Prima che si scateni la solita ordalia sui social, che partano i caroselli di auto e che venga montato il circo contro “la BCE che non deve dare i soldi alle banche, ma ai cittadini” e di quelli che “ah se c’era Draghi!” oppure dei patrioti che proclameranno senza dubbi che “Draghi ha detto cosa bisogna fare, ma i cattivoni tedeschi e olandesi non vogliono salvare l’Europa” cerchiamo di ricapitolare, in termini semplici, il significato del suo articolo su Financial Times.
Cosa ha scritto Draghi?
La situazione è grave. Ci sarà una crisi senza precedenti, che richiederà un radicale cambio di paradigma rispetto agli ultimi decenni e un modo di guardare le cose che esula dagli strumenti e dalle politiche (fiscali e monetarie) tradizionali. Soprattutto, gli interventi dovranno essere rapidi perché – dice – il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Cioè fatale.
Stiamo, insomma, rischiando tutto.
Ci sarà (di fatto: c’è già) un crollo della domanda: falliranno moltissime aziende che potranno invece salvarsi solo indebitandosi (quindi emettendo quello che Draghi chiama “debito privato”). Ma poiché nessuno potrà mai finanziare, tutto insieme, un debito privato di dimensioni così ingombranti (è già gigantesco oggi su scala mondiale, figuriamoci domani) dovrà intervenire il bilancio pubblico.
In che modo? Facendo debito.
In che forma? Come in tempo di guerra: mantenendo pressoché invariato (o aumentandolo) il livello della spesa pubblica a fronte del crollo delle entrate tributarie che si registrerà senz’altro. Quindi deficit, quindi debito pubblico. Questo serve per mantenere vive le aziende sane che non potranno reggere al crollo della domanda. Per intenderci: non per salvare Alitalia e altri carrozzoni, ma chi soffre di una perdita di fatturato “senza colpa”. Trattengano dunque le grida di giubilo (che già si odono) quanti credono che Draghi sia passato armi e bagagli nel campo dell’assistenzialismo parassitario. Più avanti dirò il perché.
In altre parole: siamo in presenza di un fallimento del mercato, vero e reale, non quelli di cui si sono riempiti la bocca i nostri politicanti e banchieri (figure a volte coincidenti) per giustificare sofferenze bancarie e crediti deteriorati in quantità industriale, dovuti piuttosto alla pratica diffusa di concedere credito con criteri clientelari, cioè alla vecchia commistione tra banche e politica che è cosa ben diversa da uno shock esogeno della domanda.
Qual è il modo migliore per mettere il bilancio dello Stato al servizio del debito privato senza creare distorsioni? Non solo sussidi di disoccupazione a chi avrà perso il lavoro (quindi assistenza di ultima istanza come cassa integrazione per tutti e misure similari) ma soprattutto proteggendo i posti di lavoro prima che vengano distrutti. Meglio intervenire prima che dopo. Se i governi si limitassero a sussidiare i disoccupati finirebbero per distruggere risorse, perché un sussidio è solo uno strumento di consumo se non accompagnato da una capacità del settore privato (o pubblico, in questo scenario) di rigenerarsi, ricreando l’offerta perduta e assorbendo nuova occupazione di rientro. Si può anche comprenderne l’uso in tempo di guerra, ma è molto meglio la seconda soluzione. Per prevenire che la disoccupazione esploda bisogna allora evitare il più possibile i fallimenti delle aziende, erogando liquidità. Attenzione, qui il meccanismo è sottile.
Draghi non propone (nessuno sano di mente potrebbe proporlo) di stampare soldi e regalarli a tutti. Se qualcuno sta pensando questo, freni i bollenti spiriti. Dare liquidità alle imprese significa darla alle banche che poi – a loro volta – dovranno finanziare le imprese a tassi prossimi allo zero (Draghi dice “a costo zero”). Le banche sono l’anello fondamentale di questo meccanismo di trasmissione, perché hanno la capacità di creare denaro attraverso il meccanismo della trasformazione dei depositi (il moltiplicatore del credito) quindi chiunque domani dovesse uscirsene con le solite sparate idiote (“la BCE dà i soldi alle banche, non ai cittadini”) non ha capito nulla, o quasi. Tanto per cambiare.
