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In Breve

| 01 aprile 2020, 10:30

Il Coronavirus non ferma la missione del Cottolengo: “Dio è tra la gente che si prende cura del prossimo” [INTERVISTA]

Un pasto garantito a 3000 persone al giorno, un piano d’ospedale per i “pazienti Covid” e la preoccupazione per il diffondersi della povertà. Padre Arice: “Al momento non è credibile alcuna predica. E’ credibile una vita donata, una vita condivisa”

Foto di Cottolengo News

Foto di Cottolengo News

“Mi permetto di ringraziare gli operatori. Li ho definiti angeli: in questa notte ci sono delle stelle, le stelle si vedono solo di notte, magari perché sono piccole e lontane. E questa è una notte che sta facendo vedere numerose stelle e di questo benedico il Signore”. Sono queste le parole utilizzate da Don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa del Cottolengo, per ringraziare chi, ogni giorno, si spende per garantire assistenza ai bisognosi nonostante le mille difficoltà legate al Coronavirus.

In questo periodo contraddistinto dal Covid-19, com’è cambiato il modo di assistere il prossimo al Cottolengo?
Per certi aspetti stiamo continuando a fare ciò che abbiamo sempre fatto: cercare di custodire e accompagnare la vita delle persone fragili che abbiamo in casa nostra. Essendo però una popolazione soprattutto di anziani, siano esse disabili e non, in questo momento l’attenzione deve essere ancora maggiore. Per cui abbiamo messo in pratica tutte le procedure necessarie per tutelare al massimo l’incolumità delle persone. Sappiamo che è un tema importante, nelle Rsa sono sorti in tempi nei quali non c’era il problema dell’isolamento contagioso dei problemi. Strutturalmente da noi c’è una convivenza, anche con persone che arrivano dall’esterno: ospiti e operatori. Noi proviamo a fare la nostra parte, poi ci affidiamo anche al buon Dio.

 

 

Qual è la situazione a Torino?
A Torino in questo momento abbiamo la casa più grande, con oltre 300 anziani e disabili. Lì e nelle altre 16 strutture sparse per il territorio nazionale non abbiamo pazienti di Coronavirus, se non qualche persona con la febbre che viene monitorato. Quei pochissimi casi sono stati messi immediatamente in isolamento: al momento questa è la situazione. Più pesante è quella relativa all’ospedale. In ospedale abbiamo dato la disponibilità alla Regione di ospitare pazienti positivi al Coronavirus che non hanno bisogno di terapia intensiva e in questo momento abbiamo 62 letti occupati. Un intero piano, ne apriremo anche un altro. Su circa 300 dipendenti, una trentina tra medici e infermieri sono risultati positivi e questo ha portato all’isolamento, all’avere bisogno di personale. Una delle emergenze che abbiamo oggi è quella relativa al personale.

Avete avuto un incremento delle richieste? 
Noi abbiamo bloccato nuovi ingressi per non creare ulteriore disagio e perché quei pochi posti liberi che abbiamo ci servono per mettere in isolamento dei casi che possiamo avere. Cerchiamo di ridurre al massimo possibili eventi che possano danneggiare l’equilibrio. Va detto però che le richieste sono tante da parte del territorio, vorrebbero mandarci altre persone ma la questione è delicata e serve la massima prudenza. 

Aiuti economici per garantire alle persone bisognose un pasto o assistenza, il Governo ha stanziato 400 milioni per i Comuni. Voi siete in qualche modo coinvolti? Cosa ne pensa di queste misure?
Guardi, io dico in generale che quando si ha sete anche una sola goccia d’acqua può aiutare. Ma una goccia d’acqua non disseta, non risolve il problema. Per quel che riguarda gli aiuti alla nostra istituzione, abbiamo avuto molta solidarietà da parte dei privati: dalle mascherine al cibo, passando per le donazioni. Questo non copre il fabbisogno del momento: l’aumento del personale, il fermare la normale attività dal punto di vista economico e gestionale porta un danno. Questo però non mi preoccupa, nella Casa della Provvidenza l’Eterno Padre provvederà. Da parte delle istituzioni grossi aiuti non ne abbiamo avuti: a volte siamo considerati “pubblico”, quando siamo sul territorio, il nostro ospedale è accreditato. Eppure dalle istituzioni abbiamo avuto poco: pensi che è arrivata qualche giorno fa una donazione di 1000 mascherine, io ho 2500 dipendenti. Capire che 1000 mascherine chirurgiche non bastano. Dal punto di vista sociale, dal primo giorno non abbiamo chiuso la mensa. Si era creato un fenomeno, diverse mense cittadine hanno chiuso ed è aumentato il numero di persone che ci chiedevano un pasto. Chi non muore di virus rischia di morire di fame. Abbiamo continuato a fare spese ingenti e in questo caso abbiamo avuto aiuto da qualche privato. C’è è un aumento di povertà notevole: se si tratta con questi aiuti di dare un primo sollievo immediato va bene, ma penso vada fatta una strategia sociale che vada a vedere come aiutare situazioni di difficoltà. Il mio timore è che ci sia un aumento della delinquenza, perché quando la gente ha fame diventa anche delinquente per disperazione. Noi di campanelli d’allarme ne vediamo diversi. E’ un momento di una delicatezza estrema. Gli investimenti attuali non sono sufficienti, è un primo intervento e speriamo non sia l’ultimo.

In ultimo, hanno fatto il giro del mondo le immagini di Papa Francesco raccolto in preghiera in una piazza San Pietro vuota. Che tipo di assistenza morale e psicologica trova chi si rivolge a voi?
Una delle domande che mi viene rivolta più spesso è: “Ma Dio dov’è?”. E’ una domanda che ha percorso la storia dell’umanità in ogni situazione di crisi. La mia risposta è che mi ha convinto il cuore vedere i nostri operatori, persone che rischiano nonostante i figli. Io dico che Dio è lì, nella mano di questa gente che si prende cura di quelle persone. Dio è soprattutto in quel letto che soffre con le persone. C’è anche una dimensione misteriosa, salvifica della sofferenza con la quale il Signore ha redento il mondo E’ un mistero di fede, ora non ci voglio entrare. La consolazione più grande dal punto di vista religioso non è tanto la parola, ma la presenza. Dire “io ci sono”. Qui abbiamo in filodiffusione tutti i 112.000 metri quadri, siamo in 3.000 a mangiare a mezzogiorno. Io inizio la mattina con un “buongiorno”, con una parola di conforto o di incoraggiamento agli operatori, passo la giornata ascoltando e confrontandomi ai direttori o ad affrontare con l’unità di crisi che abbiamo costituito all’interno tutte le situazioni. Si scopre che Dio e il messaggio religioso passa attraverso questi gesti, attraverso la presenza. Al momento non è credibile alcuna predica, è credibile una vita donata, una vita condivisa, un piangere insieme. Dio penso che in questo momento sia lì che piange con noi”. 

Andrea Parisotto

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