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Sport | 28 settembre 2025, 11:50

Carlotta Gilli, per tutti "WonderGilli": ritratto di una super donna

Tutti i retroscena della giovane atleta paralimpica, tra sport e vita quotidiana

L'atleta paralimpica Carlotta Gilli

L'atleta paralimpica Carlotta Gilli

Carlotta Gilli, giovanissima campionessa pluripremiata di nuoto, prima olimpica e poi, dal 2017, paralimpica, fin da piccola riesce a conciliare sport e percorso di studi, laureandosi in Psicologia nel giugno 2025. Curiosa ed appassionata, ama sciare e trascorrere il tempo libero con famiglia ed amici, ritagliandosi momenti preziosi anche nella vita di tutti i giorni. L'intervista nasce dalla lettura del suo libro autobiografico "Una luce nell'acqua".

Nel febbraio 2008 la diagnosi: malattia di Stargardt, che comporta lo sviluppo di una retinopatia degenerativa. Nel libro dici che nella tua vita non c'è stato un prima e un dopo: meglio così? C'è mai stato un momento in cui pensavi di non farcela, nella vita come nello sport? Hai trovato il motivo per cui dici che la malattia ti ha scelta?

"Nella sfortuna sono stata fortunata perché la malattia si è manifestata a sei anni, con l'incoscienza di quell'età. Sono nata e cresciuta in una famiglia di medici e quindi con l'idea che, quando stai male, prendi una medicina e guarisci. Ma quando i miei genitori mi dissero ciò che stava accadendo, chiesi loro quale fosse il farmaco da assumere e per la prima volta sbattei la testa contro il muro perché la risposta fu 'La ricerca scientifica sta andando avanti ma ad oggi una cura non c'è'. Non mi resi conto della gravità della situazione e fu a quel punto che dissi 'Se la malattia ha scelto me, un motivo ci sarà'. Questo non vuol dire che sia stato facile.

Sicuramente è meglio che non ci sia stato un prima e un dopo, non ho avuto un evento traumatico, un incidente. Man mano che crescevo la vista peggiorava, ma nonostante questo ho sempre continuato a fare tutto. Ho dovuto trovare espedienti per superare ogni nuovo ostacolo, però non mi sono mai fatta domande, non mi sono mai chiesta perché. Momenti di sconforto e difficili ne ho avuti, ma non legati alla malattia".

In che modo e se è cambiato il rapporto con la tua famiglia dopo la diagnosi? Hanno sviluppato iper protezione o ti hanno concesso subito autonomia?

"I miei genitori, essendo entrambi medici, si sono resi subito conto della gravità della situazione, ma mi hanno comunque sempre lasciata libera. Non mi hanno mai detto 'Questa cosa non la puoi fare perché non vedi', e quindi il rapporto non è cambiato. Sicuramente anche loro hanno imparato a fare alcune cose nei miei confronti in maniera diversa ma, ripeto, abbiamo continuato a fare tutto, e quando c'era una difficoltà si trovava il modo per superarla".

Ma veniamo allo sport: nel libro dici che il tuo primo amore è stato il calcio? Da cosa è nata questa tua passione?

"Nonostante nella mia famiglia nessuno fosse tifoso, da piccola avevo espresso il desiderio di giocare a calcio perché, durante le elementari, essendo molto legata sia alle mie compagne femmine che ai maschi, spesso negli intervalli o nelle ore di educazione fisica giocavo a calcio con loro e sfogliavo i loro album di figurine. Così è nata la passione per questo sport".

Per quanto riguarda il nuoto, raccontaci le emozioni della primissima gara, sia olimpica che paralimpica e poi quella delle prime vittorie. Dopo tutti questi anni l'emozione è sempre la stessa o è cambiato qualcosa? Cosa significa, per te, nuotare e gareggiare?

"All'inizio non volevo nuotare, andavo in piscina controvoglia. Le mie prime gare, sia olimpica che paralimpica, coincisero con le mie prime vittorie in quel mondo. Nella mia primissima gara, olimpica, avevo sette anni, e vinsi la mia prima medaglia d'oro. Quella competizione mi fece capire che, da grande, avrei voluto fare l'atleta, nuotare. Fu un'emozione inaspettata, era tutto nuovo, ma con un significato enorme. La prima gara paralimpica - Coppa del Mondo a Berlino, giugno 2017 - avrebbe dovuto farmi capire se avessi voluto tuffarmi in questa nuova avventura, ed effettivamente fu così. Lì l'emozione fu grande, perché mi trovai catapultata nel mondo dei grandi e nel nuoto di altissimo livello. Negli anni ho vinto medaglie d'oro, battuto i primi record italiani e mondiali.

Un record mondiale è qualcosa che rimarrà per sempre nella storia, capisci che in quel momento non c'è nessuno che va più veloce di te in quella gara e realizzi di aver fatto davvero qualcosa di grande. Le emozioni sono cambiate nel tempo nel senso che, se da piccola l'adrenalina maggiore era quella dei campionati regionali, adesso lo è un mondiale, un europeo, un'olimpiade, mentre il campionato regionale è solo di passaggio. Ma nella gara a cui tieni di più, che nel tempo sicuramente cambia, l'emozione rimane sempre quella. Quelle cose lì rimangono per sempre.  Nuotare è un po' sentirmi a casa, nel mio habitat, e gareggiare è il senso dell'attività e della vita che sto facendo in questi anni. Mi alleno tanto, perché poi, quando gareggio, voglio cercare di farlo al meglio."