Le banche creano letteralmente denaro dal nulla quando raccolgono depositi trasformandoli in prestiti (alle famiglie, alle imprese) con un fattore moltiplicativo. Il problema è che, quando la ricchezza privata viene distrutta, i depositi non possono aumentare (al più diminuiscono), il moltiplicatore del credito si inceppa e il denaro non viene più creato. In questi momenti può scendere in campo la banca centrale.
Funziona più o meno così: la BCE stampa tutta la liquidità di cui le banche dell’Eurozona hanno bisogno e gliela mette a disposizione. Le banche devono poi prestarla a costo zero (prestarla, non regalarla: Draghi scrive “lend funds to companies” non ”hand funds to companies”) senza lungaggini e senza burocrazie. Costo zero non significa zero interessi, perché le banche hanno costi di gestione, ma - diciamo - costo vicino ai tassi di mercato. Rapidamente, agilmente. Qual è la garanzia che questo modus operandi non si traduca nell’assistenzialismo più sfrenato? Il mercato. Quel denaro va restituito, perché non si può scaricare sul sistema finanziario il costo dell’insolvenza da emergenza. Dopo, altrimenti, non avremo più banche e la cinghia di trasmissione della politica coordinata (fiscale-monetaria) si spezza. Draghi si spinge a fare un esempio: se un’azienda ha ordini (“backlog”) ma deve finanziarli, oppure sostenere temporaneamente (o strutturalmente) il peso finanziario del capitale circolante, prenderà denaro a prestito se saprà che potrà ripagarlo. Non prenderà soldi a prestito senza avere un business, senza una posizione competitiva sul mercato che le consenta di generare successivamente le risorse necessarie a ripagare quel debito. Quindi le banche devono erogare credito, ma questo non implica la deroga ai principi di merito del credito. Quindi, se qualcuno ha in mente cose tipo “helicopter money” o “soldi per tutti” le cose non stanno così e il risveglio sarà brusco.
Fin qua siamo nel campo del Quantitative Easing, e di tutti gli strumenti classici che conosciamo bene (LTRO). Può bastare tutto questo? È molto difficile.
Qui il discorso di Draghi diventa più dirompente e indica due vie possibili: (1) il sostegno diretto dei governi alle imprese che si saranno indebitate, (2) l’intervento dei governi con garanzie di ultima istanza quando le imprese falliranno. Anche un bambino capisce che la (1) è meglio della (2). La ovvia controindicazione della (1) è il cosiddetto moral hazard, cioè la legittimazione di qualsiasi idiozia imprenditoriale con la scusa che tanto pagherà, sempre e comunque, il contribuente. Ma anche la (2) contiene un moral hazard, seppure posticipato, quindi si tratta di qualcosa con cui dovremo convivere per i prossimi anni.
L'altro rischio è che lo Stato occupatore invada tutti gli spazi possibili, spiazzando l'iniziativa privata. Che insomma diventi molto più facile (o conveniente) in futuro lavorare per lo Stato che affrontare i rischi dell'iniziativa imprenditoriale. Se lo Stato si accolla il rischio d'impresa, sottraendolo al privato, l'effetto è una perdita generale di opportunità che si traduce poi in un output gap strutturale. Questo, in soldoni, significa rallentare la curva di accesso a uno standard di vita migliore per tutti. Se non ci fosse l'iniziativa privata, ma le imprese fossero state gestite dai governi, non avremmo oggi molte delle innovazioni che hanno cambiato la nostra vita.
