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Eventi | 05 febbraio 2019, 10:45

Giorni Selvaggi, martedì 12 febbraio riflettori puntati di Tommy Orange

Alle 19 presso la scuola Holden di piazza Borgo Dora 49 si parla del romanzo "Non qui, non altrove"

Giorni Selvaggi, martedì 12 febbraio riflettori puntati di Tommy Orange

Torna Giorni Selvaggi, rassegna che, in nome della condivisione di competenze e idee, unisce Fondazione Circolo dei lettoriCOLTI Consorzio Librerie Torinesi Indipendenti,Scuola Holden – Contemporary HumanitiesBiblioteche Civiche Torinesi eTorinoReteLibri per portare gli autori dai lettori, stimolare curiosità e dialogo intorno ai libri e diffondere cultura e nuove storie sul territorio cittadino, grazie alla presenza preziosa delle librerie, biblioteche di quartiere e delle scuole. E in questo 2019 appena iniziato ma già irrequieto, il filo rosso della ricerca vuole essere la volontà curiosa di comprendere il nostro tempo, fissando delle coordinate. Per farlo lo strumento sono i libri e l’incontro con scrittrici e scrittori a partire dalle loro storie, per guardare il presente “dalla luna”, ovvero da un punto di vista differente, perché nella confusione di oggi la letteratura può offrirci gli occhi nuovi che servono a cogliere la sostanza che sta dietro le cose del mondo.

 

Un malinconico, doloroso e bellissimo romanzo d’esordio Non qui, non altrove (Frassinelli) di Tommy Orange, storia di dodici “indiani urbani” che vivono a Oakland, e della loro lotta per dare senso alla propria identità immersi nella vita della metropoli. Ma il libro narra in modo potente e affilato anche una storia più antica, quella dell’oppressione iniziata con l’arrivo dei coloni in un continente che non era il loro. Per scoprire quest’opera coraggiosa e tagliente, l’incontro con Tommy Orange è martedì 12 febbraio, ore 19 presso la Scuola Holden (piazza Borgo Dora, 49). Interviene lo scrittore Alessandro Mari.

 

Nato e cresciuto proprio nella città californiana, di madre americana e padre nativo, laureato presso l’Institute of American Indian Arts e membro dalla tribù Cheyenne e Arapaho dell’Oklahoma, lo scrittore ha colmato un vuoto. Non esistevano prima del suo Non qui, non altrove rappresentazioni letterarie capaci di restituire le esistenze degli indiani che vivono nelle città. È quindi un libro necessario, anche per un altro motivo: a troppi, e non solo negli Stati Uniti, è stata insegnata una storia diversa e sbagliata, quella dei film di cowboy e delle parate del Giorno del Ringraziamento. Orange, con la sua prosa potente, fa muovere personaggi molto lontani dai propri avatar hollywoodiani, i suoi “indiani urbani” vanno in bicicletta, guidano furgoni postali, non comunicano con gli alberi e non hanno niente delle figure leggendarie dei film: «Viaggiamo in pullman – scrive – in treno o in macchina attraverso, sopra e sotto pianure di asfalto. Essere indiano non ha mai significato il ritorno alla terra. La terra è ovunque o da nessuna parte» (traduzione di Stefano Bertolussi).

Il titolo originale di Non qui, non altrove, scelto dal New York Times come uno dei migliori libri del 2018, è There There, citazione di una canzone dei Radiohead, ma soprattutto riferimento a Gertrude Stein, che da bambina visse a Oakland. Il “there is no there there” della scrittrice è un “lì” che ha smesso di essere tale, irriconoscibile perché mutato dal tempo, sedimento dell’infanzia cristallizzato nel ricordo. Il “there there” di Orange è quello della cultura nativo-americana, frantumata e distrutta dal tempo come l’infanzia di Stein.

 

comunicato stampa

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