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Immortali | 07 maggio 2022, 07:30

Quattro maggio per sempre

Mi sono riempito occhi e cuore delle immagini di un'umanità orgogliosa, che scendeva a piedi dopo il laico pellegrinaggio annuale ad onorare gli Immortali, a ricordarsi ed a ricordarci che i valori del Grande Torino ancora ardono

4 maggio 2022 a Superga

Quattro maggio per sempre, invoca Domenico Beccaria

Un quattro maggio diverso, quello di questo anno 2022, primo post Covid in cui, per precisa scelta, ho deciso di non salire al colle in orario canonico, ovvero per le 17.  

Un po' perché non sono un frequentatore di chiese e messe e quindi mi sembrava, da ateo, un gesto sacrilego rubare il posto tra i banche della Basilica ad un credente, solo per far vedere la mia bella faccia da Presidente del Museo o da Consigliere della Fondazione Filadelfia, quasi a voler certificare la mia presenza, noiosamente timbrando il cartellino, come fanno altri, più per facciata che di sostanza.  

Un po' perché sono convinto che il quattro maggio, Superga sia un posto dove andare per rendere silenzioso omaggio e, per chi ci crede, dire una preghiera per le anime innocenti di trentun uomini,  le cui vite si sono così tragicamente spezzate.  

Sinceramente, il clima a metà tra la sagra del peperone lesso e la finale di coppa del nonno, con banchetti che offrono gadget e souvenir, cibi e bevande, con cori da stadio e fumogeni, mi ha stancato. Certe scene vanno benissimo allo stadio, non a Superga.  

Ho quindi passato la mattinata al Museo e alle 14, quando i volontari di turno stavano chiudendo per salire al colle, è arrivato un ultimo visitatore, che ho accolto personalmente, senza scomodare gli altri soci. Erano da poco passate le 18:30 quando imboccavo la salita che da Sassi porta a Superga e nel tragitto ho avuto modo di rallegrarmi di questa mia scelta.  

Sette chilometri a riempirmi gli occhi ed il cuore delle immagini di una umanità raggiante ed orgogliosa, che scendeva a piedi dopo il laico pellegrinaggio annuale ad onorare gli Immortali, vestita di maglie e stanchezza, ammantata di bandiere e fatica coi piedi gonfi per i tanti passi fatti a salire, ma con il cuore altrettanto gonfio di gioia, a ricordarsi ed a ricordarci che i valori del Grande Torino ancora ardono. 

Arrivato in cima, ho fatto una rapida scappata alla lapide, dove ancora molta gente si attardava per uno sguardo, un pensiero. Immagine insolita, una coppia di donne col capo coperto dal velo islamico si facevano fotografare da un accompagnatore, forse il marito di una di loro, davanti ai nomi dei trentuno, sovrastati da una immensa croce. Forse non stava nell’inquadratura o forse l'hanno ritenuta di secondaria importanza rispetto allo stemma del AC Torino che campeggia tra gli allori del fregio bronzeo, chissà, ma di fatto , in questo caso, il simbolo della nostra Fede religiosa è stato per un attimo eclissato dal simbolo della nostra Fede calcistica.   

Un profondo attimo di raccoglimento, un caloroso saluto con alcuni amici incontrati lassù, per caso, senza che ci fossimo dati appuntamento, o almeno non oltre a quello che tutto il popolo granata si dà, rappresentato dalla fatidica data e poi di nuovo giù.  

Nel viaggio ho riflettuto sull’omelia che mi hanno riferito aver pronunciato don Riccardo Robella, padre spirituale, per usare l'espressione tanto cara al suo predecessore don Aldo Rabino, che ha sempre mal sopportato il “cappellano del Toro” con cui lo etichettavano.  

Voglio pensare che abbia volutamente utilizzato l’espediente retorico di “sgridare la nuora affinché la suocera intenda”, perché sgridare le suocere è sempre sconveniente e a volte foriero di mali peggiori.  

Chiedere ai giocatori di “essere da Toro” quando il primo che dà loro l'esempio di non esserlo è proprio il presidente, lascia il tempo che trova. Capisco perfettamente che in considerazione del suo relativamente recente mandato, don Riccardo non abbia ancora il carisma e l'autorevolezza di don Aldo, che dall'altro della sua quasi quarantennale militanza poteva permettersi di tirare pubblicamente le orecchie a chiunque, e sovente lo faceva senza farsi pregare, e di conseguenza apprezzo molto questo colpo di sponda con cui cerca di pungere sul vivo un soggetto notoriamente impermeabile ai sentimenti, refrattario alle emozioni che non siano il tintinnio delle monete che entrano in cassa, ma tentar non nuoce e anche altri buoni intenditori istituzionali presenti, possono aver colto il vero significato nascosto tra le righe della predica.  

La giornata, a tratti benedetta da spruzzi della “pioggia del quattro maggio”, che meriterebbe la DOCG come la nebbia del Tamigi, si conclude a teatro per una rappresentazione sul Grande Torino. Un opera abbastanza breve da interessare e coinvolgere il pubblico senza stancarlo. Particolare da sottolineare, portata in scena da un quartetto che comprende tra gli attori anche l'autore del testo ed il regista. Solo quest'ultimo è tifoso del Toro, mentre l'autore è del Milan e gli atri due bianconeri.  

Cosa spinga tre “agnostici” a far gruppo con un “fedele”, per cantare le glorie della Leggenda Granata, resta un mistero, ovviamente glorioso, che se svelato andrebbe fatto entrare a forza nella testa, ma ancor più nel cuore, di chi indegnamente occupa la poltrona che fu di Marone Cinzano, Novo e Pianelli, in modo che si decida a fare qualcosa di granata oppure, mai troppo presto e comunque rimpianto da pochi, a levare il disturbo.

Domenico Beccaria

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