L’effetto per il bilancio pubblico della (1) e della (2) è tuttavia lo stesso. Il debito pubblico di tutti i paesi è destinato ad aumentare in misura sostanziale. Quindi ci saranno sicuramente, da oggi, statalisti cronici (inclusi i nostri gloriosi leader politici di maggioranza e di opposizione) e veterosocialisti che esulteranno gridando “lo avevamo detto”. Ci saranno poi liberisti delusi che accuseranno Draghi di tradimento e lo iscriveranno al campo dei nemici della scuola austriaca e dell’interpretazione letterale di teorie prive di qualsiasi senso della realtà in un momento come questo. Lo Stato serve a proteggere i cittadini in momenti di pericolo, come quello che stiamo vivendo.
Hanno torto entrambi (socialisti e ultraliberisti) e Draghi lo lascia intendere in premessa. Perché gli effetti di quello che sta accadendo all’economia equivalgono a uno scenario di guerra e la guerra si affronta con strumenti di guerra. Perché in guerra non ci si può concedere il lusso di fare teoria e bisogna agire, spesso prima di pensare. Primum vivere, deinde philosophari. Gli statalisti hanno torto, perché un fallimento del mercato dovuto a circostanze eccezionali non è la regola. Perché sarà comunque molto meglio, sempre, vivere in un mercato che funziona piuttosto che in un’economia statalizzata. In tempo di guerra anche pane e cipolla serve a sopravvivere, ed è benedetto, ma ciò non toglie che sia preferibile trovarsi in tempo di pace, potendo scegliere il ristorante dove uscire a mangiare. Gli ultraliberisti hanno torto, perché il mercato è sempre la strada migliore in tempo di pace, ma non funziona in tempo di guerra. Quando il mercato fallisce ci vuole lo Stato e le ipotesi per cui il mercato si rigenera sempre diventano favole.
Ma andiamo avanti. Può bastare l’emissione di debito pubblico per risolvere le cose? Non può bastare, perché i bilanci pubblici non sono capienti all’infinito e perché la crisi distruggerà risparmio privato, che non basterà a comprare titoli pubblici all’infinito. Se il risparmio privato non sottoscrive i titoli pubblici, il rendimento (e quindi lo spread) aumenta. Sempre più debito dovrà essere emesso per rifinanziare il debito che scade, oltre che per pagare gli interessi, finché il debito diventa carta straccia. E’ un meccanismo che conosciamo bene, essendovi arrivati più volte a un passo.
Qui Draghi si ferma, ma le strade sono due. Quando il risparmio privato non è più capace di assorbire il debito pubblico, nonostante rendimenti sempre più alti, esistono due sole possibilità. O il debito viene garantito da paesi con capacità fiscale più capiente (cioè con maggiore capacità di generare entrate fiscali) oppure viene finanziato con l’emissione di moneta. In entrambi i casi, l’effetto è simile. Supponiamo che voi foste il primo ministro della Germania o dell’Austria o dell’Olanda, e voleste farvi rieleggere. Potete dire ai vostri elettori “cari cittadini, le tasse che vi facciamo pagare, frutto del vostro lavoro, dovranno servire (anche) a pagare le pensioni degli italiani (che by the way vogliono andare in pensione a quota 100 coi vostri soldi, ritenendolo un diritto sacrosanto) gli stipendi dei forestali calabresi e il salvataggio di Alitalia”. Oppure potete dire “le vostre tasse servono a pagare i servizi di cui voi (e le vostre famiglie) avete bisogno però, certo, abbiamo questa inflazione nell’Eurozona che indubbiamente erode i vostri risparmi e il vostro potere d’acquisto, ma è purtroppo il risultato del coronavirus”. In quale scenario sarà più facile che gli elettori vi rieleggano e in quale scenario probabilmente vi daranno una pedata? Fatevi una domanda e rispondete, onestamente, cosa fareste seduti in quel posto.
