La metalmeccanica torinese (e un po' tutta quella piemontese e italiana) guarda al futuro, ma l'orizzonte non è particolarmente limpido. Certo, influisce l'impulso che potremmo chiamare effetto 4.0, ma alcune cicatrici della crisi sono ancora in bella vista e l'incertezza si ritaglia un suo spazio. Secondo i dati esposti da Amma (Aziende meccaniche meccatroniche associate) a Torino con Federmeccanica e alla presenza del presidenti Giorgio Marsiaj e Alberto Dal Poz, il picco della cerscita sostenuta dell'economia mondiale potrebbe essere alle spalle, dopo l'abisso del 2015-2016 e la vetta del 2017.
E se da un lato le ultime previsioni di Intesa Sanpaolo-Prometeia dicono che saranno ancora proprio meccanica e auto a recitare come i settori trainanti in Italia tra il 2018 e il 2022, è necessario che questo cammino sia accompagnato però dall'avvio di un ciclo di investimenti “autentico”: nella prima parte della ripresa, infatti, le imprese sono state riluttanti a investire, anche per la scarsa presenza di profitti. Ma ora che il gap si sta riducendo si prevede una crescita più significativa nel corso del 2018, anche per contrastare il processo di invecchiamento degli impianti. In questo, si spera che abbiano un ruolo importante anche gli incentivi fiscali.
E' qui che si innesta la sfida del 4,0: una sfida che la meccanica piemontese può vincere, visto che a fronte di una media di competitor italiani che producono macchinari di questo genere (60,9%), quelli che lo fanno nella nostra regione sono il 66,7%. Siamo tuttavia ancora alcuni passi indietro rispetto ai competitor stranieri, che sfiorano quasi il 74%.
A fornire un “turbo” particolare, poi, potrebbero essere utili sia l'alta integrazione che nel nostro territorio esiste con il settore ICT, sia la presenza in particolare del polo di Torino. Proprio queste presenze concorrono a far crescere la consapevolezza delle imprese manifatturiere piemontesi che, se a marzo 2017 dichiaravano al 23% di aver conoscenza del Piano 4,0, sono salite a marzo 20118 a quota 37%. Alla fine del primo trimestre dell'anno in corso, 11 imprese manifatturiere su 100 hanno già introdotto tecnologie abilitanti.
Numeri alla mano, comunque, se la metalmeccanica in Italia, in generale, tiene nel primo trimestre 2018 (il fatturato cresce, così come gli ordinativi), siamo ancora distanti dalle cifre di dieci anni fa. E di conseguenza anche l'impatto occupazionale è negativo, nel suo complesso, rispetto al 2008.
Ma le due grandi incognite – a livello locale come nazionale – restano Fca e i dazi Usa voluti da Trump. Nel primo caso, il nuovo piano industriale presentato da Marchionne sembra incontrare i favori delle aziende meccaniche e meccatroniche, ma l'esperienza del passato ha insegnato loro a differenziare per tempo i propri business, per cui l'incidenza – in positivo o in negativo – non sarà comunque drastica. Anche i muri eretti a livello economico dal presidente a stelle e strisce preoccupano poco: i dati dimostrano infatti che, su 20,3 miliardi di euro di giro d'affari mondiale tra acciaio e alluminio, il mercato Usa incide per circa 879 milioni. Una buona fetta, ma non tutta la torta.
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