Hai vissuto tentennamenti nel gareggiare con gli atleti paralimpici e, se sì, cosa, poi, ti ha spinta ad iniziare?

"Sì, per il fatto che fosse un mondo ignoto. Come tutte le cose che non conosci, a tratti fanno un po' paura, e per me era la stessa cosa. Dopo aver ascoltato elogi da parte di tutti - Ct della Nazionale compreso - decisi di provare ad entrarvi. Fatta la prima gara capii che dovevo continuare a fare quello che stavo facendo. Ciò che avrei potuto fare di più era correre ancora più forte...".

Nel tuo libro racconti di una tua liturgia scaramantica nello sport: ti va di dirci in che cosa consiste? Ovviamente se si può rivelare...

"Non ho riti prima della gara, ma sono sempre stata un'atleta superstiziosa, sin da piccolina, ed è una cosa innata, non me l'ha trasmessa nessuno. Ho tanti oggetti scaramantici: prima di partire per le competizioni, quando preparo la valigia, più che pensare a costumi, cuffie, occhialini, penso a tutti i miei portafortuna da portare, ad esempio una sacca gialla dove metto i costumi, il caricatore e la cover del cellulare. Sono stupidaggini ma sono tutte cose che mi fanno stare tranquilla e non mi costa portarle".

Che emozioni provi nell'essere Ambasciatrice del Movimento Paralimpico Italiano, Commendatore della Repubblica Italiana, membro delle Fiamme Oro nella Polizia di Stato e in generale per ogni onorificenza?

"Sono tutti grandissimi riconoscimenti. Essere poliziotta a tutti gli effetti è un motivo di immenso orgoglio, perché oggi posso mettermi al servizio delle altre persone con l'impegno nel sociale grazie alle mie gesta sportive. Sono cosciente del fatto che tutto questo, un giorno, finirà, e poi potrò farlo con la divisa della Polizia di Stato, come tutti i poliziotti. Le onorificenze che ho sono tante, essere un Commendatore della Repubblica è, se non la più bella, una delle più belle, per mano del Presidente Mattarella.

E ancora, Ambasciatrice dello sport e collari d'oro al merito sportivo. Tutte hanno un valore particolare, così come ogni medaglia, perché dietro c'è un viaggio lungo e a tratti difficile, quindi ne vado molto fiera. Ho tutto in camera, medaglie ed onorificenze. La sera, prima di dormire, voglio rivedermele per ricordarmi che, in questi anni, nella mia vita, qualcosa di buono l'ho fatto".

A che punto pensi sia arrivato il processo di inclusione nello sport e nella vita di tutti i giorni?

"A un punto molto buono. Se penso a qualche anno fa, quando ho iniziato a gareggiare nel mondo paralimpico, era tutto molto più indietro e molto più difficile. Noi atleti paralimpici non eravamo arruolabili nei corpi militari, nei gruppi civili dello Stato. Venivamo visti solo come 'i poverini', eroi a riuscire a fare uno sport nonostante la disabilità. Adesso invece le cose sono cambiate, siamo molto più seguiti dai media, invitati a molti più eventi. Veniamo visti come atleti e basta, per le nostre capacità strettamente tecniche. Anche l'accessibilità delle strutture e delle strade sta migliorando sempre più, tanti passi in avanti li abbiamo fatti. Sicuramente tanti altri possiamo farne, su questo sono molto fiduciosa. Se vogliamo, siamo sulla strada giusta".

Hai rimpianti o rimorsi o finora hai realizzato tutto ciò che desideravi? Riesci a vivere sempre appieno il presente?

"Non posso lamentarmi. Il mio sogno sportivo era di arrivare alle Olimpiadi e poterle vincere, e sono riuscita a farlo più di una volta. Anche il sogno di laurearmi l'ho portato a casa, quindi ad oggi sono più che felice del percorso che ho fatto e spero di poter continuare su questa strada. Vivere il presente? Ni. Cerco di farlo, ma mi rendo conto che, nella maggior parte delle situazioni, realizzo mentalmente solo dopo quello che è successo, specialmente nelle grandi imprese sportive e disputando tante gare, perché energia e concentrazione devono essere dedicate, di volta in volta, alla nuova competizione. Poi quando sei in un'Olimpiade sembra davvero di vivere su un altro pianeta, ti rendi conto di essere una formichina in un mondo di giganti.

Poco più di un anno fa sono finite le Paralimpiadi di Parigi. Su quel podio ero contentissima: la medaglia, la piscina piena, la mia famiglia, i miei amici in tribuna, però non mi rendevo conto di quello che era successo. Quando, tornata a casa, riguardo foto, medaglie, sono orgogliosa di me, ho ancora i brividi ora solo al pensiero. Nella vita di tutti i giorni, invece, riesco abbastanza a vivere il presente. Quando ci sono cose che mi piacciono me le godo al momento, che sia un weekend al mare o passare del tempo con famiglia ed amici, un pranzo, una cena o un'uscita".

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

"Realizzare tutto ciò che mi prefiggo, sia in ambito sportivo, sia universitario e personale. Ognuno di noi ha sogni nel cassetto che, col tempo, si evolvono, cambiano, ma l'importante è riuscire a realizzarli, essere felice e star bene".

Federica De Castro

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