Rosa Vercellana, per tutti la “Bela Rosin”, è una figura sospesa tra storia e leggenda. Non fu mai regina per titolo, ma moglie morganatica di Vittorio Emanuele II, il “Re Galantuomo” del Risorgimento italiano. La sua vicenda ha alimentato racconti popolari, canzoni e pettegolezzi di corte: la ragazza del popolo che, grazie alla sua bellezza e al suo carattere, conquistò il cuore di un sovrano.
Dietro il mito c’è la storia concreta di una giovane nata in condizioni modeste, figlia di un militare, cresciuta tra trasferimenti e guarnigioni, e proiettata giovanissima in un destino inatteso.
Questo non è il racconto completo della sua vita, ma un viaggio nei luoghi che l’hanno segnata: scenari di passione, discrezione, riconoscimento e memoria. Da Nizza, ancora parte del Regno di Sardegna, fino al Mausoleo di Mirafiori, ogni tappa riflette l’ascesa sociale di Rosa e il complesso rapporto con il re, in bilico tra amore privato e impossibilità di ufficialità.
Le origini e la giovinezza (1833–1849): Nizza e Racconigi
Rosa Vercellana nacque a Nizza il 3 giugno 1833, quando la città era ancora territorio sabaudo. Il padre, Giovanni Battista Vercellana, era tamburino maggiore dell’esercito: un uomo dalla disciplina ferrea, ma con una vena di umorismo che alleggeriva le giornate di caserma. La famiglia cambiava spesso casa, seguendo le esigenze militari.
Negli anni Quaranta, i Vercellana si stabilirono a Racconigi, località di residenza reale e sede di un castello sontuoso circondato da un parco romantico. Fu qui che, secondo la tradizione, Rosa – appena quattordicenne – attirò l’attenzione del ventisettenne Vittorio Emanuele, allora principe ereditario. Forse fu durante una passeggiata nei giardini, forse a una festa di paese: il dettaglio preciso si perde tra memoria e leggenda. Ma Racconigi rimase per sempre il luogo dell’incontro che cambiò la sua vita.
Gli anni della relazione segreta: Stupinigi e La Mandria
La Palazzina di Caccia di Stupinigi, capolavoro barocco alle porte di Torino, fu molto più di un luogo per battute di caccia. Tra i suoi saloni e le ali appartate, offriva discrezione ai due amanti. Rosa, per evitare scandali, non alloggiava nelle stanze ufficiali: si racconta che avesse una dependance riservata, da cui poteva osservare le carrozze che arrivavano lungo il viale alberato.
Per offrirle maggiore indipendenza, Vittorio Emanuele acquistò la Tenuta Reale de La Mandria. Qui, nella “Villa dei Laghi” (talvolta chiamata Villa Mirafiori), Rosa trovò un rifugio protetto. Non mancavano i momenti felici: qui nacquero i due figli della coppia, Vittoria (1848) ed Emanuele Alberto (1851), registrati sotto nomi di copertura per proteggerli dagli occhi indiscreti.
La legittimazione e il riconoscimento: Fontanafredda e Sommariva Perno
Con l’Unità d’Italia, Vittorio Emanuele non poteva sposare Rosa come regina, ma iniziò a consolidarne la posizione sociale. Nel 1858 acquistò per lei la Tenuta di Fontanafredda, a Serralunga d’Alba.
Oltre a essere un’azienda agricola e vinicola prospera, Fontanafredda era un dono carico di significato: il re le conferì il titolo di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda, un riconoscimento nobiliare creato appositamente per lei.
Un altro luogo legato a questa fase fu il Castello di Sommariva Perno. Meno noto, ma parte di una rete di proprietà volute dal re per garantire a Rosa e ai figli sicurezza e prestigio.
Oggi i vigneti di Fontanafredda producono ancora vini rinomati. Una leggenda locale vuole che la “prima vendemmia” celebrata con il re sia stata accompagnata da un brindisi insolito: bicchieri d’argento, ma vino bevuto “alla buona”, in piedi tra i filari.
L’ultimo atto: Roma, San Pietro in Vincoli e Mirafiori
Nel 1869, dopo la morte della regina Maria Adelaide, Vittorio Emanuele sposò Rosa in un matrimonio morganatico. La coppia si trasferì a Roma, prendendo dimora vicino a San Pietro in Vincoli.
La vita romana di Rosa fu discreta, lontana dalle cerimonie ufficiali ma accanto al marito nei momenti privati. Alla morte del re, nel 1878, non le fu concesso di partecipare al funerale di Stato al Pantheon.
Rosa morì nel 1885. I figli vollero per lei un mausoleo imponente a Mirafiori, sobborgo torinese. Il monumento, tra arte e simbolo, è insieme atto d’amore e protesta silenziosa verso la corte che non l’aveva mai pienamente accettata.
Sul portale del mausoleo compare un bassorilievo che raffigura una corona. Non è quella regale, ma una corona nobiliare: un dettaglio sottile, quasi una dichiarazione di ciò che Rosa fu – e di ciò che non le fu mai concesso.
L’eredità silenziosa della Bela Rosin
Il viaggio di Rosa Vercellana, da Nizza a Mirafiori, attraversa luoghi che parlano di trasformazione, passioni private e convenzioni pubbliche. Dalla grazia giovanile nei giardini di Racconigi alle stanze riservate di Stupinigi, dalle vigne di Fontanafredda alle ombre solenni del mausoleo, ogni tappa racconta la sfida di una donna vissuta tra due mondi.
Oggi molti di quei luoghi – la Palazzina di Stupinigi, Fontanafredda, il Mausoleo – si possono visitare e permettono di percepire l’eco di una vita che sfidò i confini della sua epoca.
Oggi, il nostro gruppo editoriale vive e lavora proprio in alcune delle terre che hanno segnato la vita di Rosa: Nizza, Cuneo, Torino e Venaria. Forse è anche per questo che il suo percorso ci appare così vicino – quasi un filo invisibile ci lega ancora a quei luoghi e alle storie che li abitano.