Rifare il viaggio con cui, nel gennaio del 1687, 2.880 valdesi raggiunsero a piedi Ginevra dal carcere della Castiglia a Saluzzo, una volta concessa la liberazione da Vittorio Amedeo II ma solo a condizione di espatriare. Questo l ’obiettivo del viaggio in e-bike di due coniugi angrognini, Marco Fraschia e Rinalda Benech, assieme all ’amica Lilia Davit, che hanno deciso di percorrere le strade dell ’esilio pedalando da un minimo di 40 a un massimo di 110 chilometri al giorno. E ci sono voluti sette giorni per arrivare a Ginevra oggi, venerdì 6 agosto, tenendo conto di un giorno di sosta Annecy a causa della pioggia battente e continua.
“Il viaggio dell ’esilio inizia da Saluzzo, da una delle 13 carceri dalle quali partirono i valdesi diretti in esilio a Ginevra, in altri cantoni svizzeri e in Germania – spiega Fraschia –. Ma noi, venerdì 30 luglio, siamo partiti dalla statua di Henri Arnaud a Torre Pellice”. Il luogo ha un valore simbolico perché quest ’anno si celebra il trecentenario della morte di Arnaud, l ’artefice del Glorioso Rimpatrio che permise proprio a un nucleo di espatriati di tornare nelle valli nel 1689.
Per fare il tragitto a piedi, Fraschia e le sue compagne di viaggio avrebbero impiegato circa 14 giorni: “La bicicletta è il mezzo migliore per ripercorrere l ’itinerario dell ’esilio dei valdesi. A piedi sarebbe filologicamente più corretto ma troppo noioso e lungo” spiega. Il mezzo scelto ha creato problemi però nella pianificazione del viaggio di ritorno: “Tornando solo le prime due tappe saranno in bici e poi ci verranno a prendere perché non arriveremmo a casa in tempo per lunedì, quando è previsto che mia moglie ricominci a lavorare”. La loro idea era raggiungere casa utilizzando i trasporti pubblici ma non è stato possibile: “Nessun bus carica bici elettriche, penso a causa del peso, e ricorrere al treno è complicato perché non tutti prevedono il trasporto bici. Abbiamo anche scritto a FlixBus ma niente da fare: nessuna bici elettrica”.
All ’andata particolarmente impegnativa è stata la salita da Tournon al colle Tamiè, seconda per fatica richiesta dopo il Moncenisio: “Sull ’antica strada reale, tra Moncenisio e Ferrere, il comune più piccolo d ’Italia, e la statale del Moncenisio, abbiamo anche dovuto scendere per spingere un po ’ le bici”.
Tra gli imprevisti, oltre alla pioggia di Annecy anche la chiusura di strutture ricettive: “Non avevamo prenotato niente preferendo scegliere di volta in volta dove fermarci a dormire. Così il terzo giorno abbiamo dovuto allungare la tappa di trenta chilometri per trovare un posto aperto e ci ha aiutato un edicolante a individuare una sistemazione”. La situazione più buffa a Lanslebourg dove nell ’albergo scelto lavora solo personale ucraino e polacco: “È stato difficile capire il francese che parlavano”.
Nessun problema invece per trovare punti dover ricaricare le bici: “Ogni albergo ci ha dato un posto chiuso e coperto in cui lasciare e caricare le i mezzi. A volte in pausa pranzo anche bar e ristoranti ci hanno lasciato caricare un po ’ le batterie”.