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Immortali | 11 ottobre 2021, 07:30

Questione Filadelfia: trent'anni di chiacchiere

Vedremo il nuovo sindaco, che sia Damilano o Lo Russo, con che “animus pugnandi” affronterà la situazione stagnante in cui la Fondazione langue

stadio Filadelfia

Lo stadio Filadelfia, ricostruito su quello che fu la casa del Grande Torino

Venerdì scorso, 8 ottobre, col mio “Fratellino” Giampaolo Muliari, siamo stati a Chioggia, per l’inaugurazione della “Esposizione Aldo e Dino Ballarin”, rassegna di documenti e cimeli sui due fratelli chioggiotti, periti a Superga, fortemente voluta e realizzata da Nicoletta Perini, nipote di Dino, è da suo marito Davide Bovolenta. 

Un salone che contiene molto di più di quanto esposto, anche se alcuni dei cimeli sono di un valore decisamente riguardevole, perché in quella stanza c’è tutto l’amore di due famiglie, quella di Aldo e quella di Dino, i cui discendenti erano presenti all’evento. Ma c’era anche l’affetto ed il rispetto di tutta una città e, in ultimo ma non ultima, la lungimiranza di due amministrazioni cittadine, quella uscente è quella appena insediata, che hanno saputo cogliere appieno l’importanza del messaggio che Nicoletta, Davide e tutti i loro parenti, hanno voluto trasmettere con questa Esposizione permanente, ovvero l’importanza della Memoria su cui costruire un solido presente ed un radioso futuro. 

La sicurezza negli stadi ed attorno ad essi, non mi stancherò mai di ripeterlo, non si costruisce con le barriere architettoniche che separano le tifoserie, ma insegnando ad esse il rispetto e la coabitazione tra idee e fedi calcistiche differenti.

Lungimiranza che a Torino è ben distante dal concretizzarsi, visto l’elenco dei sindaci che si sono succeduti ad affrontare la questione Filadelfia.

Ad iniziare da Castellani, che dopo aver concesso al suo collega Novelli una frettolosa e mai abbastanza rimpianta demolizione, immaginava uno stadio polifunzionale da 30.000 posti, coi soldi olimpici, mai stanziati, salvo poi tirare un sospiro di sollievo quando il Silvio Viale di turno gli levò il cerino dalle dita prima che si scottasse, coi suoi 536 emendamenti, che non solo non furono accorpati in sei o sette come sarebbe stato possibile, ma furono messi in discussione in aula alle 22 dell’ultimo giorno utile, ad evitare che fossero bocciati.

Proseguendo poi con Chiamparino, che nel 2007, dopo le Olimpiadi invernali che avevano lasciato chilometri quadrati di spazi dismessi ed inutilizzati, riuscì nella storica impresa di non trovare un migliaio di metri quadrati per accogliere il museo del Grande Torino, sfrattato da Superga, e costringerlo ad emigrare a Grugliasco. 

Continuando con Fassino, che raggiunse il massimo dell’empatia coi tifosi granata, venendo al Fila a salutarci a dito medio levato. 

E concludendo infine, con Appendino, che tolta la presenza all’inaugurazione, nei quattro anni successivi nulla ha fatto per dare un impulso ai lavori, tardando quasi un anno e mezzo a trovare un rimpiazzo a Cesare Salvadori, dimessosi perché non voleva scaldare la poltrona senza fare nulla, visto che gli impedivano di lavorare e poi non dando input al presidente da lei indicato a sostituirlo, affinché facesse qualcosa. 

Ed infatti non una foglia s’é mossa. 

Vedremo il nuovo sindaco, che sia Damilano o Lo Russo, con che “animus pugnandi” affronterà la situazione stagnante in cui la Fondazione Filadelfia langue. 

Chioggia, tutto sommato, è a sole cinque ore di macchina da Torino, se vogliono prendere appunti e fare due chiacchiere col primo cittadino loro collega.

Domenico Beccaria

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