E' il primo attore a portare in teatro la poesia di Giorgio Caproni. E lo fa con un'incursione "delicata e forte" - così come viene descritta la personalità dell'autore nell'epitaffio in sua memoria - in un corpus di versi irregolari, ribelli, di rottura rispetto alla tradizione lirica.
Fabrizio Gifuni torna a immergersi nella storia della letteratura con uno dei massimi poeti del Novecento. Un viaggio che dura da anni, nel multiforme corpo della lingua italiana, dalle "officine di lavoro sempre aperte" di Gadda e Pasolini ((Premio Ubu nel 2010 come miglior spettacolo e miglior attore dell’anno per L’Ingegner Gadda va alla guerra), al racconto mitico di Pavese, fino alla "carne che si rifà verbo" nella dirompente forza della lingua di Testori. Ora l'attore, David di Donatello nel 2014, approda alla musica leggera e profondissima di Caproni, esplorando la selva acuta dei suoi pensieri, la "fatalità della rima", quella segreta galleria che è il suo animo.
Il reading inaugura questa sera, fuori abbonamento, alle 21 al Teatro Astra, la Stagione TPE 19.20. Gifuni torna così a Torino su invito di Valter Malosti, che l’ha recentemente diretto nel reading I sommersi e i salvati di Primo Levi, al Teatro Regio, per la serata inaugurale di Biennale Democrazia 2019.
Fatalità della rima alterna l’interpretazione di poesie estratte da vari momenti e periodi della produzione di Caproni raccolti in L’opera in versi (I Meridiani, Mondadori) e riflessioni in prosa sul mestiere di poeta tratte dalla conferenza Giorgio Caproni: sulla poesia, tenuta il 16 febbraio 1982 al Teatro Flaiano di Roma.
Nato a Livorno nel 1912, morto a Roma nel 1990 ma profondamente legato a Genova e all’entroterra ligure, Caproni è stato poeta, critico, narratore, a lungo maestro elementare, eccelso traduttore dal francese (sua la celebre versione di Morte a credito di Céline). L’autore del Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee è unanimemente ritenuto il poeta italiano più vicino a Fernando Pessoa e ai suoi eteronimi, per sensibilità e per l’adesione all’idea di poesia come finzione.
"Quando scriveva - commenta Gifuni -, risparmiava il più possibile sul rumore delle parole... È un autore che si distingue per asciuttezza e concretezza, per il valore lessicale e musicale delle composizioni. Non a caso arriva alla poesia dopo aver studiato musica, composto corali a quattro voci e suonato il violino in un’orchestra. Ma non bisogna parlare di musicalità dei suoi versi, piuttosto si tratta proprio di musica, come le note sul pentagramma. Caproni conosceva benissimo la metrica, che ha reinventato scrivendo versi".









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