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Nuove Note | 12 maggio 2019, 05:00

I Shot a Man: riprendiamo con la nostra musica la storia del blues

Nel febbraio 2019 hanno registrato il loro primo disco “Gunbender”, che la storia di questi primi anni, delle musiche, delle persone e dei luoghi che ci hanno influenzato.

I Shot a Man: riprendiamo con la nostra musica la storia del blues

I Shot a Man nascono nel 2014, rubando quattro parole ad un vecchio brano di Johnny Cash. Suonano con l’ostinazione di riprendere la storia del blues dall’inizio, in un percorso che dagli spiritual cantati a voce nuda arriva a quelle chitarre acustiche suonati con colli di bottiglia. Nel febbraio 2019 hanno registrato il loro primo disco “Gunbender”, che la storia di questi primi anni, delle musiche, delle persone e dei luoghi che ci hanno influenzato.

Come sono nati i “I Shot A Man” e perchè si chiamano così?
Gli “I Shot a Man” sono nati nell’estate del 2014, rubando quattro parole a un vecchio brano di Johnny Cash. Fu una pessima idea perchè il blues è la prima musica che si prova a strimpellare quando si prende una chitarra in mano, ma è l’ultima che si impara a suonare davvero, a volte ci vuole una vita, e a volte non basta neanche quella. Lo sapevamo bene, ma era già nell’aria quella ostinazione che ci portiamo dietro ancora adesso, quando cerchiamo di riprendere la storia del blues dalle origini, come se potessimo vivere cento anni nello spazio di un concerto, o di un disco. Fu una pessima idea perchè quando si decide di suonare blues significa che da qualche parte qualcosa è andato storto, che c’è qualche conto in sospeso con la vita.

La vostra composizione blues non contempla il basso, perché questa scelta e cosa lo sostituisce?
Non volevamo ricadere in uno schema già sentito centinaia di volte. Prendi due chitarre, basso e batteria e hai fatto il 90% delle band del Novecento. Volevamo avere un suono essenziale, quasi incompleto, che restituisse il mondo in cui il blues è nato, quando gli strumenti erano pochi e arrugginiti, ma in mezzo a quella ferraglia riuscivano a nascere melodie così pure da diventare universali. Col senno di poi, la mancanza del basso è diventato il nostro punto di forza, un elemento di distacco rispetto al blues che si ascolta in giro. Ci costringe a dover pensare arrangiamenti intricati, a ripensare ritmica e armonia in un dialogo costante tra i toni scuri della batteria e le note basse delle chitarre. Coi pollici delle mano destre suoniamo le linee di basso e teniamo il ritmo, mentre con le altre dita intoniamo i temi dei pezzi. La cosa più difficile non è eseguire queste cose, ma farle scivolare via, e far arrivare una musica semplice a chi ascolta.

Come nascono i vostri pezzi?
Come molti musicisti, improvvisiamo molto. A volte scorrono ore intere in cui nessuno dice una parola e suonando si attraversano spazi e suoni vecchi e nuovi. In quelle sessioni nasce il suono dei nostri pezzi: anche se i brani verranno scritti molto tempo dopo, si pesca sempre da qualcosa che è nato così. Un riff, una melodia, un ritmo che sembra blues ma è pieno di Africa. E poi ascoltiamo tantissima musica. Abbiamo un olimpo di grandissimi artisti del passato a cui attingiamo continuamente; subiamo il fascino di canzoni che hanno cento anni, ma soprattutto degli strumenti musicali in sé, che nel blues sono quasi degli amuleti magici.

