Non solo celebrazioni, ma nemmeno allarmismi. Per il Piemonte il tartufo è cosa seria. Serve pianificazione, tutela del patrimonio, diffusione del sapere antico e uno sguardo rivolto al futuro. L’urgenza c’è, soprattutto in termini di quantità del prodotto e di evoluzioni legate al cambiamento climatico. Ma i temi sono molti: urbanizzazione, abbandono dei sistemi agricoli tradizionali e scarsa gestione dei boschi hanno progressivamente ridotto l’areale produttivo naturale. Ma dove il suolo è rimasto integro, la gestione attiva dei boschi e la cura del paesaggio agrario possono invertire la tendenza.
Stagione partita in sordina
Occorre prepararsi, individuando percorsi, anche urbanistici, per salvaguardare un prodotto che per il Piemonte è vitale. Per farlo sono necessarie strategie diverse, già individuate e che ora si cerca di portare avanti. Ed è giusto parlarne ora, in piena stagione (partita quest’anno in sordina), per guardare alle prossime.
I cambiamenti corrono
“Siamo sulla strada giusta”, sostiene Antonio De Giacomi, grande conoscitore del Tuber Magnatum Pico e presidente del Centro Nazionale Studi del Tartufo. “Ma i cambiamenti corrono e noi stiamo camminando”, aggiunge.
La nuova cartografia
Su questi presupposti è nato il progetto della Regione Piemonte Tuber Next Gen 2025. Cuore dell’iniziativa sono le nuove Carte di Attitudine dei Suoli alle Produzioni Tartufigene, elaborate da IPLA, che rivelano numeri importanti: oltre 333 mila ettari risultano oggi ad alta o media vocazione tartufigena, con un balzo del 39% rispetto alle stime precedenti. 441 i Comuni individuati, 32 dei quali entrano per la prima volta nella classificazione, con una forte concentrazione nelle province di Cuneo, Asti, Alessandria e Torino.
Dove c’è potenziale
La cartografia era ferma a 25 anni fa e rispetto agli ultimi aggiornamenti sono cambiati i criteri. "Oggi indichiamo attitudini e potenzialità, integrando elementi come l’idrometria, l’esposizione e la qualità del soprassuolo”, ha spiegato Andrea Morando. Un esempio è il caso dei tartufi bianchi alla Pellerina di Torino. L’attitudine c’è ( e si conosce), ma trattandosi di un parco urbano pubblico il potenziale si riduce.
In questo modo è possibile destinare in maniera mirata i fondi destinati alle tartufaie, identificando le aree più promettenti per la crescita delle tre specie più pregiate: il tartufo bianco pregiato, il nero pregiato e lo scorzone estivo. Prodotti, come ricordato dal presidente Cirio, che non sono agricoli e quindi non permetto di accedere direttamente a fondi come il PSR.
Gli ecosistemi ideali
Secondo gli esperti, gli ecosistemi ideali sono quelli dei querceti, saliceti, pioppeti, ma anche siepi, filari alberati e formazioni lineari inserite in contesti agricoli: habitat che uniscono biodiversità e equilibrio idrogeologico.
“C’è una responsabilità condivisa – ha sottolineato ancora De Giacomi –. Servono meno banalizzazioni, meno retorica sui ‘grandi prezzi’ che allontanano i ristoratori, e più consapevolezza. I raccoglitori devono essere parte della rigenerazione, il patrimonio non si esaurisce: si coltiva, si tramanda”.
L’aggiornamento dei Piani
Tuber Next Gen 2025 è stato presentato oggi al Grattacielo Piemonte e si inserisce nell’aggiornamento del Piano Territoriale Regionale e dei Piani Forestali.
"Il tartufo non è solo un’eccellenza gastronomica, ma una parte della nostra storia - commentano il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, e l'assessore alla Pianificazione territoriale e Urbanistica, Biodiversità e tartuficoltura, Marco Gallo - La pianificazione territoriale e quella forestale devono lavorare insieme, perché la qualità del paesaggio e la gestione sostenibile dei nostri boschi e degli alberi in ambiente rurale sono le basi della produzione tartufigena. Investire nella pianificazione significa costruire oggi per le prossime generazioni un territorio più resiliente, capace di coniugare identità, sviluppo e sostenibilità”.











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