Immaginate oggi un elefante a Torino, magari in un parco. Utopia? E invece no, almeno fino a "qualche anno fa". Sì, avete capito bene: per diversi anni in territorio sabaudo, e precisamente alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, visse un elefante. Ma in che modo arrivò lì? E perché?
Era il 1827 quando il Vicerè d’Egitto Muhammad Alì decise di donare, all’allora Sovrano Carlo Felice, un elefante, in cambio di 50 pecore Merinos. Fritz giunse così a Stupinigi a piedi, dopo un viaggio in nave da Alessandria d’Egitto a Genova.
Al suo arrivo, l’animale aveva 27 anni ed era molto ben nutrito, cibandosi giornalmente di “50 pani al giorno di 3 libre genovesi cadauno...24 cavoli lombardi...o invece 4 libbre di butiro con 16 di riso cotto, zucchero nell’acqua di libre 5, vino pinte una, due al giorno”.
E, come ulteriormente dichiarato da Franco Andrea Bonelli, Giuseppe Genè e Filippo de Filippi, che si susseguirono nella direzione del Museo Zoologico di Torino, non disdegnò nemmeno di sigari, ovviamente spenti, come ulteriore elemento nel suo già pesante, e soprattutto inadeguato, regime alimentare. Regime alimentare che gli provocò diverse indigestioni, la peggiore delle quali avvenne nel 1830 e fu “curata” con abbondante vino di Malaga.
Il pachiderma, durante la sua permanenza a Stupinigi, venne ospitato nell’ex scuderia della Palazzina di Caccia, dove venne allestito un recinto, mentre nel cortile esterno venne installata una piscina, dotata di scivolo, per le sue cure quotidiane.
Fritz fu una vera attrazione per il luogo: nel 1835 il pittore Enrico Gonin lo dipinse durante una parata, ed ebbe anche l’onore di essere immortalato nel primo dagherrotipo con un soggetto animale. La sua esistenza trascorse tranquilla per 25 anni, fino a quando morì il suo guardiano storico.
Da quel momento si narra fosse iniziata la sua depressione, che raggiunse l’apice quando, dopo essere stato colpito da un tridente – non si sa se accidentalmente o volontariamente – per opera del suo nuovo guardiano, Fritz afferrò quest’ultimo con la proboscide e lo scaraventò a terra, uccidendolo.
Quell’episodio decretò anche la fine dell’esistenza dello stesso elefante che, l’8 novembre 1852, venne soppresso per mezzo di asfissia da monossido di carbonio.
Tassidermizzato, se ne conservano i resti presso il Museo di Scienze Naturali di Torino, dove è visibile ancora oggi.
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