Nei giorni scorsi, sui media:
Video di una banda di ragazzi incappucciati, con pistole, banconote e stupefacenti in un condominio di Santhià;
Aggredito “per gioco” un 20enne a Borgo San Dalmazzo. Fuga dell’aggressore, serie conseguenze per la vittima;
Di recente a Busca: “3 ragazzi ai domiciliari per lancio di sassi contro vetture in corsa".
Tutti stupiti, rammaricati. Pochi tentano analisi di senso.
Ma cosa sta accadendo?
Se da una parte appare ragionevole pensare che il Covid abbia compresso la socialità e penalizzato la cosiddetta generazione Z, almeno per onestà intellettuale, occorrerebbe fare memoria.
Si pensi alla quantità di adolescenti e giovani che passavano e passano ancora ore e ore davanti a consoles e smartphone, con buona pace di molti genitori.
E si aggiungano le modalità con cui si sono concentrati disagi e problemi nei quartieri delle città, secondo politiche ereditate dagli anni 70: pochi pensano alla “sostenibilità”, oltre che in chiave ambientale come bisogno di ripensare le modalità di convivenza.
Si rifletta sulla concezione della REGOLA e della conseguente SANZIONE (anche educativa) in caso di trasgressione: in nome del “tutto è permesso” e del “diritto”, si sono dimenticati concetti come “NOI”, “DOVERE”, “SENSO del LIMITE”.
Un tempo il “NO” e le frustrazioni erano considerati utili per crescere, oggi fallimento.
Risultato: tutti siamo in grado di fare e dire qualsiasi cosa, al di la delle competenze in possesso e non ci si può concedere di avere carenze, di chiedere aiuto agli altri. Umiltà è diventata sinonimo di debolezza.
SCONTRO e PREVARICAZIONE, soprattutto con la forza del branco, contenitore di frustrazione, luogo di rassicurazione e rinforzo in cui si annullano individualità e fragilità, prevalgono su INCONTRO e CONFRONTO. L'omologazione di massa prevale sul rispetto della diversità: si arriva a malapena a tollerare, perché occorre prevalere, farsi vedere, cavalcare il "così fan tutti" per non "restare fuori" dal gruppo e da ciò che appare, anche se inconsistente.
Il tutto notevolmente amplificato dall'esaltazione da parte dei mezzi di comunicazione di modelli “immediati” e con meno dispendio possibile". E i social hanno sostituito la relazione, spesso mortificandola e schermandola.
Le istituzioni, che, insieme alle famiglie, dovrebbero essere “argine”, appaiono deboli in merito al "costume" diffuso (si pensi solo agli orari concessi alla movida con conseguenti incidenti stradali, disturbo della quiete pubblica, atti vandalici, lo sballo incontrollato dei protagonisti), spesso impreparate di fronte al moltiplicarsi dei fenomeni di violenza e di disagio.
Accanto a genitori assenti, smarriti o incapaci di imporsi con autorevolezza, non ne mancano altri che vivono la prole come "prolungamento del se", ritenendo fuorvianti per lo "standard familiare immaginato" i risultati "non all'altezza" ottenuti dai figli, contribuendo più o meno inconsapevolmente ad alimentare personalità piuttosto fragili e insicure.
E gli addetti ai lavori educativi?
Negli anni si sono sempre più diffusi interventi basati su tecniche preconfezionate, tecnicismi rassicuranti e funzionali forse più agli operatori che ai destinatari (alla luce degli esiti), ponendo spesso in secondo piano, purtroppo, ascolto, empatia, capacità relazionali.
E molti enti deputati hanno pure a che fare con carenze strutturali, di organico, con necessità di ricambio generazionale e di contenimento del burn out per un lavoro sempre più frammentato e faticoso; senza contare la mancata valorizzazione degli operatori educativi, scolastici da un punto di vista economico, ma soprattutto professionale. Perché tutti ormai sono in grado di insegnare, di capirne di psicologia e di didattica, grazie all’abbordabile “Università di internet”.
Che fare allora? Non esistono soluzioni semplici! Ma non si può ricondurre sempre tutto al bisogno di maggior sicurezza urbana (pur necessaria!), appellandosi alle forze dell’ordine o installando più telecamere.
Occorre un ripensamento degli approcci educativi da parte di tutti: famiglie, enti preposti, istituzioni, singoli operatori. ASCOLTO vero, OSSERVAZIONE e APPROFONDIMENTO di ciò che si vede e soprattutto di ciò che appare meno, andrebbero perseguiti costantemente; secondo criteri di complessità, analizzando i significati alla base, badando ai prodromi e alle conseguenze sistemiche degli eventi, tralasciando slogan facili e disfunzionali, anche se calamite di applausi.
Soprattutto accettando, in chiave educativa, che il limite e l’errore, in quanto peculiarità umane, costituiscono parti ineludibili di una crescita matura, un “luogo” di apprendimento, non da reprimere o eludere, ma da cui ripartire. Senza dimenticare la necessità di ricostruire confini pedagogici, basati su regole chiare e credibili entro cui muoversi, come terreno fertile su cui rifondare una convivenza civile in un contesto in cui NON TUTTO è SEMPRE DOVUTO.
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