Il “democristiano scomodo” non c’è più da trent’anni, ma le sue idee sono vive e lottano in mezzo a noi. Si potrebbe sintetizzare, brutalmente, così la serata di venerdì sera che ha visto affollare la sala del Polo del Novecento di Corso Valdocco a Torino per la presentazione del corposo volume biografico di Giorgio Aimetti dedicato alla figura di Carlo Donat Cattin, il leader della sinistra sociale democristiana scomparso nel marzo 1991, e che ha visto sfilare per la presentazione i big della tradizione “forzanovista” piemontese -e non solo- di ieri e di oggi.
Si perchè, se la corrente di Donat Cattin, “Forze Nuove” appunto, non sopravvisse alla scomparsa del suo fondatore e poi alla liquefazione della Democrazia Cristiana di cui fu una parte singolare quanto essenziale, il “fil rouge” della serata torinese è stata una dimostrazione che le idee e i valori di quello che un tempo veniva definito “sindacalismo bianco” sono ancora tutti sul tavolo e parlano alla società odierna.
Del resto, per chi avesse un pò di memoria, quella di ieri sera è stata una classica liturgia democristiana, dove nulla veniva lasciato al caso. L’introduzione di Claudio Donat Cattin, a dimostrazione dell’ imprimatur sulla serata. La scelta di Gianfranco Morgando, discepolo dell’ex ministro e già parlamentare di lungo corso, come “sacerdote ufficiante” chiamato a coordinare il dibattito. Il contributo scientifico di Bartolo Gariglio, docente universitario e storico del movimento cattolico italiano, per inquadrare il peso storico dell’ex leader Dc. Le “bocche di fuoco” istituzionali (Fabrizio Palenzona, Giovanni Quaglia, Alessio Ferraris, Enrico Borghi) per tratteggiarne sia le caratteristiche sia l’attualità di pensiero e di comportamenti. Fino alla chiusura di Guido Bodrato, che ne ha tratteggiato i rilievi politici di ieri pensando anche all’oggi.
La carrellata dell’esperienza umana di Carlo Donat Cattin (partigiano, giornalista, sindacalista cattolico, parlamentare democristiano e poi vicesegretario della Balena Bianca, fino al governo nei difficili anni dell’autunno caldo e a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘90) da un lato ha fatto emergere caratteristiche conosciute del combattente politico piemontese, e dall’altro ne ha rispolverato le caratteristiche umane che ne facevano un leader.
Del resto, per chi avesse un pò di memoria, quella di ieri sera è stata una classica liturgia democristiana, dove nulla veniva lasciato al caso. L’introduzione di Claudio Donat Cattin, a dimostrazione dell’ imprimatur sulla serata. La scelta di Gianfranco Morgando, discepolo dell’ex ministro e già parlamentare di lungo corso, come “sacerdote ufficiante” chiamato a coordinare il dibattito. Il contributo scientifico di Bartolo Gariglio, docente universitario e storico del movimento cattolico italiano, per inquadrare il peso storico dell’ex leader Dc. Le “bocche di fuoco” istituzionali (Fabrizio Palenzona, Giovanni Quaglia, Alessio Ferraris, Enrico Borghi) per tratteggiarne sia le caratteristiche sia l’attualità di pensiero e di comportamenti. Fino alla chiusura di Guido Bodrato, che ne ha tratteggiato i rilievi politici di ieri pensando anche all’oggi.
La carrellata dell’esperienza umana di Carlo Donat Cattin (partigiano, giornalista, sindacalista cattolico, parlamentare democristiano e poi vicesegretario della Balena Bianca, fino al governo nei difficili anni dell’autunno caldo e a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘90) da un lato ha fatto emergere caratteristiche conosciute del combattente politico piemontese, e dall’altro ne ha rispolverato le caratteristiche umane che ne facevano un leader.
Quando Bodrato ricorda il “rapporto di non subalternità della politica all’economia” nel complesso rapporto tra la Dc di Donat Cattin e la FIAT, ricorda ma al tempo stesso richiama ad una esigenza odierna. Così come quando affronta il tema della “programmazione come ruolo della politica per uno sviluppo diffuso”, che porterà Donat Cattin a sostenere al momento della nascita delle Regioni un ruolo per Torino che promuovesse la diffusione dello sviluppo su tutto il Piemonte anzichè attrarlo tutto su se stessa, fino a conquistarsi l’astio delle province (e qui Bodrato ricorda l’esito delle ultime elezioni regionali come riprova del fenomeno). Giungendo infine a richiamare alle caratteristiche dell’azione di governo di Donat Cattin (“la stagione del riformismo alla prova”) e il fatto che “la politica è affrontare gli imprevisti”, che nell’esperienza personale del leader democristiano segnarono nel profondo la sua figura e quella della sua famiglia con la tragedia del figlio Marco. Capacità di governare gli imprevisti con il riformismo, lascia intendere Bodrato, è la cifra di ciò che serve all’Italia oggi nella stagione della pandemia.
Insomma, chi pensava che la presentazione della ponderosa opera di Aimetti (533 pagine, Rubbettino Editore) fosse solo una carrellata di passatismo, se ne sarà andato deluso da corso Valdocco. Chi invece è convinto della caratteristica rilevata da Quaglia e poi da Borghi, citando Mahler, che bisogna conservare il fuoco e non adorare le ceneri, ne avrà ricavato qualche motivo di consolazione, se non addirittura di speranza.