La morte non è mai un bello spettacolo e vederla in diretta in eurovisione, è un incubo che resta negli occhi e nell'anima per sempre.
Dal televisore di casa, allora ancora in bianco e nero, la vista di quei corpi accalcati, schiacciati, disperatamente alla ricerca di aria e di sollievo, di salvezza e di pace, erano una lama che si infilava diritta nel cuore di chi assisteva incredulo, perché aveva acceso il televisore per vedere una partita di calcio, ma stava assistendo ad un massacro di innocenti.
Era la notte di mercoledì 29 maggio 1985 e, dallo stadio Heysel di Bruxelles, era prevista la diretta della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus ed il Liverpool.
Ma il pressappochismo organizzativo della UEFA, unito all'impreparazione delle autorità belghe preposte alla sorveglianza e sicurezza degli spettatori e dell'impianto, accresciuto dall’incoscienza dei bagarini che avevano venduto biglietti di un settore che avrebbe dovuto essere occupato solo da tifosi inglesi, ed infine innescato dalla birra, ingerita a profusione dai delinquenti che poi misero in atto lo scempio, confezionarono il risultato finale di trentanove vittime innocenti, nemmeno tutte italiane, nemmeno tutte bianconere, giunte fin li solo per vedere una partita di calcio.
Perché di questo stiamo parlando, di una strage senza senso e senza scuse, una tragedia che sarebbe riduttivo definire “bianconera”, perché è una tragedia di tutta l'umanità, così come lo è stata Superga e come lo sono tutte le tragedie.
E magari fosse finita qui! Perché negli anni a venire queste trentanove piovere vittime sono state uccise innumerevoli altre volte, quando in molti stadi d'Italia la loro memoria è stata vilipesa e brandita come una clava, per offendere i “nemici” bianconeri che quel giorno giocavano li.
Sono passati trentasei anni, ma il ricordo di quella sera intrisa di dolore e di morte, ancora ci perseguita; sono passati trentasei anni, ma l'orrore per l'uso vigliacco che di quella tragedia è stato fatto da troppi, ancora ci offende.
Per fortuna, sono anche passati sette anni, dacché il Museo del Grande Torino, in collaborazione con due bianconeri che allora chiamammo amici, ma che oggi sono orgoglioso di chiamare fratelli, Domenico Laudadio e Francesco Caremani, propose la mostra “70 Angeli in un unico Cielo - Superga ed Heysel tragedie sorelle”, allestita nel febbraio del 2014 nelle sale della Memoria, a Villa Claretta.
Ricordo perfettamente il mare di insulti che mi presi, da parte di molti “fratelli”, molto tra virgolette, granata, per aver osato proporre questa cosa,che agli occhi offuscati ed ai cervelli ottenebrati dall’odio di questi individui, suonava come un blasfemo gemellaggio, mentre di ben altro si trattava. Noi, Giampaolo Muliari, direttore del museo con cui ho condiviso l'idea della mostra e me, siamo orgogliosamente granata e sono sicuro che Domenico e Francesco, le nostre controparti culturali, siano altrettanto orgogliosamente bianconeri.
In campo fieri avversari, fuori amici, come sport impone e logica vuole.
Ma per fortuna ho la pelle spessa e ho tirato diritto, fregandomene di tutto e tutti, in primis di quelli che mi consigliavano mellifluamente e bonariamente di lasciar perdere.
I fatti mi hanno dato ragione: da una schiacciante maggioranza di contrari, che accolse il primo annuncio, siamo un po' alla volta passati ad invertire le proporzioni ed oggi, con grande orgoglio e piacere, constato che sono molti di più quelli che hanno capito il senso di quella mostra e l'hanno approvata, fatta loro, modificando la loro opinione in merito.
Constato, con immensa gioia, che cori e striscioni offensivi di Superga e dell’Heysel sono quasi del tutto spariti dalle curve d'Italia e questo, oltre ad essere un segno di grande civiltà, è certamente anche un po' figlio di quella prima mostra, di quel primo passo, fatto da entrambi per venirci incontro e trovarci a metà strada.
E lasciatemi aggiungere che, sempre a seguito di quella prima mostra, ho allacciato rapporti straordinari, amicizie vere, al di là della fede calcistica. Gli amici del “Comitato per non dimenticare Heysel” di Reggio Emilia, Iuliana Bodnari e Rossano Garlassi, l'associazione "Quelli di... via Filadelfia" e poi Fabrizio Landini, Nereo Ferlat, lo Juventus Club di Grugliasco e tanti altri.
Una menzione a parte se la merita Beppe Franzo, personaggio di spicco della curva bianconera, con cui abbiamo realizzato altre iniziative insieme, per ricordare i nostri settanta angeli e mettere un freno alla vigliacca e demenziale logica dell’offesa ai defunti. Da qualche tempo è finito nell'occhio del ciclone per vicende giudiziarie legate allo stadio, ma io continuo a considerarlo, come è giusto che sia per tutti quelli che non hanno subito una condanna definitiva, innocente e nel suo caso specifico, per averlo conosciuto personalmente ed averlo “pesato” e giudicato, una persona a posto, con dei valori, con cui abbiamo realizzato cose significative, sia con gli adulti che con i ragazzi delle scuole, sull’educazione al vero significato dell'attività sportiva, sulla prevenzione dell'odio da stadio ed in favore del rispetto per chi non c'è più.
In conclusione, quello che vorrei che fosse chiaro, quello che tutti quanti ci dovremmo ficcare ben bene in testa, è che non possiamo chiedere rispetto per i nostri morti se non siamo disposti ad offrirlo per quelli altrui.
Che la memoria, l'onore ed il rispetto dei defunti, calciatori o tifosi che siano, è un atto dovuto a prescindere dalla reciprocità.
Che fare il primo passo, è prerogativa dei forti e dei giusti, non dei deboli e dei vigliacchi.
Settanta angeli ce lo chiedono ed io, ma credo tutti noi, non li deluderemo.