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Eventi | 13 settembre 2018, 10:00

Gli eventi del Museo d'Arte Urbana nel prossimo weekend

Appuntamento con le opere di Mauro Suppo e Sergio Vettori, protagonisti di una doppia personale dal titolo "Io sono, noi siamo"

Gli eventi del Museo d'Arte Urbana nel prossimo weekend

La poetica artistica del Novecento, a partire dall’avanguardia storica, in questo caso non solo l’organico ed anticipatore Futurismo, ma soprattutto Dada, con l’intuizione oggettuale di Marcel Duchamp, orinatoi e ruote di bicicletta investite di aura artistica dalla forza sciamanica dell’artista e gli assemblaggi di Kurt Schwitters, si è cimentata con una concezione nuova dell’arte, un’arte che fosse in grado di aprirsi al mondo, contaminarsi con il quotidiano tramite l’acquisizione di reperti di realtà secondo la logica dell’ “objet trouvè”.

Queste tematiche hanno trovato una diffusione su larga scala, nell’ambito di un concetto e di una pratica di avanguardia “normalizzata” a partire dal secondo dopoguerra.

La lunga e composita stagione dell’Informale verteva attorno ad un tema prevalente, quello di un’azione artistica intesa come manifestazione di energia vitale, apertura nei confronti dei fenomeni, dialettica tra interno ed esterno. Il limite comune alla maggior parte di quegli artisti fu di carattere oggettivo, quello di non avere violato, nella maggioranza dei casi, quel tabù bidimensionale che appariva ormai come un limite da superare, stante i presupposti teorici.

Già nella seconda metà degli anni ’50 si sviluppano le linee guida di quella che sarà la successiva stagione del Concettuale. Tra le molte correnti di pensiero fortemente venate di profetica utopia che agitano il dibattito culturale di quegli anni si distingue il Situazionismo di Guy Debord. Predicando un nuovo concetto di arte, svincolata da qualsiasi principio di valore e dall’inserimento in quel sistema borghese che finiva per neutralizzarne l’eversione linguistica, riducendola sostanzialmente a prezioso bene di consumo, merce tra le merci, i Situazionisti sostenevano l’esigenza di un’arte puramente comportamentale, da viversi e consumarsi nel “qui ed ora”, indistinguibile da qualsiasi altra azione esistenziale.

In particolare la teoria del “detournement” prevedeva la realizzazione di opere costruite seconda la tecnica dell’assemblaggio di materiali ed oggetti recuperati, scorie tratte dall’opulenza della società industriale e vivificate, fatte assurgere a nuova vita e significanza dall’atto creativo. Nell’eterno gioco di rimbalzi e rimandi che caratterizza il ciclo dell’arte, questi temi si ritrovano “tout court” all’interno del concettuale di matrice “mondana”  quello, per intenderci, aperto al contatto con il mondo dell’esperienza, che in Italia ha trovato la sua sublimazione nell’Arte Povera.

Con l’avvento del successivo ciclo caratterizzato dall’ingresso in una fase di post modernità i temi relativi ad un utilizzo dell’arte contemporanea come viatico per una migliore qualità della vita hanno assunto, specie nell’ultimo ventennio, una evidente centralità.

La pratica dell’assemblaggio di scarti della civiltà dei consumi è diventata pratica abituale, da interpretarsi anche alla luce di una più diffusa sensibilità ambientale, vissuta sullo sfondo del sempre più evidente problema di smaltire e riciclare l’enorme massa di rifiuti attualmente prodotta,  così come la sperimentazione di nuovi ed inediti materiali plastici e sintetici, in grado di agevolare gli artisti nella creazione di installazioni capaci di combattere ad armi pari una battaglia di immagine nei confronti dell’incessante incedere di patinati simulacri tipici della nostra società caratterizzata, nel bene e nel male, dall’invasività della tecnologia e degli strumenti di comunicazione.

In occasione di questa manifestazione il tema è proprio quello dell’impiego, in arte, di materiali di recupero e, più generalmente, “economici”, tramite cui porsi l’obiettivo di un rinnovamento delle forme del linguaggio.

Tracce di questa poetica, centrale nelle dinamiche dell'avanguardia novecentesca, e persistente ancora oggi, come una sorta di opposizione alla dimensione globalizzata dell'arte e della cultura, si rinvengono in maniera evidente nelle opere di Mauro Suppo e Sergio Vettori.

I due artisti sono protagonisti di una doppia personale presso i locali della Galleria del Museo d'Arte Urbana , dal significativo titolo "Io sono, noi siamo". in quel torinese Borgo Campidoglio dove la dimensione artistica e quella relazionale trovano un perfetto punto di equilibrio.

Suppo e Vettori, forti di un legame artistico ed amicale, si producono in una serie di riflessioni acute sui temi della difficoltà a comunicare che caratterizza il nostro tempo, e sulla parallela volontà di spezzare il cerchio e rimettersi in gioco, al di là del mascheramento dietro certezze di facciata.

Entrambi impegnati nel ri-uso di materiali di scarto, metalli ed elementi naturali primari come il legno, in questo allestimento i due autori  giocano di sponda con le loro poetiche.

Vettori propone una serie di volti umani creati con l'assemblaggio di vari oggetti di recupero, in grado di raggiungere una dimensione di surrealtà ed ironica fantasia che ricorda in parte le opere di un grande artista come Enrico Baj.

Mauro Suppo si posiziona nell'alveo pittorico, tracciando su tela, con armonico senso del ritmo visivo, sagome di volti umani che si sfiorano senza confliggere, alla ricerca di un senso comune dell'esistenza, in grado di coniugare il vissuto personale a quello collettivo.

c.s.

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