È andato in scena il primo Congresso di Slow Fiber, a tre anni dalla nascita della rete che riunisce aziende italiane del settore tessile impegnate in un modello produttivo alternativo all’iperproduzione. Il titolo scelto per l’appuntamento, "Un nuovo paradigma per il futuro del tessile", riassume perfettamente l’obiettivo della giornata: unire imprese, associazioni e istituzioni per ripensare il modo in cui ci vestiamo e arrediamo.
L’industria tessile, oggi, è infatti responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2, consuma il 20% dell’acqua utilizzata nel pianeta ed è la seconda causa di inquinamento idrico al mondo. Ogni anno immette nell’ambiente oltre 90 milioni di tonnellate di rifiuti, comprese le microplastiche che si staccano dai tessuti sintetici a ogni lavaggio. Se la sovrapproduzione non si fermerà, nel 2050 il tessile arriverà a consumare 300 milioni di tonnellate di petrolio e a generare da solo il 26% delle emissioni globali di anidride carbonica (fonte: Ellen MacArthur Foundation).
Perché nasce Slow Fiber: meno spreco, più qualità
Numeri che spiegano bene perché Slow Fiber sia nata nel 2022 dall’incontro tra aziende virtuose della filiera moda-arredo, realtà intergenerazionali, radicate nei territori e che condividono una visione: produrre capi e materiali belli perché buoni, sani, puliti, giusti e durevoli nel tempo. Non solo esteticamente validi, ma rispettosi dei lavoratori, dell’ambiente e delle risorse naturali.
L’obiettivo è quindi duplice: diffondere la consapevolezza sul vero impatto del tessile e dimostrare che un modello industriale diverso è già possibile. Le imprese che entrano nella rete devono infatti rispettare criteri misurabili, veri e propri KPI: non subappaltare oltre il 30% della produzione, usare almeno il 50% di materie prime certificate, avere il 70% dei fornitori nel proprio territorio, investire almeno l’1% del fatturato in sostenibilità, monitorare la parità di genere e garantire trasparenza di filiera. Solo chi dimostra coerenza entra e resta dentro.
Il fondatore Casalini: "Serve una grande rete per i prossimi vent’anni"
Dario Casalini, fondatore di Slow Fiber, ha infatti ricordato come il cambiamento culturale sia tanto importante quanto quello industriale: "Penso sempre a percorsi evolutivi e storici, abbiamo inventato le scienze e subito dopo l’economia, quindi l’ottica di efficienza e profitto. A fine 800 arriva la psicologia e l’ultima arrivata è l’ecologia, insegnata a partire solo da qualche decennio. Dobbiamo andare avanti tutti insieme per provare a proporre qualcosa di nuovo alle generazioni che ci seguiranno, perché i problemi attuali sono uniti e esigono un lavoro comune dove dovremmo fare una grande rete per i prossimi 10/20 anni".
Petrini: "Non basta produrre meno, serve un’etica globale"
A tracciare il quadro più ampio del cambiamento in corso è stato Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, associazione che oggi appoggia e affianca l'idea di Slow Fiber: "Questa idea deve avere una dimensione che non deve rimanere chiusa in un contesto ristretto, pur partendo dall’Italia deve guardare all’universo mondo. Il motivo che spinge a realizzare questa rete è un’esigenza mondiale".
"Questo comparto–aggiunge Petrini–presenta all’umanità una caratteristica di spreco di proporzioni bibliche e in alcune parti del mondo l’accumulo di questo materiale sta causando problemi. Ciò che facciamo ora deve dare risultati che durino di più rispetto a prima. Le risorse hanno una loro finitezza e nel momento in cui abbiamo preso nota che esiste una fine alle risorse dobbiamo applicarla alla nostra vita quotidiana. Dobbiamo lavorare sulla durabilità: il cambio di paradigma non va proposto solo agli industriali virtuosi, ma all’intera umanità, creando consapevolezza in ciò che ci si mette addosso e in ciò che si mangia. Il secondo aspetto è l’etica, perché questa è alla base del cambiamento".
Nappini (Slow Food Italia): "Slow non è lentezza, è responsabilità sul futuro"
Infine, Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia, ha ricordato il senso più profondo della parola 'slow': "Il concetto di Slow non attiene alla velocità: slow è un modo di concepire l’orizzonte del tempo, che deve essere lungimirante e di beneficio per tutte le parti del sistema umano ed ecologico. Il progresso buono e durevole è quello che non ti fa morire di fame per povertà e garantisce un’equa distribuzione senza spreco di prodotti, risorse naturali e persone".
Il sano, il giusto, il pulito
Ada Ferri, Professoressa Associata al Politecnico di Torino e Direttrice del Comfort Lab, ha portato un’analisi puntuale sul reale impatto del settore tessile-abbigliamento-moda, condividendo con la platea un documentario che già dieci anni fa denunciava la responsabilità delle aziende mondiali del fashion nella contaminazione del bene più prezioso che abbiamo: l’acqua.
Dati e numeri alla mano, Ada Ferri ha mostrato che i numeri del settore sono simili al PIL e alla popolazione del nostro Paese: "Un settore che ha questi numeri non può non avere un impatto. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che l’impatto zero non esiste: anche le fibre naturali impattano, la produzione di cotone consuma molta acqua, la lana (con l’allevamento) produce molte emissioni. Non esiste una soluzione semplice, perché è un sistema complesso. Anche il riciclo ha ancora molti limiti tecnologici".
Il sostegno delle istituzioni: "La fibra è filiera strategica, non si può perdere"
Al fianco di questa iniziativa si schiera anche la Regione Piemonte. Per la vicepresidente Elena Chiorino, Slow Fiber rappresenta infatti la manifattura che ha fatto della qualità il proprio simbolo identitario: "Oggi le nuove generazioni non capiscono più il valore della fibra e lo fanno con una terminologia confusionaria. Se la moda in Italia è un settore strategico è perché la fibra è filiera strategica a livello mondiale. Se salta questa filiera, salta la moda globale. La Regione Piemonte crede in questa sfida e continuerà a investire in un settore che garantisce qualità nella materia prima".
Oggi il tessile impiega un lavoratore su sei nel mondo, ma meno del 3% riceve un salario dignitoso. Il riciclo non basta, perché se diventa l’alibi dell’iperproduzione non risolve il problema. "La soluzione è fare bene dall’inizio", ripetono aziende della rete, professori universitari e esperti del settore tessile, che, sostenendo l'iniziativa di Slow Fiber, stanno dimostrando che un altro sistema è già operativo: meno, meglio e più giusto.













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