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Cronaca | 04 giugno 2025, 15:32

Per la Cassazione la 'ndrangheta non comprò la villa dell'ex juventino Vidal

Rese note le motivazioni della sentenza del maxi processo Carminius. Per la Suprema corte i voti dell'ex assessore regionale Roberto Rosso furono ottenuti senza 'metodo mafioso', di qui l'annullamento della condanna

Per la Cassazione la 'ndrangheta non comprò la villa dell'ex juventino Vidal

Per la Cassazione la 'ndrangheta non comprò la villa dell'ex juventino Vidal

La villa di Moncalieri del calciatore Arturo Vidal, ex Juve, non fu acquistata da una società immobiliare grazie all'intervento della 'ndrangheta. E' quanto si ricava dalle motivazioni della sentenza con cui la Cassazione, nei mesi scorsi, ha annullato senza rinvio per questi capi d'accusa la condanna di Mario Burlò, l'imprenditore che si occupò dell'affare.

Rese note le motivazioni della sentenza

La vicenda, come riporta l'agenzia di stampa Ansa, risale al 2018-19 ed è stata trattata nell'ambito del maxi-processo Carminius sulla presenza della criminalità organizzata nella zona di Carmagnola. La villa, messa in vendita inizialmente per 500 mila euro, fu acquistata da Burlò per 325 mila euro con "annessa liquidazione di provvigioni in favore dei molti mediatori a vario titolo intervenuti".

Tra questi, secondo gli inquirenti, almeno un paio erano direttamente legati alla 'ndrangheta. La Cassazione, però, ha affermato che nella sentenza della Corte di appello di Torino "manca del tutto ogni riferimento a interventi di sapore intimidatorio, o quanto meno di ammorbidimento, nei confronti del venditore Vidal o del suo rappresentante (un mediatore immobiliare, ndr)".

Inoltre, al di là del coinvolgimento dei due presunti 'ndranghetisti, manca un requisito fondamentale: per essere considerato "colluso", l'imprenditore deve mettere la propria azienda a disposizione delle cosche, oppure instaurare con i boss un rapporto di "reciproci vantaggi". Nel caso della villa del bianconero è emersa invece la "sostanziale occasionalità dell'affare", che fu segnalato a Burlò per vie traverse da altre persone. La confisca dell'immobile è stata quindi revocata.

I perché dell'assoluzione di Roberto Rosso

Non c'è prova che i due boss della 'ndrangheta si servirono del "metodo mafioso" per raccogliere voti a favore di Roberto Rosso: è una delle ragioni per le quali, secondo quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, lo scorso febbraio la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 4 anni e 4 mesi di carcere per l'ex assessore regionale piemontese (che dopo l'apertura delle indagini si dimise e fu allontanato da Fratelli d'Italia).

 

La Suprema Corte ha anche osservato che, proprio nelle settimane in cui si svolse la vicenda, il reato di voto di scambio-politico mafioso fu modificato.

Il caso risale al maggio del 2019, in prossimità delle elezioni regionali, quando Rosso stipulò un accordo con due persone legate alla 'ndrangheta. Secondo la Cassazione, però, è emerso soltanto che i due "agirono non in quanto emissari o rappresentanti delle cosche di riferimento, ma quali soggetti attestati in tali ambienti, e perciò accompagnati da fama criminale". E non c'è nessuna prova che i due si servirono del "metodo mafioso" per raccogliere le promesse di voto a favore di Rosso (al quale, peraltro, il loro interessamento fruttò poche preferenze).

I giudici della Corte d'appello di Torino affermarono che "la prova del ricorso al metodo mafioso non fosse necessaria, attesa la sicura appartenenza alla 'ndrangheta dei procacciatori e la relativa fama criminale". Ma gli Ermellini rilevano che, per valutare nel complesso la vicenda, dovevano attenersi ai criteri della 'vecchia' versione del voto di scambio politico-mafioso, che erano più restrittivi: invece, a quanto pare, hanno seguito quelli della nuova formulazione, varati con una legge del 21 maggio 2019 ed entrati in vigore solo l'11 giugno successivo.

Dimostrata la presenza della 'ndrangheta a Carmagnola

La presenza della 'ndrangheta a Carmagnola è dimostrata. E' quanto si ricava dalle motivazioni della sentenza della Cassazione, depositate in questi giorni, sul maxi-processo Carminius, celebrato in primo grado ad Asti e in appello a Torino. Per i giudici è possibile affermare che a Carmagnola, località di 28 mila abitanti quasi al confine con la provincia di Cuneo, "quanto meno dal 1991" si è radicato il gruppo della famiglia Arone. La consorteria è una "articolazione della cosiddetta 'ndrangheta delocalizzata, derivata dal clan Bonavota egemone nel territorio di Sant'Onofrio, in provincia di Vibo Valentia".

Gli Ermellini aggiungono però che non è dimostrata "l'esistenza di una alleanza tra Cosa Nostra e la 'ndrangheta operante a Carmagnola". Il presunto rappresentante della mafia era stato indicato in Antonino Buono, un 67enne originario della provincia di Palermo, per il quale è stata annullata l'accusa: la Dda, sulla base delle testimonianze di due pentiti, sosteneva che l'uomo era "in posizione paritaria" rispetto agli 'ndranghetisti, per conto dei quali si occupava, in città, della gestione dei videopoker.

Buono fu assolto in primo grado dal tribunale di Asti con una sentenza che la Cassazione ritiene condivisibile: mancano elemento che permettano di affermare che vi fosse un "rapporto di stabile e organica" collaborazione fra lui e i boss.

redazione

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