In una loro antica preghiera, i nativi del Nord America chiedevano a Dio di dare loro la forza di cambiare le cose che potevano essere cambiate, la pazienza di sopportare quelle che non potevano essere cambiate e la saggezza per distinguere le una dalle altre.
Nel nostro caso, il Dio del Popolo Granata ha risposto alle nostre invocazioni nel momento più buio della stagione e ci ha dato Moreno Longo.
Quando arrivò alla guida del Torino, dopo l'esonero di Mazzarri, gli chiesi chi glielo avesse fatto fare, di mettere a repentaglio il futuro della sua carriera di promettente giovane allenatore, prendendo in mano una squadra non fatta da lui, in condizioni fisiche e psicologiche pietose, reduce da ko che avevano avuto le proporzioni della disfatta, dell’umiliazione.
La spontanea risposta fu una frase, che in fondo è la frase che tutti noi avremmo immaginato, conoscendolo, avrebbe profferito: “Mecu, al cuore non si comanda”.
E sostenuto dal suo immenso Cuore Granata, ha messo in campo il suo bagaglio di conoscenze tecniche, maturate in anni di giovanili granata e proseguito su panchine via via più importanti. I risultati sono qui, davanti agli occhi di tutti. Il coacervo di giocatori demotivati, giorno dopo giorno, si è trasformato in un gruppo di uomini sempre più consapevoli del peso storico della maglia che indossano, della sacralità del luogo in cui si allenano, del blasone della società per cui sono tesserati e non ultimo, della passione che da decenni, nella buona (poca) e nella cattiva (molta) sorte, non ha mai smesso di scorrere prepotente nelle vene dei suoi tifosi.
Emblematica, anche se mi ha anche fatto arrabbiare, la frase attribuita da alcuni giornali allo spogliatoio granata: “abbiamo capito che importanza ha per Longo questa maglia e quindi daremo l'anima per lui e per il Torino”.
Emblematica della passione che Moreno ha saputo trasfondere dalle sue vene alle vostre, ma porca puttana, siete professionisti e il cento per cento dovreste darlo comunque, visto che lo stipendio non lo prendete decurtato, in proporzione alla qualità delle vostre prestazioni.
Ma non illudiamoci troppo. In fondo, la colpa non è nemmeno tutta loro.
Il Torino FC ha, da prima che arrivasse Cairo (e forse è proprio questo il problema) un magnifico museo, che tutto il mondo calcistico conosce ed apprezza, per la qualità e la quantità dei reperiti in esso esposti e per la vera passione tifosa che da esso trasuda. Peccato che da quando esiste, ovvero dal 2002, sia stato visitato dalla squadra al completo in sole due stagioni. E dire che, giusto per sfiorare garbatamente un argomento che sò essere sensibile, non abbiamo mai fatto pagare loro l'ingresso. Una visita, peraltro graditissima e annualmente proposta, avrebbe avuto il positivo duplice effetto di occupare un loro pomeriggio, sottraendolo a noiose sessioni di PlayStation ed aggiungendo il valore dato dalla conoscenza della storia leggendaria della squadra in cui giocano, fornire loro motivazioni in più per onorare la maglia che indossano.
Moreno ci ha più volte portato i suoi ragazzi della primavera e i risultati si sono visti. Non fosse altro che per motivi scaramantici, un giretto a villa Claretta lo consiglierei.
Oltre ad aver saputo trasfondere lo spirito granata nei suoi giocatori, Longo ha avuto la saggezza di capire quali fossero le cose giuste da fare, ovvero privilegiare gli scontri diretti alle partite di cartello. Certo, a tutti avrebbe fatto piacere sbancare il JStadium, ma se poi perdi con Udinese, Brescia e Genoa, in partite che valgono sei punti, perché oltre ai tre che fai tu, ne levi tre ad una diretta concorrente per la salvezza, le porte dell’inferno si spalancano inesorabilmente sotto i tuoi piedi. Moreno ha vinto le partite che contavano e tenuto sigillate queste porte.
Adesso, malgrado la sconfitta con la Fiorentina, la salvezza è lì, ad un passo dall'essere conquistata. Certo, è una ben magra soddisfazione, viste le nostre ambizioni, figlie di una storia sportiva ed una passione tifosa senza pari. Ma questa non è una colpa di Moreno Longo, meno che meno dei tifosi, ma di chi è convinto (forse) e vuole convincere (certamente) i tifosi che “questa squadra non è migliorabile” perché “Messi non è in vendita!”. Beh, i fatti hanno dimostrato che la squadra è assolutamente migliorabile e, ironia della sorte, pare che dopo una vita insieme Leo e i blaugrana stiano per giungere ad un clamoroso divorzio.
Quindi, al posto di pensare a liquidare senza un briciolo di gratitudine l'attuale allenatore, per gettarne un altro nel tritacarne Urbano, orecchie dritte e portafoglio pronto per ingaggiare giocatori di valore, senza i quali nessun allenatore, manco Klopp o Guardiola, riescono a mettere in piedi una squadra degna e che ottenga risultati.
La gente del Toro pare aver esaurito la pazienza di sopportare le cose che non si possono cambiare ed abbia trovato sia la forza per cambiare quelle che si possono cambiare, che la saggezza per distinguere le una dalle altre.