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Eventi | 07 giugno 2017, 08:00

L'uomo e il suo limite: se ne è discusso al San Giovanni Bosco di Torino

Con un approccio filosofico e scientifico: proseguono gli incontri promossi dal reparto di terapia intensiva

L'uomo e il suo limite: se ne è discusso al San Giovanni Bosco di Torino

L’uomo e il limite: questo il tema dell’ultimo incontro del ciclo “Filosofia e medicina in dialogo”, svoltosi nell’aula Ravetti dell’ospedale San Giovanni Bosco.

A introdurlo, Chiara Calliera, bioeticista, che ha svolto un excursus del significato e delle diverse concezioni che hanno caratterizzato il termine dall’antichità a oggi. Dal latino limes, -itis, ossia linea tracciata su una superficie a indicare un confine netto, il sostantivo ha da subito assunto, soprattutto presso la civiltà greca, una valenza positiva, divenendo sinonimo di equilibrio, armonia e perfezione. Il tempio di Apollo a Delfi, per esempio, riporta la dicitura “Conosci te stesso”, proprio a indicare la volontà di riconoscere i limiti e la natura fallace caratteristici dell’uomo.

Motivo per cui è spesso raccontata, nei miti, la conseguente punizione al peccato di hybris – superbia – ossia il desiderio di superare i confini, propri e non solo – come nel caso di Icaro, figlio di Dedalo, architetto del labirinto di Creta, che, spinto dall’ambizione incontrollabile di volare, si avvicinò troppo al sole che sciolse le sue ali di cera, facendolo cadere, e morire, in mare.

Con l’avvento della modernità e di un nuovo umanesimo, il termine assume un significato differente e si staglia una nuova sensibilità che intende l’esistenza come ricerca continua volta verso azioni future. Si instaura un nuovo modo di pensare l’universo – considerato, ora, infinito, come nel caso di Giordano Bruno – e anche i limiti gnoseologici divengono oggetto di indagine, in particolar modo da parte di filosofi come Locke e Kant, che intendono rintracciare le “Colonne d’Ercole” dell’intelletto umano.

Ma è solo con il progresso scientifico e tecnologico che il “confine” inizia a divenire oggetto critico di discussione e riflessione. Ci si riferisce, in particolare, ai dilemmi morali che affliggono i medici a proposito delle terapie e di una loro eventuale interruzione: di fronte a pazienti con prognosi infausta e dipendenti totalmente da macchinari, sospesi in un processo di morte dilatato nel tempo che solo la tecnica è in grado di rallentare, che cosa appare come lecito?

In questi casi, “è appropriato ciò che è clinicamente accettato dal medico ed eticamente approvato dal paziente: bisogna rispettare l’autonomia di entrambi, e solo ciò che vi è nel mezzo risulta essere, appunto, adeguato”, ha specificato Marco Vergano, anestesista rianimatore.

Ne consegue che si impongano continuamente piccole scelte e compromessi, soprattutto a causa della scarsità delle risorse, dal momento che “i bisogni sono infiniti, ma le risorse sono finite”: si tratta di problemi non solo clinici, ma anche e soprattutto etici, che costringono i professionisti a porsi molteplici domande. Infatti, come afferma il bioeticista Julian Savulescu: “È il ragionamento filosofico che deve porsi alla base della pratica medica e della nostra vita. L’etica determina che cosa dovremmo fare, mentre la scienza può dirci solo come agire”.

Roberta Scalise

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