Elisa, 35 anni, e Federico Ribet, 31 anni, sono due fratelli originari di Pomaretto, che da anni vivono e lavorano all’estero. Con lo scoppiare della pandemia, sono tornati a sentire “casa” un po’ più distante ma, grazie all’ausilio della tecnologia, non hanno abbandonato le tradizioni.
La ‘Lotteria della Carta Verde’
Elisa vive a Saint Petersburg, in Florida, dove si occupa di gestire l’inserimento dei neoassunti e seguire i trasferimenti internazionali, all’interno di un’azienda britannica attiva nel settore della ricerca e selezione del personale. “Provenendo da un paesino di montagna, ho voluto provare ad andare a vivere al mare; un ex collega di un amico di famiglia viveva a Saint Petersburg, e si è offerto di darmi una mano nel primo periodo” racconta Elisa, che, nel settembre 2017, ha usufruito della ‘Lotteria della Carta Verde’ (o ‘Diversity Visa Lottery’), che ogni anno permette a cinquantamila persone di vincere un Visto Permanente di Soggiorno negli Stati Uniti, a patto che non provengano da uno dei paesi che inviano un numero elevato di immigrati negli Usa, e siano in possesso di un diploma di scuola superiore e/o cinque anni di esperienza lavorativa. “Grazie ad un mercato del lavoro più dinamico e vitale rispetto a quello cui siamo abituati in Italia, in sole sette settimane avevo già trovato il mio primo lavoro, e nel mio ambito, che è quello delle risorse umane”.
L’esperienza svedese
Suo fratello Federico, invece, dalla fine del 2014 si trova a Stoccolma, dove si era recato per un dottorato di ricerca in ambito ingegneristico (micro-sistemi biomedici) al Kth Royal Institute of Technology: “Il progetto principale di cui mi sono occupato, consisteva nella realizzazione e miniaturizzazione di sensori per il monitoraggio del diabete, che fossero impiantabili nel paziente in modo indolore – racconta Federico –. Attualmente lavoro nello sviluppo commerciale di due progetti correlati a questo studio, per diagnostica indolore con micro-aghi”.
Quando in Italia cominciavano contagi e restrizioni, Federico si trovava esattamente dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda: “Doveva trattarsi di una lunga vacanza, che avevo atteso per tanto tempo – rivela –. Lì, in quel momento, eravamo lontani da contagi e problemi di ogni genere, tuttavia preoccupati per le notizie che arrivavano dall’Italia. Poi il viaggio è proseguito in Australia, dove la pandemia stava arrivando, e ben presto abbiamo interrotto la nostra vacanza, facendo ritorno in Svezia, anche per evitare restrizioni che avrebbero potuto impedirci il ritorno a casa”.
Una volta in Svezia, tuttavia, non hanno dovuto affrontare né quarantena né lockdown; la vita è proseguita sostanzialmente in modo consueto, con le sole raccomandazioni di lavarsi le mani, tossire e starnutire nei gomiti, mantenere le distanze ed evitare i luoghi affollati, e, se possibile, lavorare da casa. Nessuna indicazione ad indossare la mascherina, e nessuna particolare limitazione, se non all’organizzazione di eventi e feste.
“Io e la mia compagna, ed altri ragazzi italiani, sentendo le notizie dirette dei nostri familiari e amici rimasti in Italia, eravamo increduli di fronte a questa ‘normalità’ - prosegue Federico –, Per dare un’idea: a metà aprile il campionato di calcio dilettantistico al quale partecipo, era attivo, e ci allenavamo regolarmente, mentre nel resto del mondo erano scattate restrizioni anche per i professionisti! Noi italiani eravamo preoccupati, mentre per gli svedesi era tutto normale. Fortunatamente, il giorno prima dell’inizio del campionato, a seguito della pressione da parte del governo, hanno poi deciso che fosse meglio aspettare un paio di mesi prima di iniziare”.
In Svezia non è mai stata attuata nessuna chiusura generalizzata: ristoranti sempre aperti (solo negli ultimi tempi è stato anticipato l’orario di chiusura, con contestuale stop alla vendita degli alcolici) e una limitazione al numero di persone che possono entrare nei negozi e nelle palestre. “Solo da un mese a questa parte, hanno cominciato a consigliare di indossare le mascherine nei centri commerciali, e sui mezzi pubblici, ma quasi nessuno le usa – puntualizza Federico –. In ogni caso, è tutto solo affidato al buon senso dei cittadini: non ci sono controlli né multe”.
