Eduard, che vede la luce nel pieno del terrore staliniano, il 21 luglio 1937, non fa nemmeno a tempo a conoscere a fondo il padre, Anatolji.
Partito come ufficiale dell’Armata Rossa, va a vivere con una crocerossina conosciuta durante il conflitto a Kiev, lasciando il figlio solo con la madre Sof’ja.
Terminato il ciclo di studi obbligatori, le necessità impellenti portano Eduard a guadagnarsi il salario nella fabbrica Freezer, vanto dell’economia sovietica nel comparto delle macchine da taglio.
La passione per il Calcio fa sì che trascorra i suoi momenti di svago agli allenamenti della squadra aziendale, dove l’estro pare non mancargli. La partita contro la Fabbrica della più importante casa automobilistica del
Paese, la ZIS, è l’occasione per finire sotto gli occhi del mister dei bianconeri.
Di lì a poco riveste la maglia della Torpedo di Mosca, società a cui rimane indissolubilmente legato per il resto della sua vita.
Potenza, classe e estro sono doti che lo consacrano come il giovane più promettente
non solo della sua squadra, ma dell’intera Unione Sovietica.
Un grande privilegio ma anche una forte responsabilità, in un Paese in cui lo Sport riveste un ruolo prioritario dall’ottobre del 1920, anno in cui il terzo Congresso del Komsomol (la lega giovanile comunista) approva la risoluzione che è un messaggio inequivocabile alle nuove generazioni: ‘Oggi l’educazione fisica ha anche dei veri e propri scopi pratici: preparare la gioventù al lavoro e alla difesa militare del potere dei Soviet’.
Di lì a poco il clima cambia e gli apparati militari si impossessano dello sport, con il Cdka che diventa la squadra dell’Armata
Rossa e la Dinamo quella legata al Commissariato del popolo degli Affari interni. Nel 1935 fa il suo ingresso sulla scena la splendida eccezione dello Spartak Mosca, una società sportiva sindacale di cui Eduard è tifoso.
Eduard Streltsov, per tutti Erik, affina sempre più le sue doti e inventa col pallone magie su magie, come quella del 1956 in nazionale contro l’Ungheria nella Semifinale delle Olimpiadi australiane, dove un suo magistrale colpo di tacco viene ribattezzato ’Streltsov’.
È lui l’eroe della serata che spinge l’URSS a giocarsi il titolo.
Finale che non gioca però, in quanto il tecnico Gavriil Kachalin gli preferisce il recuperato Ivanov, facendo accomodare il novello fuoriclasse in panchina. L’URSS batte comunque la Jugoslavia e si aggiudica l’oro. Le medaglie sono però undici e Nikita Simonyan gli offre la sua.
La rifiuta, categorico: ’ne vincerò un altra, non preoccuparti’.
Non sarà così.
La delegazione olimpica è ricevuta al Cremlino e Yekaterina Furtseva, membro influente del Comitato Centrale del Partito, stringendo la mano a Streltsov gli confida che sua figlia è una sua grande fan e che lei non si opporrebbe a un loro matrimonio.
Rifiuta, adducendo come scusa la giovane età della figlia, confida a un dirigente della Federazione che mai avrebbe sposato ‘quella scimmia’. Solo i gol in Nazionale sembrano all’apparenza salvarlo dal linciaggio mediatico. È solo apparenza.
Sia la Dinamo che il Cska lo vogliono, ma lui giura eterno amore ai suoi colori: ‘Rimango alla Torpedo, sono legato a questi colori, non li
cambierei per nulla al mondo’.
Dichiarazioni che infastidiscono, non poco, un ambiente ancora astioso verso di lui per il caso Furtseva.
L’ultima fuga dal ritiro della nazionale che sta preparando il Mondiale del 1958, è quella a lui fatale. La mattina dopo viene prelevato in
hotel dalla polizia, con l’accusa di stupro. Troppo ubriaco, dice di non ricordare, mentre la ragazza, così sostengono le Autorità, ha fornito anche i dettagli.
Con l’inganno i poliziotti gli promettono che, firmando una dichiarazione di ammissione di responsabilità, sarà libero di giocare i Mondiali.
Lo scarabocchio sul foglio è il preludio a dodici anni di Gulag in Siberia, dove con la buona condotta si ridurranno a sette.
Nel 1960 è trasferito a Elektrostal, a 70 km a est della capitale, dove i molti tifosi della Torpedo si prodigano a fargli visita,
raccontandogli le vicissitudini del club. Quell’affetto lo tiene in vita e lo induce sempre più ad allenarsi, cosa che non ha mai rinunciato a fare, diventando la star per eccellenza dei tornei estivi tra carcerati.
Finalmente libero, per lui vige il divieto di giocare nel calcio che conta, disputando solo qualche amichevole, grazie ai dirigenti della Torpedo che, seppur consci del divieto, accettano il rischio di schierarlo in squadra.
Il 25 luglio 1963 a Odessa, accorrono ben 40 mila persone in uno stadio che ne può contenere non più di 34 mila.
Quando Eduard entra in campo, un intero stadio si alza in piedi a tributargli un lungo, prolungato, applauso.
Il suo cuore batte impazzito e quando nel 1965 cade il divieto e può finalmente ritornare a giocare, porta la Torpedo a vincere il suo secondo scudetto. Cska, Dinamo e Spartak seguono rispettivamente a -13, -15, -19 punti. Eduard è il capocannoniere della sua squadra, con 12 gol in 26 partite. Ma è tardi per lui, che si è bruciato gli anni migliori della sua giovinezza, anche se fa ancora parlare di sè in alcune partite della selezione nazionale
e nella prima edizione della Coppa dei Campioni, dove la Torpedo perde di misura il doppio confronto con l’Inter di Herrera.
Muore il 22 luglio 1990, il giorno dopo aver compiuto 53 anni.
Un tumore ai polmoni è il frutto delle esalazioni delle miniere del gulag.
Come riferisce Marco Iaria nel suo bellissimo libro ‘Donne, Vodka e Gulag, la vita spezzata di Eduard Streltsov, il campione’, Eduard chiede al figlio di parlare da solo con la madre. Abbracciandola, le confida che è innocente, che non ha mai fatto niente, che non è colpevole del reato per cui l’hanno condannato.
Nel 2001 un Comitato a favore della riabilitazione del giocatore porta a far sì che tutti gli atti del processo siano portati al setaccio.
Dei 39 testimoni interrogati, 25 risultano distanti dal luogo del fattaccio e i restanti 14 non depongono contro Steltsov. Emerge inoltre che nessuno ha dichiarato di aver sentito Marina Lebedeva, la presunta vittima dello stupro, gridare aiuto, come invece sostengono nei loro verbali i giudici.
Sei anni dopo la sua morte, la Torpedo ribattezza lo stadio in suo nome, una statua di Eduard viene eretta al Luzhniki nel 1998 e nel 1999 la Torpedo costruisce un monumento a lui dedicato fuori dal suo stadio.
Oggi si aspetta ancora la sua riabilitazione.