magazine Stile Toro: "Gigi lo sapeva, me lo aveva confidato: 'Perchè proprio alla Juve? Al Napoli andrei, tornerei a Genova, ma la Juve no...'. Si vede che era destino che non dovesse indossare la maglia bianconera".

Quando Meroni era arrivato al Toro era uno dei giovani emergenti del calcio italiano, prima nella sua Como e poi al Genoa aveva già fatto intuire di avere qualità sopra la media: fantasia, dribbling, estro, non mancava nulla nel suo repertorio. Era un’ala destra vecchia maniera, di quelle che saltavano l’uomo con facilità per rientrare e andare direttamente al tiro o regalare assist al bacio per le punte. Il Presidente Orfeo Pianelli spese una cifre enorme per l’epoca, quasi 300 milioni di lire, per regalarlo al Paron Rocco nel luglio 1964 e costruire un Toro nuovamente capace di dare l’assalto al vertice della classifica.

Gigino, come lo chiamavano i compagni, oppure Calimero, come lo avevano ribattezzato i tifosi granata più anziani, conquistò subito tutti per la sua classe immensa. Ma Meroni non fece parlare di sé solo per quello che faceva in campo. Personaggio estroso ed anticonformista, portava i capelli lunghi come facevano tanti ragazzi dell’epoca, anticipando la rivoluzione culturale del 1968, ma per un mondo bacchettone come quello del calcio era un insulto. E Gigi per questo ebbe scarsa fortuna in nazionale, dove l’ostracismo di una parte della critica e del ct Fabbri lo relegò ad un ruolo marginale.

Meroni era un artista non solo sul campo. Amava dipingere, nella sua mansarda di piazza Vittorio c’erano opere e quadri che si dilettava a fare nelle ore libere, ma essendo figlio di una sarta aveva disegnato anche abiti e pantaloni con cui andava abitualmente in giro. Amava viaggiare forte con la sua macchina, ma anche girare la città portandosi al guinzaglio una gallina (anche se l'amico Fossati giura di averglielo visto fare solo a Como). Meroni stravolgeva le abitudini dei calciatori normali, perché era un istrione, un personaggio geniale avanti di molti anni rispetto al pensiero dominante.

Di lui si ricordano un pallonetto da favola con cui incantò San Siro, mettendo ko la Grande Inter del ‘mago’ Herrera, ma anche il fatto che convivesse con una donna più grande di lui, Cristiana, che non era ancora formalmente divisa dal marito. Un altro scandalo per i benpensanti dell’epoca, in un’Italia nella quale non era stato ancora introdotto ufficialmente il divorzio. Nel luogo dell’incidente mortale, solo nel 2007, è stata finalmente posta una lapide, ma in quel punto ogni anno ci pensavano i tifosi granata con fiori, scritti, poesie, a ricordare ai più giovani che li aveva smesso di volare la farfalla granata.

Alla memoria di Meroni sono stati dedicati libri (il più toccante quello di Nando Dalla Chiesa), poesie, canzoni, reportage, anche una fiction televisiva (peraltro non troppo fedele nella ricostruzione). In questi giorni c'è un fiorire di iniziative: libri, riviste, dvd, serate organizzate dai club granata, interviste agli ex compagni che lo avevano conosciuto bene. Perché, anche se è passato mezzo secolo, è come se la farfalla granata continuasse a volteggiare. Purtroppo uno come lui, in campo, non lo si vede da un pezzo con la maglia del Toro... L'auspicio è che domenica la squadra di Mihajlovic sappia sfoderare una prestazione all'altezza a Crotone per onorarne la memoria nel modo migliore. Ciao Gigi.

Massimo De Marzi

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