Da quando l’omosessualità è stata eliminata dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) nel 1973, lo psicologo clinico G. Weinberg nel suo libro “Society and the Healthy Homosexual” (1972) coniò il neologismo omofobia ad indicare una fobia seppur atipica in quanto caratterizzata dall’ odio e dalla rabbia (anziché dalla paura e dall’ansia delle fobie comuni).
La Risoluzione del Parlamento europeo sull’omofobia in Europa del 2006, ha fornito una definizione-modello ad ampio spettro semantico in materia di contrasto all’omofobia considerandola «una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo». Essa menziona una serie di fenomeni nei quali si manifesterebbe in modo particolare l’omofobia: «discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all’obiezione di coscienza»
Il riferimento alla paura potrebbe far pensare ad una fobia in senso stretto, ma poiché l’omofobia non risulta citata in alcuna classificazione né manuale psicodiagnostico internazionale di psicopatologia, si preferisce definire tale termine come l’avversione irrazionale verso gli omosessuali e l’omosessualità fondata sul pregiudizio, ossia su un giudizio sociale negativo di condanna che spesso può manifestarsi con atteggiamenti di discriminazione e violenza (può andare dalla semplice battuta, alla derisione ed offesa verbale, fino alle minacce e aggressioni fisiche, dall’esprimere disagio in presenza di omosessuali, al sentirsi disgustati o arrabbiati dai loro comportamenti). Coloro che ne sono affetti possono sviluppare emozioni negative, anche intense, come ansia, paura, disgusto e rabbia nei riguardi delle persone che incarnano la loro paura: gli omosessuali. E questo anche quando la persona omofoba è lei stessa omosessuale (omofobia interiorizzata).
L’omofobia interiorizzata è definita dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali come: “forma di omofobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittima le stesse persone omosessuali”. Tale fenomeno può comportare complicazioni psicologiche e può essere fonte di psicopatologia. Spesso la persona omosessuale che vive all’interno di un contesto omofobico può aver bisogno di un supporto psicologico che la aiuti ad affermare la propria identità sessuale, ad esplicitare e difendere la propria essenza.
Quasi tutti gli omosessuali nello sviluppo di crescita sperimentano atteggiamenti ed emozioni negative verso la propria omosessualità: rabbia, ansia, senso di colpa, di inadeguatezza, di inferiorità. In alcuni casi l’omofobia interiorizzata può causare lo sviluppo di una psicopatologia. Infatti, nei “diversi” che vivono in un ambiente spesso a loro ostile e stressante, si ha una maggior incidenza di sintomi depressivi, ansiosi, attacchi di panico e tentativi di suicidio rispetto agli eterosessuali. Essere vittime di discriminazione, aspettarsi di essere rifiutati dai coetanei, essere allontanati e tenuti ai margini, sentirsi diversi ed isolati, nascondere la propria inclinazione sessuale vivendola in segreto o nascondendola sotto uno stile di vita convenzionale, sentire la mancanza di approvazione verso il proprio comportamento sessuale, vergognarsi delle proprie pulsioni, sono tutti fattori di stress (minority stress) reiterati, costanti e permanenti. L’insieme di queste condizioni intensifica la percezione della propria diversità rispetto agli altri, accresce la discrepanza tra l’immagine pubblica e quella intima, privata.
La condizione di omofobia si sviluppa nel tempo, è una questione socio-educativa, dipende cioè in larga parte dall’educazione (familiare, sociale, scolastica, religiosa) introiettata nel periodo di sviluppo in cui una persona acquisisce convinzioni su ciò che è corretto e definisce la propria scala valoriale e i comportamenti sociali considerati accettabili. Infatti, tale corpus di informazioni e credenze struttura in modo permanente l’atteggiamento con cui ciascuno guarda al mondo, lo approccia, lo giudica.
Ecco allora che la convinzione di essere gay può essere definita sbagliata e criticata prima che l’individuo abbia gli strumenti psicologici ed emotivi per comprendere a pieno il significato dell’omosessualità. Sullo sviluppo di tale pensiero spesso incide anche una componente religiosa che “condanna” tale status considerandolo innaturale e contrario alle norme sociali. Per questi motivi spesso gli omosessuali si sentono oggetto di pregiudizio e discriminazione sociale e tale pressione, soprattutto sugli adolescenti fragili e ancora poco strutturati, può far sperimentare vissuti di diversità, sofferenza emotiva, isolamento sociale, rifiuto di uscire allo scoperto e, nei casi più gravi, indurre a commettere atti suicidari. È necessario che soprattutto gli adolescenti omosessuali si facciano sostenere da uno psicoterapeuta a Torino lungo il percorso di accettazione del proprio orientamento sessuale (coming out) per evitare di percepirsi inferiori, malati, “difettosi”. Processo che può essere difficile e fonte di sofferenza. Così essi possono diventare gradualmente consapevoli dei sentimenti di attrazione ed amore provati per le persone dello stesso sesso, vivere la propria sessualità, farsi accettare dagli altri.