“Senza una drastica riduzione delle emissioni, lo scenario sarà catastrofico”: è questo l'allarme lanciato dal noto climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli a margine della presentazione del 6° dossier “Nevediversa” di Legambiente.
Il rischio: un aumento delle temperature di 5°
Mercalli ha illustrato, a proposito, i dati legati ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale, invocando azioni immediate: “Siamo - ha spiegato - di fronte a 2 possibilità: con una rapida decarbonizzazione che rispetti gli accordi di Parigi, l'aumento delle temperature salirà fino a 1,5° rispetto all'era pre-industriale per poi stabilizzarsi, altrimenti andremo incontro ad un aumento di 5° entro il 2100 con conseguenze drammatiche per tutta la specie umana e soprattutto su cibo, migrazioni, popoli e conflitti. Le linee divergeranno nel 2030, per cui abbiamo meno di 10 anni per una svolta energetica globale; il Mediterraneo è una delle zone più a rischio del mondo per la siccità”.
L'evoluzione storica del clima
Lo stesso Mercalli ha poi snocciolato le evoluzioni storiche legate al clima: “Dagli anni '90 in poi - ha proseguito – la rampa del riscaldamento globale è evidente, come ampiamente previsto da uno studio sulle conseguenze della combustione del carbone fatto addirittura nel 1896 e confermato negli anni '50. Quello che fino a 30 anni fa era evidente solo per i dati, però, ora lo sentiamo sulla nostra pelle con un aumento medio globale di 1,1° nell'ultimo secolo e di ben 2° nelle zone alpine: il 2022 ha battuto tutti i record di caldo e di asciutto, e il 2023 è iniziato con soli 338 millimetri di precipitazioni contro gli oltre 1000 che ci dovrebbero essere normalmente”.
La situazione sulle Alpi
Questa situazione è altrettanto evidente sulle Alpi occidentali: “L'aumento delle temperature e della CO2 – ha ancora aggiunto – ha avuto un esito infausto sui ghiacciai, che quest'anno hanno perso 4 metri di spessore. Il solo ghiacciaio Ciardoney, sul Gran Paradiso, ha perso 45 metri dal 1992, mentre quello sul Rocciamelone ne ha persi 70/80 da inizio '900. A questo va ad aggiungersi la carenza di neve: a 2850 metri di altitudine, infatti, siamo passati da 1 metro e mezzo a 35/40 centimetri, con una riduzione media annua dell'innevamento pari al 39%; un esempio eloquente è quello di Entracque, nel cuneese, dove il ginepro strisciante solitamente ricoperto di neve è cresciuto di più grazie a una maggior esposizione alla luce”.
La carenza d'acqua: siccità possibile
Un minor spessore dei ghiacciai potrebbe avere conseguenze anche sulle riserve idriche: “Quell'acqua - ha concluso – dovrebbe nutrire anche i nostri fiumi: se non verrà integrata dalle piogge primaverili, che potrebbero ribaltare la situazione e che nel 2022 sono state completamente assenti, il rischio di siccità estiva sarà elevato”.