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Cultura e spettacoli | 15 maggio 2020, 17:30

"Il MUFANT darà spazio al virus nella fantascienza, ma senza dimenticare il lato umano: per il pubblico, realtà aumentata e gamification" [INTERVISTA]

Il direttore Davide Monopoli: "Un ruolo fondamentale lo giocherà il Parco del Fantastico almeno fino all'autunno. Ci prepariamo alla mostra su Sailor Moon e allestiremo un cinema all'aperto per il quartiere"

"Il MUFANT darà spazio al virus nella fantascienza, ma senza dimenticare il lato umano: per il pubblico, realtà aumentata e gamification" [INTERVISTA]

Supporti digitali, gamification, installazioni interattive. Un nuovo modo di vivere l’esperienza di visita. Davide Monopoli, nel momento in cui i musei torinesi si preparano alla riapertura, quali sono gli strumenti messi in campo dal Mufant per ripartire e tornare ad accogliere il pubblico?

Si parte ovviamente dalla questione materiale e concreta della riapertura. Stiamo portando avanti un lavoro sia individualmente sia partecipando a diversi tavoli indetti dall’assessorato alla cultura, ponendoci il problema della sanificazione degli spazi e del passaggio del pubblico. Per quanto riguarda invece la dimensione digitale, in questo periodo ha sicuramente visto una netta accelerazione. Se fino a poco fa le nostre proposte virtuali avevano il carattere della sperimentazione e dell'innovazione, ad esempio tramite percorsi di gamification fatti in aree urbani, all'interno di progetti della Città come AxTo, ora bisogna rendere concreti e operativi questi strumenti, in modo che entrino appieno nel nostro quotidiano. Il ventaglio di possibilità è davvero molto articolato, va dalla vicinanza e prossimità dell’utente singolo, che interagisce in modo diverso con gli spazi del museo, i contenuti e gli oggetti, fino alla progettazione di app per la realtà aumentata e all'interazione con i visitatori via web, pensando a eventi del museo che coinvolgano un pubblico molto più ampio di quello fisico. Se prima c'era l'interesse fino a un certo punto a organizzare iniziative online, adesso ne stiamo vedendo tutti i vantaggi. Ad esempio, se realizziamo la settimana sulla fantascienza cinese, possiamo sì pensare di avere qualche ospite fisicamente a Torino, ma il resto può svolgersi online riducendo notevolmente i costi. 

Tra le modifiche al vostro calendario di eventi, spicca la proroga della mostra “Back to the future”, dedicata alla trilogia di Ritorno al Futuro, che quest'anno compie 35 anni. Qual è stata la sua risonanza, fino al momento della sospensione? Pensate di introdurre qualche novità per richiamare il pubblico? 

La mostra ha certamente segnato un passaggio importante per noi, che siamo una realtà media, in crescita, molto attenta a sviluppare i diversi linguaggi del fantastico, tra cui quello delle grandi saghe, come il film di Robert Zemeckis. Stavamo registrando un'affluenza di pubblico costante e decisamente in crescita, nel nostro business plan iniziava a diventare importante lo sbigliettamento. Quindi l'interruzione è stata traumatica. Ora l'abbiamo prorogata fino all’estate e stiamo costruendo un calendario per rinnovarne la scoperta, innovando come ospiti alcuni collezionisti che presenteremo a breve. Continueremo quindi il lavoro su questa mostra preparandoci, nel frattempo, a un altro evento importante: l'esposizione dedicata a Sailor Moon, agli inizi dei settembre. 

A che punto è il progetto per il Parco del Fantastico realizzato all’interno di Co-City? E che ruolo torna a svolgere, ora, l’area verde, con la ripresa delle attività all’aria aperta a Torino?

Stiamo collocando piccole installazioni artistiche, statue di circa 3 metri che rappresentano alcuni personaggi fantastici iconici. Nella nostra progettualità, il parco ha visto un rilancio decisamente amplificato, e ora investiremo molto sulla parte esterna con attività specifiche. Vorremmo realizzare un piccolo festival, in questo caso contingentato, trovando una formula adatta per la sicurezza del pubblico, e il nostro obiettivo prioritario è rendere quello spazio davvero vissuto e coprogettato assieme ai residenti del quartiere. Abbiamo infatti messo a punto il progetto di un piccolo cinema al''aperto e attivato una collaborazione con il Politecnico per la gamification relativa all'interazione con le statue stesse, con le quali si potrà dialogare tramite diverse app. Fino agli inizi di ottobre sarà un parco vivo, ricco di attività laboratoriali. 

Sentite quindi ancora vivo il legame con il territorio in cui risiedete, nonostante lo stop dovuto alla quarantena? 

Sì, siamo ad esempio inseriti nel progetto Pon Metro in collaborazione con la cooperativa sociale torinese Altra Mente, che si occupa di accompagnamento al disagio psichico. Abbiamo dato avvio a due laboratori professionali che coinvolgono soggetti disagiati con prospettive lavorative, uno di costume design per cosplayers e l'altro di scenografie per musei e piccole compagnie teatrali. In questo periodo di stallo ci siamo concentrati molto sull'incremento dell’inclusione sociale, aprendoci al digitale, in particolare al videogioco e tutte le problematiche connesse, come la dipendenza. Faremo un lavoro molto incentrato sulla prossimità e la dimensione clinica, ma sviluppando le interazioni con enti culturali ed educativi.  

In questi ultimi mesi le cronache quotidiane non hanno mancato di fare leva su scenari apocalittici e immagini distopiche. Che ruolo ha giocato, secondo voi, il fantastico nella narrazione e percezione della pandemia? Avete riflettuto sulla possibilità di dedicare spazio, ad esempio, al parallelismo tra il virus attuale e le produzioni fantascientifiche di altre epoche?

Certamente il sottogeneri apocalittico e postapocalittico è uno dei filoni storicamente centrali della fantascienza. C’è una grande produzione su tutti i media, letteratura, televisione, cinema. Mi vengono in mente due donne, in particolare. La prima è Mary Shelley, che ha scritto uno dei primi romanzi dedicati alle pandemie, L'ultimo uomo, la storia di un'umanità azzerata, dove resta un solo sopravvissuto. Oppure il libro più recente della psichiatra israeliana Hamutal Shabtai intitolato 2020, che racconta appunto di un virus diffuso in tutto il mondo a partire dalla Cina. Non bisogna tuttavia cadere nell’errore di analizzare certi documenti dicendo: ah, guarda, avevano già previsto tutto. Il valore della narrazione sta nell’elaborare la dimensione umana in rapporto alla natura e alla tecnologia. In questi senso uno dei romanzi più curiosi è L'ultimo uomo della terra, scritto nel 1954 da Richard Matheson. Tra i film recenti tratti dal libro, Io sono leggenda mette assieme diversi elementi gotici: un virus trasforma i sopravvissuti del mondo precedente in vampiri, rimane un solo uomo e c'è un ribaltamento prospettico, il protagonista diventa leggenda e scatena a una caccia alle streghe dove è lui il perseguitato. Insomma, è sull'umanità che la nostra attenzione deve rimanere fortissima. Noi, come Mufant abbiamo tantissimo materiale a riguardo. A partire dall’autunno lavoreremo in questa direzione, trovando le giuste chiavi di presentazione; va da sé che si tratta di un aspetto molto delicato da trattare, ma vale la pena raccontarlo. 

Manuela Marascio

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