(Adnkronos) - Tre guardie di confine russe hanno attraversato per alcuni minuti il confine con l’Estonia, entrando senza autorizzazione in territorio Nato. È accaduto nella mattina del 17 dicembre lungo il fiume Narva, nel tratto orientale del Paese baltico, secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno di Tallinn e dall’emittente pubblica Err.
L’episodio, avvenuto in prossimità della diga dove il Narva confluisce nel lago Peipus, ha visto i militari russi oltrepassare la linea di controllo e rimanere sul lato estone per circa venti minuti, prima di rientrare in territorio russo. Il ministro dell’Interno Igor Taro ha dichiarato che non è ancora chiaro se si sia trattato di un gesto deliberato, sottolineando comunque che non vi è alcuna minaccia immediata alla sicurezza nazionale.
Tallinn ha rafforzato le pattuglie di confine e ha annunciato incontri con la parte russa, oltre alla convocazione di un rappresentante diplomatico di Mosca per chiarimenti ufficiali. L’incidente si inserisce in una serie di episodi simili registrati negli ultimi mesi: sorvoli non autorizzati, movimenti anomali di truppe, presenze navali provocatorie. A novembre, una motovedetta russa era stata avvistata sul Narva con il vessillo del gruppo Wagner; a settembre, tre caccia MiG-31 avevano violato lo spazio aereo estone per oltre dieci minuti.
Preso singolarmente, l’attraversamento del confine potrebbe apparire come un incidente tecnico. Ma nel contesto attuale, e soprattutto per un Paese che condivide 294 chilometri di frontiera con la Russia, il significato politico è più profondo. È qui che l’analisi di Elizabeth Braw, pubblicata su Foreign Policy, offre una chiave di lettura essenziale.
Secondo Elizabeth Braw dell’Atlantic Council, in un’analisi pubblicata su “Foreign Policy”, Mosca utilizza sempre più spesso azioni che restano sotto la soglia dell’aggressione militare vera e propria, ma che servono a testare, intimidire e normalizzare la violazione delle regole. È la cosiddetta “gray-zone aggression”, una strategia fatta di piccoli passi, ambigui e difficili da sanzionare, che mettono sotto pressione gli Stati bersaglio senza attivare automaticamente le clausole di difesa collettiva della Nato.
Il fiume Narva è già stato teatro di una di queste micro-azioni. Nella primavera del 2024, guardie di frontiera russe avevano rimosso nottetempo decine di boe che segnalavano il confine marittimo tra Estonia e Russia, collocate sul lato estone del fiume. Un gesto apparentemente tecnico, ma che di fatto rendeva invisibile la frontiera.
Come ha spiegato Braw, quelle boe non erano simboliche: servivano a evitare sconfinamenti accidentali di pescatori e piccole imbarcazioni. Rimuoverle significava mettere in discussione, senza dichiararlo apertamente, la legittimità del confine stesso. Un precedente pericoloso, soprattutto se letto insieme ad altri comportamenti russi nel Baltico: interferenze Gps, tagli di cavi sottomarini, pressioni ibride continue.
L’ex presidente estone Toomas Hendrik Ilves ha definito queste azioni “micro-aggressioni geopolitiche”: non un’invasione, ma una costante politica di disturbo, pensata per ricordare ai Paesi confinanti che Mosca può creare problemi in qualsiasi momento.
Il vero problema, sottolinea Braw, è politico e strategico. Queste azioni non sono sufficienti ad attivare l’articolo 5 del Trattato Atlantico. Ma sono abbastanza gravi da minare la sicurezza e la stabilità. Anche l’articolo 4, che prevede consultazioni quando l’integrità territoriale di uno Stato membro è minacciata, viene spesso considerato un passo “eccessivo” per episodi di questo tipo.
Il rischio è che l’assenza di una risposta chiara rafforzi il comportamento. Se attraversare un confine per venti minuti, rimuovere boe o interferire con i sistemi di navigazione non ha conseguenze, la tentazione di spingersi un po’ più in là cresce.
Le autorità estoni insistono sulla de-escalation e sulla gestione diplomatica dell’incidente. Ma il quadro complessivo è quello di una pressione crescente sul fianco orientale della Nato, in un momento in cui diversi leader occidentali avvertono della possibilità di uno scontro diretto con la Russia entro i prossimi cinque anni.
Come conclude Braw, difendere i confini oggi non significa solo respingere carri armati, ma riconoscere e contrastare anche le violazioni minori, soprattutto quando diventano sistematiche. Perché nella guerra della zona grigia, anche un passo oltre una linea sul fiume può essere parte di una strategia più ampia.














