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In Breve

| 08 gennaio 2020, 09:43

Notti Magiche: ma il Torino vero, qual è?

Mohammed Alì, continuava a saltellare e schivare, rinunciando a colpire e portando a spasso per il ring George Foreman, che lo braccava da vicino e continuava a centrarlo con le sue bordate devastanti.

Notti Magiche: ma il Torino vero, qual è?

Le immagini in scala di grigi, anche un po' sfocate, vista la precarietà del collegamento mondovisione, che uscivano dal televisore di casa mia, quella notte del 30 ottobre 1974, erano di quelle epiche, destinate a rimanere nella storia dello sport mondiale e nell'immaginario del dodicenne che io ero, per sempre. Mohammed Alì, continuava a saltellare e schivare, rinunciando a colpire e portando a spasso per il ring George Foreman, che lo braccava da vicino e continuava a centrarlo con le sue bordate devastanti. Ma Alì nulla, imperterrito lo scherniva e si faceva rincorrere e colpire, senza dargli la soddisfazione di ingaggiare il duello. Una ripresa dopo l'altra, fino a quando Foreman non incominciò ad avere il fiato corto e le idee confuse. A quel punto Alì iniziò a punzecchiarlo, con precisione, ripetutamente, fintanto che Foreman fini al tappeto. Il match più incredibile e forse più leggendario della storia del pugilato mondiale, si era concluso nel modo più inatteso.

Domenica cinque gennaio, primo incontro di campionato dei granata in questo decennio, ho rivisto, con le dovute proporzioni, la replica di quella indimenticabile sfida, quarantacinque anni e dieci mesi dopo.

Senza aver premeditato, ovviamente, una strategia così raffinata, ma semplicemente incapace di reagire, salvo una fugace duplice occasione, ai marosi giallorossi che si frangevano sulla insuperabile diga di Sirigu, Salvatore e mai nomen fu più omen, con una media miracoli che anche la Madonna di Lourdes si sogna, i granata resistono tenacemente fino all'ultimo istante del primo tempo, quando con un movimento perfetto, Belotti, servito col contagiri da Berenguer e ben aiutato da Aina che allungandosi verso il fondo gli porta via mezzo avversario, infila il pallone in una cruna d’ago, per l’insperato vantaggio. Al rientro in campo, la Roma, come Foreman a Kinshasa, continua a colpire ciecamente e furiosamente, ma senza trovare lo spiraglio giusto. E ai granata non resta che, a cinque minuti dalla fine, di dare il colpo del dfinitivo KO ad una Lupa imbambolata.

Non bastano sette minuti di recupero, che da queste parti non si vedevano da quella storica finale di coppa Italia del giugno 1993, proprio tra giallorossi e granata, con Sguizzato che non fischiava più la fine, per consentire ai ragazzi di Fonseca di segnare un meritato goal della bandiera.

Un risultato legittimato, per assurdo, solo dopo averne colto la prima metà. Se nella prima frazione di gioco, infatti, i granata avevano sofferto oltremodo le folate offensive capitoline, nella ripresa non c'è mai stata la sensazione che i granata non avessero saldamente in pugno la situazione. Insomma, tre punti meritatissimi.

E qui sboccia la legittima e spontanea domanda: ma il Torino vero, qual è?

L’imbambolato e farraginoso vitellino che ha generosamente concesso tre facili punti alla SPAL, oppure il coraggioso quasi Toro (Toro proprio non ancora) della notte romana?

Se ai giocatori è concesso, o anche solo tollerato, che al gesto eclatante possa far seguito la papera, all’allenatore viene tassativamente richiesto di dare continuità ai risultati, cosa che Mazzarri non ha finora saputo fare, conti alla mano.

Ecco, su questa capacità di tenere in mano la squadra in campo e soprattutto nello spogliatoio, si gioca la riconferma di Mazzarri per la prossima stagione. Salvo che, sotto sotto, prevalgano altre logiche, di stampo aziendale e mercantile.

Ma questi sono altri discorsi, che col granata intenso che ha colorato l’Olimpico capitolino nella notte della befana, non c'entrano nulla e di cui i tifosi non vogliono sentir ragioni.

Domenico Beccaria

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