“Gunbender” è il vostro primo album, raccontateci come è nato e cosa vuole lasciare a chi lo ascolta.
Gunbender è nato alla fine di un anno meraviglioso, con tanti live importanti, premi e viaggi. Suonavamo insieme ormai da quattro anni ma non avevamo mai sentito l’urgenza di incidere un disco vero. Avevamo delle demo, delle registrazioni autoprodotte che ci servivano soprattutto per promuoverci e farci conoscere, ma il 2018 è stato l’anno in cui ci siamo accorti che intorno a noi si era creata un’attenzione nuova, diversa, e che dovevamo fare qualcosa di più. Alla fine dell’estate abbiamo preso la decisione di incidere il disco. Ci siamo chiusi in studio e abbiamo sfornato cinque brani inediti e cinque standard, talmente riarrangiati da essere praticamente degli inediti anche quelli.

Gunbender è la storia di questi primi anni, delle musiche, delle persone e dei luoghi che ci hanno influenzato. Più che un disco è un album di foto, una dichiarazione di intenti, il prologo di una nuova storia.

L’album è stato registrato anche grazie ad una campagna di crowdfunding, un sostegno importante per chi vuole raggiungere un obiettivo. Produttori ed etichette discografiche sono quindi morti?
Erano mesi che ci dicevamo che avremmo inciso un disco. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il procrastinare. Un po' perché eravamo presi dai concerti, dai festival e dalle ragazze, un po' perché avevamo paura di fare il passo più lungo della gamba, di non essere pronti. Perchè i procrastinatori sono solo dei perfezionisti incompresi. Ma ad un certo punto abbiamo avuto un'idea per risolvere tutti i problemi insieme. Mettere su un crowdfunding, e cioè chiedere aiuto al nostro pubblico per realizzare il nostro primo album, è stato un modo per tirare su il budget per fare un disco che suonasse a meraviglia, ma allo stesso tempo ci ha impegnato nei loro confronti. Avevamo bisogno di sapere se era il momento giusto, se il disco sarebbe caduto nel vuoto o se invece sarebbero stati tutti lì ad aspettarlo. Beh, avevamo chiesto a Babbo Natale 2000 euro. Ne sono arrivati 2800. Riguardo alle etichette discografiche, forse non era ancora il momento per noi di fare questo salto. Speriamo che questo lavoro continui ad avere la risonanza che ha avuto questo primo mese, e che il prossimo disco sarà prodotto da un’etichetta, con l'obiettivo di rivolgersi ad un pubblico più ampio, magari internazionale.

La vostra Torino musicale e non.
Siamo nati a Torino, tutti e tre. Tutti e tre figli di viaggiatori, di migranti, di gente che cercava un posto migliore per vivere. I nostri blues sono nati qui, nella più europea delle città italiane, ma che nelle sue periferie, nel cuore di certi quartieri, è talmente immobile che pare il tempo si sia fermato, e continui a ripetersi uguale a se stesso. Il blues, dopotutto, è ripetizione. È quel modo ossessivo che hanno i pensieri di tormentarti la notte, mentre in strada due ubriachi urlano, i vicini fanno l’amore, e tu continui a chiederti come arriverai alla fine del mese.

La nostra Torino è una città calda e piena di affetto da parte del pubblico, ma non è una città facile per il blues, perché si rischia di essere risucchiati in un giro di concertisti da ristorante che eseguono sempre la stessa scaletta. Noi abbiamo sempre cercato di portare il nostro lavoro fuori dai circuiti in cui siamo cresciuti come musicisti, senza far distinzioni di genere e pubblico, e per fortuna insieme a noi stanno crescendo realtà sempre più interessanti, in cui ci si contamina, si sperimenta, ma soprattutto si balla.

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Dal 2 Maggio potete ascoltarci sulle maggiori piattaforme online: Spotify, iTunes, Google Play, Amazon Mp3, Deezer, bc.

Proprio in questi giorni stiamo organizzando le date per questa estate e a breve le comunicheremo sui nostri canali social. Quel che è certo è che partiremo il 10 Maggio dal Jazz Club Torino con gli amici di Slow Town Blues e che con loro concluderemo il piccolo tour estivo di presentazione di Gunbender in Grecia per il festival “The big blues”.

Info su https://www.facebook.com/ishotaman/

 

Federica Monello

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