Federico dice di avere trovato divertenti le notizie che la stampa estera riportava in merito a quella che definisce la ‘piccola Svezia’: “Un giorno veniva portata come esempio, un altro giorno come pecora nera. La verità è che non si possono fare paragoni fra la Svezia e l’Italia, per densità demografica ed anche attitudini. E se l’approccio svedese, in Italia, sarebbe stato nefasto, qua bisogna dire che non ha prodotto i tragici disastri che tanti temevano”.
L’approccio della Florida
Negli Stati Uniti la questione è stata molto politicizzata, e l’ex Presidente Trump ha a lungo parlato di farsa, relativamente alla pandemia.
“Lo Stato della Florida è governato dal Repubblicano Ron DeSantis, e questo ha influenzato il fatto di non essere mai arrivati ad un lockdown totale – spiega Elisa –. L’anno scorso, nei mesi di aprile e maggio, c’è stato il consiglio di restare in casa, ed evitare i viaggi non indispensabili… Diciamo che l’aspetto più significativo, proprio a livello simbolico e psicologico, è stato vedere le spiagge transennate, senza potervi accedere”.
Dopo un breve periodo iniziale, è però subito iniziata la corsa a riaprire, senza badare ai numeri dei contagi, né tenere conto delle raccomandazioni del Cdc (Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie).
“Non è mai stato emanato un mandato per rendere la mascherina obbligatoria e la responsabilità di gestire questa parte di prevenzione è stata lasciata alle autonomie locali – precisa Elisa –. Ora, con il bel tempo e le temperature già sui 25/30 gradi, la sensazione che si ha è che tutto sia sotto controllo, e la gente ha ricominciato ad uscire, affollando locali e discoteche”.
Elisa racconta come, in questo angolo del mondo, la dichiarazione di pandemia da parte dell’Oms sia stata accolta con la fiducia che si sarebbe trattato di un periodo breve: “L’azienda per la quale lavoravo aveva concesso agli impiegati di lavorare da casa, ed onestamente la mia prima reazione è stata quella di cogliere l’opportunità come una sorta di vacanza, non dovendo più recarmi sul luogo di lavoro, che si trovava dall’altra parte della baia”.
E in effetti, lo scorso autunno, Elisa, insieme ad un caro amico, proprio grazie allo smart working ha vissuto l’esperienza di lavorare e viaggiare contemporaneamente: “Un’esperienza che fino ad allora non mi sarei mai sognata di poter realizzare! Senza smettere di lavorare, abbiamo visitato Savannah, Georgia, Carolina del Sud, Carolina del Nord e Tennessee”.
Il pranzo di Natale al computer
Quello che purtroppo non è più stato possibile, né per Elisa, né per Federico, è stato il ritorno in Valle, da familiari e amici: “Al termine della scorsa estate, con i numeri dei contagi in discesa, avevo cominciato a programmare di tornare in Italia per le vacanze natalizie, ottenendo l’ok anche dall’azienda, sempre grazie allo smart working” ricorda Elisa.
“Mi sono molto rattristato quando ho saputo che non avremmo potuto tornare neppure per Natale: è stata la prima volta! E, ad oggi, sono quindici mesi che non faccio ritorno in Italia”. Ma Federico non si è certo perso d’animo: ha subito deciso che non avrebbe rinunciato alla tradizione di famiglia, il cinghiale al civet, ed avrebbe chiamato mamma Erica per farsi guidare nella preparazione: “Lì mi sono reso conto che, anziché chiamarla solo per farmi aiutare nella ricetta, avremmo potuto fare un menu comune, anche con mia sorella in Florida, con la quale le sei ore di fuso orario vanno bene per sincronizzare il pranzo con la cena”.
L’idea è stata approvata, e così il pranzo/cena in diretta davanti al computer, è stato consumato fra Saint Petersburg, in Florida, Stoccolma, in Svezia, e mamma Erica, con fratello e cognata, sintonizzata da Pomaretto, Val Germanasca.
“Abbiamo approvato un menu comune, ma io ho dovuto un po’ adattarmi, perché in Florida non c’è stato verso di trovare il cinghiale – precisa Elisa –. È stato emozionante rivedere la mia famiglia, benché attraverso uno schermo. Avevo pensato si sarebbe trattato di un pasto veloce consumato online, ed invece siamo rimasti collegati per ben tre ore e mezza: noi italiani non ci smentiamo mai!”.
Anche Federico si dice soddisfatto dell’esperienza natalizia via internet “ma non vedo l’ora che si possa tornare a viaggiare in sicurezza, che i vaccini pongano fine a questo periodo di distanziamento e insicurezza”.