Alla fine, gli sventurati ricevettero. E' arrivata dagli Usa la lettera sui dazi annunciata dal presidente Usa Donald Trump e l'esito, per la Vecchia Europa, è di 30%. Una vera mazzata, dopo che per settimane le diplomazie "economiche" del continente avevano vagheggiato su tariffe intorno al 10% e su canali preferenziali con Washington.
Un dazio al 30% è molto, molto peggio di quel che ci si poteva aspettare. E che supera anche le stime che aveva diffuso in mattinata l'ufficio studi della Cgia di Mestre. “Per l’industria torinese e italiana, come per l'intera industria europea sono necessari nervi saldi e unità - predica Marco Gay, presidente dell'Unione Industriali di Torino -: noi non vogliamo compromettere mercati e rapporti consolidati. È necessaria in tal senso, una posizione europea unanime, una politica industriale che metta al centro produzione, innovazione e energia. Questa deve essere la base per costruire una risposta, indicando concretamente la direzione a medio-lungo termine”. E anche il settore del vino è percorso da brividi profondi, lungo la schiena.
Dallo studio della Cgia stimava che, con dazi aumentati al 20%, il danno economico sarebbe stato a livello nazionale di circa 12 miliardi di euro per mancate esportazioni. Questo perché il nostro Paese, nel suo complesso, esporta beni e servizi per 64,7 miliardi di euro (dato del 2024). A livello regionale, è il Mezzogiorno a trovarsi più esposto, ma il Piemonte deve comunque fare i conti con un pericolo che riguarda il 54,8% dei suoi valori export. A livello di città metropolitane, con Milano al primo posto per esportazioni negli Stati Uniti, Torino è al quinto posto dopo anche Firenze, Modena e Bologna: un valore di merci che attraversano l'oceano di 2,5 miliardi di euro.
Stime che, adesso, sono tutte da rifare. Visto che il cowboy Trump ha sparato ancora più alto: 30% di dazi. Con buona pace di strette di mano, telefonate e rassicurazioni trasversali.
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