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Volley | 20 gennaio 2017, 08:12

Francesco Chiappino: il centrale del Sant'Anna sa cosa significa volare

Intervista al giovane centrale della squadra di Caire, che ha una grande passione per il volo: "Mi piacerebbe disputare un giorno i playoff di Serie B, ma la mia Serie A1 sarebbe pilotare gli elicotteri da elisoccorso in montagna"

Francesco Chiappino: il centrale del Sant'Anna sa cosa significa volare

È stato uno dei grandi protagonisti della sorprendente vittoria del Sant’Anna sul campo del Parella, grazie ai suoi 9 punti e 4 muri. Francesco Chiappino ha disputato una grandissima partita alla Manzoni, volando – e il termine, vedrete poi, non è casuale – su ogni pallone, confermandosi un elemento importante della squadra di Caire, tecnico che l’ha fortemente voluto riportare a Sant’Anna dopo averlo conosciuto in C quando allenava il Chieri. Chiappino si è avvicinato tardi alla pallavolo, ha fatto tutta la trafila delle giovanili a San Mauro e ha realizzato il suo sogno sportivo di vestirne la maglia della prima squadra. Nella vita però ha un obiettivo ben diverso, come ci ha raccontato nella seguente intervista. Scopriamo quale.

Ciao Francesco. Iniziamo dal presente e il successo che avete appena ottenuto sul campo del Parella.
«È stata una bella impresa, una cosa totalmente inaspettata, perché venivamo da un periodo di alti e bassi, che è stato anche critico in alcuni momenti. Abbiamo ottenuto due punti bellissimi, che ci faranno comodo per il morale, anche se sulla carta non sono queste le partite in cui siamo obbligati a ottenere i punti, ma altre, come per esempio la prossima».  

Avete vinto nonostante abbiate giocato la seconda metà della gara senza coach Caire, allontanato dagli arbitri.
«Sicuramente senza l’allenatore le cose si complicano. Non mi era mai successo di vivere una situazione del genere, è stata la prima esperienza per me e altri compagni di squadra. In questo caso si complicano un po’ le cose, soprattutto per quanto riguarda la gestione da fuori circa timeout e cambi, anche se poi alla fine in campo andiamo noi. Fortunatamente abbiamo dei giocatori esperti in rosa, che hanno aiutato noi più giovani».

Cosa vi è successo nella prima parte del campionato?
«Ci è probabilmente mancato qualcosa, anche nel corso della settimana. Purtroppo, lavorando tutti, non è sempre facile conciliare perfettamente il lavoro e gli allenamenti. Inoltre abbiamo avuto la grave colpa di avere un brutto approccio in alcune partite. Mettiamoci infine anche il calendario, che ci ha costretto ad affrontare all’inizio molte big, facendoci prendere tre martellate pesanti per il morale già nelle prime tre giornate contro Novi, Cuneo e Ongina».

Parliamo un po’ di te. Hai iniziato a giocare a pallavolo molto tardi; come mai?
«Per moltissimi anni ho praticato il pattinaggio velocità a rotelle, seguendo mio fratello. L’ho fatto per sette o otto anni, ma mi portava via troppo tempo, addirittura cinque o sei giorni a settimana. Ho raggiunto un buon livello, tanto che ho partecipato anche ai campionati italiani. Questo sport però non mi ha mai preso più di tanto, non mi ha dato quelle emozioni che ho oggi quando gioco a pallavolo. A un certo punto, quindi, ho deciso di smettere di pattinare, mi è passata la voglia e mi sono buttato sulla pallavolo, sport che praticavo a scuola e mi piaceva di più. A 14 anni ho iniziato a giocare nelle giovanili del Sant’Anna ed è stato amore a prima vista. Da quel momento sono andato in palestra tutti i giorni».

Hai fatto tutta la trafila delle giovanili al Sant'Anna e successivamente sei andato a Chieri, dove hai conosciuto coach Caire.

«Si, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili al Sant’Anna, gli impegni scolastici mi hanno portato a Chieri e così ho iniziato a giocare con la squadra di Serie C allenata allora da Caire. Per il coach era il primo anno alla guida di una squadra maschile, dopo tanta esperienza con le formazioni femminili. Nonostante ciò si è subito comportato bene, è stato molto bravo a creare un bel gruppo e siamo stati così protagonisti di una bella stagione, nonostante sulla carta non avessimo dei grandi numeri».

Quindi il ritorno al Sant’Anna.
«Si, è stato Caire a darmi l’opportunità di tornare al Sant’Anna e giocare per la prima squadra, una cosa che rappresentava il mio sogno dal momento in cui sono entrato nelle giovanili a San Mauro. Sono molto contento perché ho avuto così modo di continuare a lavorare con questo allenatore e sono migliorato tantissimo».

Quale obiettivo ti sei posto per la tua carriera?

«Non credo che sia nelle mie corde arrivare più in alto di così. Nella vita ho altri obiettivi, ho un’altra passione e voglio trasformarla nel mio lavoro. Certo, mi piacerebbe avere l’opportunità un giorno di fare una Serie B ad alto livello, lottando fino alla fine per la promozione, e vivere il clima dei playoff».  

Qual è questa tua grande passione?
«Pilotare gli elicotteri. Ho finito gli studi e sono ufficialmente un pilota. Sto cercando di trasformare questa mia grande passione in un lavoro. Sarebbe la realizzazione di un sogno se ci riuscissi, perché volare è qualcosa che mi prende dentro. La prima volta che sono salito su un elicottero è stato amore a prima vista, stare lì sopra mi regala delle sensazioni fantastiche, difficili da descrivere a parole. Se non volo per un po’ di tempo mi viene l’ansia. La cosa bellissima è che in ogni occasione in cui salgo su un elicottero, pur sapendo cosa mi aspetta, vivo delle emozioni nuove».

Come mai gli elicotteri e non gli aerei?
«Il volo mi è sempre piaciuto, così dopo le medie ho fatto l’Istituto Tecnico Aeronautico. A un certo punto bisognava scegliere se diventare pilota o meno, io ovviamente decisi di fare il pilota e ci portavano a lezione di volo. In una di queste c’era un elicottero 118, ci hanno permesso di avvicinarci e il pilota ci ha spiegato come si pilotava. Me ne sono subito innamorato, così una volta tornato a casa, ho detto ai miei genitori che volevo pilotare l’elicottero e non l’aereo. Tra le due cose per me non c’è proprio paragone».

In qualche modo anche nel volley ti piace volare ogni volta che vai a muro.
«Un pochino si, se saltassi un po’ di più mi darebbe una sensazione ancor più vicina a volare. Forse il momento in cui più degli altri mi sembra di spiccare il volo è quello in cui esulto con i miei compagni, come mi è accaduto spesso nel corso del match contro il Parella».

C’è un posto in particolare dove vorresti volare?
«Non proprio, perché è bello dappertutto. Per esempio qui sulle nostre Alpi è fantastico, è un volo difficile e tecnico ma affascinante, in un paesaggio molto particolare. È bellissima anche la Norvegia, dove lavora il mio istruttore. Lì ci sono le montagne direttamente sul mare, scogliere da tremila metri, qualcosa di splendido. Per non parlare dell’America. Non ho preferenze circa i luoghi, ma ho una certezza: il mio sogno è quello di diventare un pilota per l'elisoccorso in montagna. Se si realizzasse sarebbe la mia A1»

Giorgio Capodaglio

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