Ho letto con grande attenzione ed una fitta al cuore, il pezzo del mio amico Beppe , per la sua rubrica “il Punto di Beppe Gandolfo” su Torino Oggi, riguardo la prospettata chiusura della Basilica di Superga dai primi di luglio, ovvero tra una quindicina di giorni.
Piange il cuore ad apprendere di tale decisione, figlia di una noncuranza da cui tutte le cose belle di Torino, prima o poi, vengono fagocitate. L'elenco delle imprese, dalla compagnia dei telefoni in giù, dei saloni e fiere, dal salone dell'auto in giù, dei monumenti, da Superga, appunto, in giù, che sono caduti in disgrazia ed hanno abbandonato la Città, è troppo lungo per essere qui riportato.
Questo ultimo ed eclatante caso di Superga, però, ci colpisce come uno schiaffo in faccia e non solo una volta, ma due: come torinesi e come granata.
Se indubbiamente il capolavoro juvarriano è un patrimonio artistico della città, ma non solo, il colle su cui poggia è Sacro al cuore di noi granata, per essere stato intriso del sangue dei nostri Eroi Immortali, in quel piovoso e maledetto quattro maggio del quarantanove.
Ricordo perfettamente quando, nel marzo del 2002, ci recammo con la nostra bella faccia di tolla, la faccia di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare, di chi ha il cuore riscaldato e la mente illuminata da una Fede profonda, a parlare con i Servi di Maria, per chiedere uno spazio tra le sacre mura, per allestire un museo per il Grande Torino.
Ci accolse con una gentilezza formale, ma anche con un calore sostanziale, proveniente dalla comune fede granata, padre Benedetto Marengo, all'epoca rettore della Basilica. Quando gli svelammo le nostre intenzioni, non seppe trattenere un sorriso radioso e con fare complice, ci disse: ”Non diciamolo troppo forte, ma la gente, qui a Superga, ci viene per il Grande Torino, mica per i Savoia”. Fu facile trovare, nello sterminato corpo di fabbrica della Basilica, tre stanzette, per un centinaio circa di metri quadri, che però a noi parvero il paradiso e la terra promessa unite in una sola entità.
E lì finì il miele ed iniziò il fiele.
La società laica che gestiva le opere museali di Superga, non era la personificazione della simpatia e della collaborazione. Ed anche la Soprintendenza ci mise del suo con una lettera, per fortuna arrivata dopo l'inaugurazione del museo, il 4 maggio 2002, a dirci che vista la particolarità delle collezioni esposte a Superga e la totale distonia di quanto noi andavamo a inserire, forse sarebbe stato meglio fare prima due parole sull'argomento. La lettera era datata fine aprile, ovvero pochi giorni prima dell'inaugurazione, ma mai come in quel caso benedetta fu la leggendaria lentezza nelle consegne delle Poste Italiane. Ma la Soprintendenza se la legò al dito e, questa volta con puntualità svizzera, pochi giorni prima della scadenza del contratto, ci fece recapitare lo sfratto. Qualcuno ironizzò che serviva spazio per esporre le slot machines dell’erede di casa Savoia, che in quei giorni del 2007 era rimasto coinvolto in uno scandalo legato al gioco d'azzardo, ma al di là di una amara risata, ci toccò sloggiare.
Ti chiederai, caro Beppe, perché sono andato a ripescare nella memoria questa storia ormai coperta dalla polvere del tempo, dal pietoso velo che sovente si decide, per quieto vivere, di stendere su taluni dolorosi episodi. Semplice: la storia ci deve dare degli insegnamenti che servono ad evitare di ripetere gli errori fatti.
Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese stupendo, con una ricchezza di paesaggi uno diverso dall'altro, un patrimonio artistico così vasto da essere stato quantificato dall’Unesco come ammontante al cinquanta per cento circa del totale mondiale. Insomma, viviamo in un museo a cielo aperto quasi senza accorgercene. Ho molti amici esteri che quando vengono a trovarmi rimangono a bocca spalancata dalla quantità di cose belle che per noi autoctoni fanno parte della quotidianità, come per loro la poltrona del salotto o il tavolo della cucina, ma con la differenza che la nostra “poltrona” è di epoca Augustea, il nostro “tavolo della cucina” è un gioiello del barocco piemontese. Questa anomalia, tipicamente italiana ha creato due problemi: il primo è che troppo sovente noi italiani tendiamo a sottovalutare e trascurare questi reperti artistici e culturali, che sovraffollano le nostre città, le nostre terre e quindi per fortuna che c'è qualcuno che vigila ed impedisce scempi. Il secondo problema è che, a volte, il vigilante si prende troppo sul serio e pone cotali e cotanti vincoli e laccioli, da uccidere il bene oggetto di tutela, per eccesso di amore.
Mi sento di ipotizzare che Superga possa ricadere in quest’ultima categoria: con lo stesso zelo con cui furono cacciati i calciofili dal tempio, mi si perdoni l’irriverente (per i calciofili) paragone, oggi si sono creati i presupposti per una chiusura che suonerebbe come il più cocente dei fallimenti del sistema culturale italiano, ed a caduta, anche piemontese e torinese.
Ti ringrazio profondamente per aver pensato a me ed all’associazione di Volontari di cui sono presidente, che da quasi trent'anni si occupa di recuperare, salvaguardare e tramandare la leggendaria storia granata, ma a malincuore mi tocca rispondere di no.
Oggi, siamo fuori tempo massimo. Nel 2007, chiedemmo di allargare gli spazi del museo a Superga e la beffarda risposta fu: ”Ci spiace, ma non ci sono spazi disponibili”. No, dico, hai presente quanto è grande il corpo di fabbrica della Basilica di Superga? Mi sono sentito come uno che chiede un secchio d'acqua davanti ad un lago e gli dicono che è finita. E siccome sono come i fiammiferi, ovvero mi freghi una volta sola, oggi rispondo no grazie.
Il destino del Museo del Grande Torino è nelle mie mani, e spero di concludere presto e bene il suo trasferimento nella sua sede più logica, ovvero al rinato Filadelfia, ma se sbaglierò sarà solo ed esclusivamente colpa mia: non metto più il destino del mio, del nostro museo, in mani capricciose ed instabili.
Lascio invece, sebbene a malincuore, nelle mani di altri, il destino della Basilica di Superga, con due ultime considerazioni: la prima è che all'interno della basilica, per precisa volontà chi chi ha voluto fare una “pulizia culturale”, non c'è più nulla di granata, visto che la lapide coi nomi dei trentuno caduti è all'esterno e quindi, la seconda è che se è vero quello che disse padre Benedetto Marengo quando ci accolse, ovvero che la gente a Superga ci viene per il Grande Torino, non per i Savoia, quel che cercano è a loro disposizione.
Salvo che si decida di lasciar andare ancor più in rovina il camminamento intorno alla basilica e di spegnere la fioca illuminazione che, dopo anni di battaglie, il popolo granata è riuscito ad ottenere.
Ma a questo punto, non mi stupirei più di nulla.