La prima ed unica volta in cui gli parlai insieme, l'avrei mandato volentieri a quel paese.
Era il giorno dell’inaugurazione del Filadelfia e Sinisa, alla guida dei suoi ragazzi era sul campo principale per la cerimonia. “Allora, com’è sto terreno del Filadelfia?” fu la domanda che gli rivolsi, con contenuti più spirituali che calcistici, pensando a quello che per noi granata quel campo ha sempre rappresentato, a livello iconografico e sentimentale.
“Fa cagare, è pieno di buche”, fu la sua secca replica.
Contai fino a dieci, pensai che non era il momento di fare questioni e mi girai dall'altra.
Tutta la mia bella poesia sul Tempio degli Immortali, il Prato della Leggenda, erano andare a farsi fottere così, in due frasi.
Per la carità, magari il manufatto non era dei più pianeggianti, magari il manto erboso era suscettibile di migliorie, ma un po' più di tatto, nell’esporre le sue perplessità, non mi sarebbe dispiaciuto, vista anche la situazione ed il momento particolare.
Ma lui è fatto così.
Prima di quel giorno, ma anche dopo, da parte mia c'è sempre stata molta ammirazione nei suoi confronti, per come viveva ed interpretava il calcio e, probabilmente, anche la vita. Una sfida a viso aperto, senza mezzi termini e senza quartiere. Tutto o niente, vincitore o vinto, ma sempre con l'onore delle armi, per averci provato lealmente, con tutti i mezzi a disposizone.
Così è lo sport, così è la vita, anche secondo il mio modo di vedere.
Quando seppi del suo arrivo alla guida del Torino, dopo cinque noiosissimi anni di “titic e titoc” di S-venturiana memoria, feci festa grande. I due vergognosi minuti di anticalcio assoluto di Castellammare di Stabia, mi ripassarono davanti agli occhi ed in quel momento, lo confesso, avrei accettato anche Bettega alla guida del Torino pur di non vedere più il Vate.
Figurarsi avere un condottiero ardimentoso e spericolato, come Mihaijlovic!
Lo invitammo a visitare il museo, ma non venne mai. Mi diedi pace di questo, così come per altri prima e dopo di lui. Peggio per lui, non sa cosa si è perso, pensai. Dacché esiste, al museo, di loro spontanea volontà, con entusiasmo, anzi, ci sono venuti giusto Lerda, da allenatore e Mondonico, da avversario, quando allenava l’AlbinoLeffe, anche se è difficile immaginare Emiliano come “avversario”, più alcuni giocatori, del presente e soprattutto del passato.
Meglio così. Di visite di forma, ma senza sostanza, se ne fa volentieri a meno.
Fui sinceramente dispiaciuto del suo esonero, perché secondo me meritava di arrivare a fine stagione. Ma il calcio è anche questo. La troppa schiettezza provoca troppi nemici, che a dispetto di Giulio Cesare e di Mussolini, non portano molto onore, ma molti dispiaceri.
La scorsa stagione venne a Torino, fresco allenatore del Bologna, per farci un clamoroso quanto meritato sgambetto, che lanciò i rossoblu felsinei sulla strada dell’agognata salvezza.
Oggi, con le lacrime agli occhi, ma anche con il cuore saldo proprio del combattente di razza qual’è, ci annuncia che scende in campo per giocarsi la partita più importantedella sua vita, anzi, per la sua stessa vita.
L'avversario, la leucemia, è di quelli ostici, di quelli che raramente lasciano scampo, ma lui è un duro, di quelli che la morte, quella vera, in faccia l'ha vista già altre volte nella sua vita avventurosa.
E quindi credo di rappresentare la totalità del Popolo Granata, nell’augurargli di giocare questa partita decisiva con la stessa grinta ed intensità con cui ha disputato tutta la sua vita e la sua carriera, da giocatore come da allenatore.
Forza Sinisa, ce la farai!