Ci avviamo a passo mesto verso il quattro maggio, data da settantuno anni triste, per noi granata e quest'anno doppiamente intrisa di dolore, per questa tragedia sanitaria che ha colpito il pianeta e ancor più duramente la nostra Patria.
Sarà un quattro maggio diverso da tutti quelli precedenti, proprio in funzione di questa clausura, e scusatemi se preferisco la parola nella nostra bella lingua, così ricca di vocaboli ed espressioni piene di sfumature e significati, piuttosto che un freddo termine straniero.
Ma sotto un certo punto di vista, sarà una celebrazione più vicina al vero significato di commemorazione, ovvero un momento dedicato al raccoglimento, al rispetto, al ricordo e, per chi ci crede, alla preghiera. Basta con certe scene da sagra di paese, che abbiamo visto fino ad un paio di anni fa, con venditori di porchetta e birra, palloncini e gadget, e ogni altra cosa che con la sacralità del luogo e del momento nulla avevano a che fare. E nemmeno cori e fumogeni, selfie ed autografi coi giocatori, che seppur parte di questa liturgia pagana che è il tifo calcistico, restano comunque estranei alla commemorazione della scomparsa di trentun esseri umani.
Quest'anno, a quanto pare, gli attori senza pubblico di questa cerimonia, dovrebbero essere tre: il capitano del Torino, Andrea Belotti, il padre spirituale, (non dico “cappellano”, perché il buonanima di don Aldo si rivolterebbe nella tomba, avendo sempre aborrito quel termine di provenienza nobiliare) don Riccardo Robella ed il trombettiere che suona il silenzio. Unico testimone, un operatore TV a documentare agli assenti ed a consegnare alla Storia questo quattro maggio così atipico.
Se per il milite ignoto si sceglie un soldato non identificato, a rappresentarli tutti proprio per questo suo essere anonimo, per Belotti, al contrario perfettamente identificabile ed identità incarnata dello spirito del Popolo Granata, toccherà il compito, così pieno di onori ed oneri, di rappresentarci tutti quanti, con la lettura dei nomi dei trentuno.
Quest'anno niente cori, niente applausi. Sarà il fragore del silenzio del Colle, dove settantuno anni fa persero la vita, a giungere lassù dai nostri Eroi Immortali ed a portare loro il segnale tangibile del nostro eterno affetto per loro e per quanto hanno fatto per noi.
A qualcuno, magari, peserà il rinunciare a questa passerella. Qualcuno farà sicuramente qualche salto mortale per esserci comunque, per poter dire io c’ero. Ma a volte l'assenza è più difficile ma appagante della presenza, nel rispetto di chi ha sofferto e ancora soffre, di chi ha combattuto ed ancora combatte, per la nostra salute e per il nostro futuro.