Alla fine, l'ultimo capitolo della vicenda della Dr. Fischer di Alpignano, potrebbe consumarsi in un'aula di tribunale con il terzo grado di giudizio della Cassazione.
I fatti risalgono a dicembre 2015, quando l'azienda aveva chiuso i battenti, licenziando tutti i dipendenti: 61 persone tra operai e impiegati. Ma ben presto - pare già nel gennaio 2016 - le attività all'interno di quegli spazi erano riprese, sotto una diversa denominazione e con il riassorbimento di 10 del gruppo dei vecchi lavoratori. Una nuova società, insomma, che fino a oggi ha continuato a produrre gli stessi prodotti, con le stesse attrezzature e negli stessi locali della Dr. Fischer posta in liquidazione.
Tutti gli altri dipendenti, però, non hanno avuto altra scelta che rivolgersi alla giustizia, impugnando il licenziamento e chiedendo al giudice il reintegro nel posto di lavoro. In primo grado il Giudice del Lavoro ha respinto la richiesta dei lavoratori per un cavillo normativo. Si è arrivati dunque al ricorso in Appello e in quel momento l'azienda ha deciso di proporre un'offerta economica per chiudere la questione.
I 40 lavoratori, ormai esasperati da due anni di vicende giudiziarie - e molti dei quali senza un lavoro - lo scorso 12 dicembre hanno accettato l'offerta. Tranne due di loro che l’hanno rifiutata ed hanno deciso di ricorrere in Cassazione.
L’udienza, prevista per il 6 febbraio, è stata affidata a un altro giudice e quindi è stata fatta slittare a luglio. Ma se per quel tempo dovesse verificarsi una sorta di conciliazione, il ricorso al terzo grado di giudizio potrebbe anche non avere luogo.
Ma intanto che ne è stato dei vecchi lavoratoti messi in strada dalla Dr. Fischer? Di 40, solo 3 hanno trovato un posto di lavoro a tempo indeterminato. Gli altri sono tutti precari, con contratti a termine o addirittura senza lavoro. Il caso emblematico è quello di un ex lavoratore, iscritto alle categorie protette, che in due anni e mezzo ha lavorato un solo giorno ed è costretto rivolgersi alla Caritas per ottenere un piccolo sostegno quotidiano per sopravvivere.
I due lavoratori che hanno fatto ricorso in Cassazione si dicono "amareggiati: sia dall'atteggiamento dell'azienda che li ha licenziati, sia dall'andamento della vicenda giudiziaria". “E' inammissibile - dicono - che per decidere se un licenziamento è legittimo o meno ci voglia tutto questo tempo”.
“Nel tempo sono tornati i clienti e la produzione è tornata a crescere - proseguono -, ma invece di attingere a noi ex lavoratori rimasti senza lavoro da più di 2 anni, l'azienda sta assumendo dei lavoratori interinali presi dalle agenzie”.
Dopo il licenziamento del 2015 i lavoratori sono stati abbandonati a se stessi, i riflettori si sono spenti quasi subito e nessuno si è più interessato a loro. “La nostra storia - dicono i due lavoratori che hanno deciso di andare avanti nella causa - è simile a quella della Embraco. Siamo rimasti stritolati dalle strategie di multinazionali straniere. Si fa tanto rumore mediatico, ma poi decide l'azienda. Senza che nessuno possa muovere un dito”. "Quello che chiediamo - concludono - è solo di lavorare, non vogliamo la pietà di nessuno e nemmeno quattro soldi per farci tacere su un fatto che è stato così deleterio per le nostre vite e per le nostre famiglie".