Rio de Janeiro, 2 dicembre 1940. Giulia osservava il profilo del marito, mentre lui era intento a leggere chino sulla scrivania. I capelli, negli ultimi anni, gli si erano fatti più radi ma il suo spirito era rimasto sempre lo stesso, non era stato cambiato da nessuno degli incredibili avvenimenti che avevano caratterizzato gli ultimi 24 anni della sua vita.
Era il 1916 inoltrato, vivevano ancora a Verona, quando era arrivata a casa loro quella lettera. Quella lettera maledetta che li avrebbe separati per la prima volta nella loro vita e che rischiava di tenerli distanti per sempre. Loro che si conoscevano fin da bambini. Loro che si erano sposati giovanissimi e avevano sempre condiviso tutto.
“Richiamato in servizio”. Era questo ciò che diceva la missiva. Il Regno richiamava in servizio il professor Giulio Canella. La Grande Guerra continuava sanguinosa e il fronte richiedeva sempre nuovi uomini. "Promettimi che tornerai" gli aveva chiesto lei sulla porta. "Se Dio vorrà", le aveva risposto lui.
Giulio era partito, lasciandola a casa giovane e già madre di due bimbi. Il tempo era passato, la guerra era finita. Vicini, amici e parenti erano tornati, chi tutto intero, chi ammaccato, chi con i piedi in avanti. Giulio però no. “Disperso sul fronte Macedone, a seguito di un'imboscata sulla collina di Bitola”, si leggeva nei documenti ufficiali.
"Disperso, che è persino peggio che morto, non ti puoi neanche rassegnare", dicevano tutti. "Disperso, posso continuare a sperare" pensava Giulia.
E la sua speranza, contro ogni logica e buon senso, venne soddisfatta il 6 febbraio del 1927. Quando vide il viso del suo amore sulle pagine di un giornale. “Chi lo conosce?” chiedeva la didascalia. La donna prima era rimasta senza fiato, poi aveva urlato, infine era scoppiata a piangere. I ragazzi, che stavano giocando nella stanza accanto, erano corsi a vedere cosa fosse successo. "Papà" le avevano sentito rispondere tra un singulto e l'altro. "Papà tornerà da noi".
E Giulia così aveva attraversato la pianura padana in treno, stringendo il giornale a sé e picchiettando instancabilmente i piedi sul pavimento in preda a una profonda emozione. “Chi lo conosce?” diceva la didascalia. “Io, io, io” continuava a ripetere Giulia.
Arrivata a Collegno, il medico le aveva consigliato un avvicinamento graduale, che non fosse troppo traumatico per il paziente. E lei aveva seguito tale indicazione, per il primo giorno almeno. Si era finta per caso a passeggio nel parco dell'ospedale, lo aveva avvicinato con un sorriso aspettandosi un sorriso di rimando, ma gli occhi di lui erano rimasti vuoti. Estranei. Il secondo giorno, allora, aveva rotto gli indugi, smaniosa di riavere indietro suo marito. Gli aveva spiegato, raccontato e lui, a poco a poco, aveva ripreso a guardarla nuovamente, a riconoscerla, come se un velo lentamente gli si stesse sollevando dagli occhi.
Al fine, dunque, la riconobbe. Riconobbe lei, sua moglie. Giulia non aveva dubbi al riguardo ed è per questo che se lo portò a casa sottobraccio, tra i sorrisi dei dottori, la commozione delle infermiere e gli obiettivi dei fotografi.
Fecero il viaggio di ritorno l'una con la testa appoggiata sulla spalla dell'altro, raccontandosi il passato assieme e quello divisi. Raccontava molto lei e poco lui, che ancora poco ricordava. I bambini lo riconobbero immediatamente come padre e lui riprese il posto che gli spettava in famiglia e in casa. Tornò a sfogliare i suoi amati libri, tornò a scrivere e studiare.
Sembrava tutto conclusosi in un raro lieto fine quando un'altra donna, un'altra famiglia si fecero avanti. "Incredibile, lo smemorato di Collegno non è Giulio Canella, integerrimo professore Veneto ma Mario Bruneri!" strillavano in prima pagina i giornali. "Anarchico torinese più volte condannato per truffa!"
Giulia e la sua famiglia di strinsero attorno a Giulio, ma la malelingue, la stampa e persino la giustizia presero una strada diversa. “È lui, è mio marito" dichiarava Giulia ma nessuno le dava retta e l'onta dello scandalo in breve li travolse "Non sono sposati e vivono assieme", "Concubina!". “È lui, è mio marito", continuava a ripetere Giulia ma nessuno le credeva più e Giulio, oppure Mario, finì in galera a pagare il debito che la giustizia gli richiedeva.
Una volta che fu scarcerato, raccolsero tutte le loro cose e partirono per Il Brasile, dove il governo riconobbe loro come marito e moglie, e gli ultimi figli nati come legittimi. Delle chiacchiere lasciate in Italia a Giulia non importava più.
Rio de Janeiro, 2 dicembre 1940. Ormai in Sudamerica da anni, Giulia osservava il profilo del marito, mentre questi era chinato sulla scrivania, intento a leggere.
"Non dovresti studiare così tanto, caro" disse avvicinandosi per accarezzargli le spalle.
"Lo sai che sono fatto così", le rispose lui sorridendo. "Lo sono sempre stato".
“È vero, sei così da quando ti conosco".
Inserire tutta la vicenda dello smemorato di Collegno in un solo racconto sarebbe impossibile, ci vorrebbe un romanzo intero. Per questo abbiamo scelto di raccontare solo uno spicchio della vicenda, solo un punto di vista, quello di Giulia Canella. Colei che per prima riconobbe lo smemorato come suo marito e che con lui visse l'intera esistenza, contro il giudizio dei tribunali e di gran parte dell'opinione pubblica. A distanza di tanti anni poco importa chi fosse davvero lo smemorato di Collegno, se Giulio Canelli o Mario Bruneri, di certo per Giulia ed i suo figli fu marito e padre.