Il 3 settembre 1989 è una data triste per il Calcio italiano. Strappato agli occhi del mondo, all’affetto dei suoi cari, all’ambiente juventino, Gaetano Scirea muore in circostanze tragiche a Babsk, in Polonia.
Il ‘leader silenzioso’, parafrasando Giovanni Trapattoni, lasciò un vuoto che pesa ancora oggi, a distanza di trent’anni.
La stima nei suoi confronti è rimasta immutata, testimoniata dai tanti ex compagni di nazionale e di squadra, accorsi all’inaugurazione della mostra al J-Museum.
La Coppa del Mondo del 1982 fa da contorno alle bacheche allestite con i cimeli che testimoniano un passato glorioso.
Quello di un giocatore per sette volte Campione d’Italia e, insieme ad Antonio Cabrini, il primo ad avere vinto tutte le competizioni UEFA per club.
Compresa quella fatidica Coppa dei Campioni del 1985 quando a lui, allora Capitano, toccò l’ingrato compito di parlare ai microfoni dello Stadio Heysel proferendo quelle parole che rimarranno per sempre nella Storia: ‘La partita verrà giocata per consentire alla polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dello stadio, non rispondete a provocazioni, restare calmi, giochiamo per voi’.
Quell’incontro che nessuno avrebbe voluto, ma che poi, per motivi di ordine pubblico, fu disputato.
Quattro anni dopo sarebbe toccato a lui venire accolto da un destino beffardo.
Una folla commossa presenziò ai funerali e, ancora oggi, il nome di Scirea è parte integrante dell’identità juventina.
Prestò il suo nome alla Curva ai tempi del Delle Alpi e ora lo stesso riecheggia nel Mito.
Siede tra i posti d’onore nell’Olimpo bianconero, con quelli che hanno segnato il cammino dal 1897 fino ai giorni nostri.
Nella mostra, le foto di un giovane Gaetano sono esposte a lato di una lettera scritta alla moglie.
Le maglie di Juventus e Atalanta sintetizzano la sua carriera, gli articoli di Hurrà Juventus ne tracciano la figura.
Sul campo fece scuola perché come detto da Marco Albano, curatore della mostra, Scirea ha contribuito a mutare l’impostazione di un ruolo: ‘L’ha cambiato perché il libero era prevalentemente un difensore, ma con lui il ruolo cambiò’.
Quella scarpa bucata, adagiata accanto ai tanti reperti, è il simbolo della grinta e della caparbietà di un uomo. Con quella servì la palla in azzurro a Marco Tardelli che segnò e si lasciò andare a un urlo spasmodico, entrato nell’immaginario collettivo. Il fotogramma di un’epoca. Quella che Scirea caratterizzò con la sua presenza e la sua indiscutibile classe.
Anima e cuore della Juve e della Nazionale, mai lo potremo dimenticare.
Una figura sublime che i più giovani potranno conoscere dai libri, come ‘Il nostro Scirea’, uscito per Tuttosport e ricco di foto indimenticabili scattate dalla mano di Salvatore Giglio. I filmati d’epoca dicono il resto.
Grazie di tutto, Capitan Scirea.
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