Erano i primi giorni di febbraio, quando Cairo, pressato da contestazioni sempre più feroci e veementi dei tifosi, anche quelli a lui storicamente più favorevoli, si decise ad esonerare Mazzarri, già abbondantemente scaricato dallo spogliatoio e dalla piazza, ma soprattutto condannato dai risultati e dalla classifica, chiamando a sostituirlo un ragazzo del Filadelfia, Moreno Longo. In molti ci sentirono puzza di bruciato, ed io fra questi scrissi un pezzo per questa rubrica, in cui, dopo aver dato il benvenuto a Longo, criticavo tempi e modi di questa scelta, ma soprattutto mettevo in dubbio le finalità della stessa, che appariva più un tentativo di scaricare su un parafulmine granata le saette della tempesta che gravava sull'ambiente e sul presidente.
Moreno arrivò, con in volto l'espressione raggiante di chi sta toccando il cielo con un dito, avendo raggiunto il culmine della sua carriera, ma ancor di più la vetta dei suoi più reconditi sogni di bambino nato e cresciuto col granata nel cuore. Ovviamente si circondò di collaboratori granata nel profondo quanto lui, come Antonino Asta, giusto per citare il più in vista. Sembrava un timido segnale di svolta, in termini di riconoscimento ed apprezzamento delle tradizioni e di valori dell’indomito spirito granata, che dopo anni di grigiore, tornavano ad accendere, col loro sanguigno colore, le passioni dei tifosi.
Siamo ai primi di maggio, quindi solo tre mesi sono trascorsi e, a ben vedere, nemmeno quelli, perché il campionato è fermo da più di due. Sono state sufficienti tre partite, la prima persa malamente in casa, contro una Samp abbordabile, ma con il cambio allenatore avvenuto prima dei granata e quindi meglio assestata, più due sconfitte in trasferte difficili, come Milan e Napoli, seguite al forzato stop causa Covid19, per spegnere i riflettori su Moreno.
Sopita, per mancanza di possibilità di assembramento, la contestazione, latitando ancora i risultati, si sono affacciate alla mente del patron idee meno sentimentali, più pragmatiche, e con esse la possibilità di cambiare ancora una volta gli organigrammi sportivi. Arrivederci e grazie a Massimo Bava, DS di poca esperienza ma tanto cuore granata, su cui far pesare le colpe, non sue, di un mercato estivo fallimentare (Verdi all'ultima giornata, più il prestito di Laxalt , prontamente reso al mittente già a gennaio) e di un mercato invernale in sola uscita. E sulla stessa scia, sempre più insistenti e solide voci di mancato rinnovo a Longo a fine contratto.
Insomma, come i carri armati russi, nell'estate del 1968, spensero nel sangue gli entusiasmi della Primavera di Praga, oggi la ragion di Stato spegne gli entusiasmi di questa effimera Primavera Granata, in cui i più ingenui volevano vedere un cambiamento di rotta ed i più smaliziati si limitavano a subodorare il solito giochetto del parafulmine, già praticato in passato con altri nomi granata, chiamati a fare da salvatori della Patria ed a distogliere l'attenzione e la contestazione dal grande capo.
A farne le spese il nostro Jan Palach, Moreno Longo, figuratamente bruciatosi sull’altare della Fede granata. Ma in effetti, a farne le spese, siamo anche tutti noi che abbiamo il Toro, quello vero, impresso a fuoco nel profondo della nostra anima sofferente, sorretti dalla speranza, come avvenne per il popolo cecoslovacco, che le cose presto o tardi sarebbero cambiate.
Aspettiamo e resiliamo, consci che l'inverno non è lungo abbastanza per impedire alla Primavera di tornare a fiorire.