Tutte queste cose le scrive oggi Draghi (questo è il senso) senza peraltro spingersi all’unica conclusione logica, la monetizzazione del debito, che certamente ha bene in mente. C’è un unico, piccolo, problema: la monetizzazione del debito è oggi espressamente vietata dall’articolo 123 del Trattato di Funzionamento della UE (TFUE). Serviranno altri marchingegni e probabilmente una revisione del trattato. E servirà farlo in fretta.
Tutte queste cose, che scrive oggi Draghi, le aveva già scritte – esattamente e senza sostanziali differenze – l’amico Mario Seminerio (su Phastidio) che è una delle poche voci lucide da seguire in questo guazzabuglio incomprensibile che ci circonda.
Quindi, ricapitolando. Nessuno domani vi darà i soldi per pagare l’affitto o per fare la spesa. Né lo Stato (beh lo Stato forse sì, in qualche modo, diretto o indiretto) né certamente la BCE, che non può farlo. Nessun paese europeo domani dirà “Scusate, vi servono 12 miliardi per il reddito di cittadinanza e non li avete? Beh, potevate dirlo prima: ve li diamo noi”. Non funziona così. Dovete rassegnarvi ad alcune cose: (1) mai come in questo momento è folle vaneggiare di uscita dall’Euro. Oggi non sappiamo se (e come) ne usciremo con la potenza di fuoco della BCE, figuratevi con la liretta o la Banchetta Centrale di zio paperone; (2) la monetizzazione del debito non significa che un bel giorno metterete la scheda di plastica nella fessura del bancomat e magicamente ne usciranno soldi provenienti da chissà dove; (3) in questo delicato meccanismo di trasmissione della politica monetaria il ruolo delle banche è fondamentale, difenderle diventa una questione di sopravvivenza, quindi ogni chiacchiera su banche, banchieri e cittadini non ha senso; (4) va bene usare il bilancio pubblico per fare tutto il debito pubblico che possiamo e va bene anche liberarsi di vincoli per noi fastidiosi, come il patto di stabilità o i parametri o il fiscal compact (mai applicato) ma il punto è che esiste un limite alla capacità di emissione di debito e risiede nella disponibilità di qualcuno a sottoscriverlo, cioè a prestarti i soldi; (5) lo so che tifate tutti per l’inflazione, ma non sarà facile tenervi la ricchezza privata (il risparmio) socializzando nel frattempo il debito. La grande dialettica dei prossimi mesi sarà l’applicazione di forme di tassazione al risparmio (quindi la tentazione di imposte patrimoniali sarà forte). E’ normale, lo fareste anche voi se vi venisse chiesto di accollarvi i debiti di qualcuno. Del resto, sono i vostri amici leader politici a dire sempre che vogliono usare "i soldi degli Italiani", cioè i vostri. Su questo dibattito si giocherà la capacità di tenuta o di disgregazione dell’Eurozona. Sia ben chiaro: noi siamo tra quelli che hanno da perdere, più di tutti, da una disgregazione dell’Eurozona quindi è meglio mettere da parte i capricci da adolescenti ed essere realisti. Presto l’emergenza sanitaria sarà finita, oppure comunque sarà un problema non solo nostro e si tornerà a parlare di come riorganizzarsi. Servono leader autorevoli e rispettabili, come era Ciampi negli anni ‘90 che poteva farsi ascoltare da Kohl e da Theo Waigel. Leader che non mi pare di vedere oggi nello scenario parlamentare: non certamente Conte e nemmeno i vari Salvini, Meloni, Zingaretti, Renzi e compagnia cantante. Anzi, certe chiacchiere della nostra bassa politica sarebbe meglio metterle da parte per un bel po’, se abbiamo a cuore il futuro nostro e dei nostri figli.
P.S. Per i patrioti. Draghi non parla dell'Italia, ma dell'Europa. Da questa crisi si esce come Europa nel suo insieme, o non si esce. Almeno: da soli non ne usciremo certamente.
Alessandro F. Giudice