/ Attualità

Attualità | 29 giugno 2025, 07:00

L’Italia in movimento: dalle campagne alle fabbriche del Nord

L’Italia in movimento: dalle campagne alle fabbriche del Nord

Tra il 1950 e il 1970, l’Italia cambiò radicalmente. Mentre le ferite della guerra erano ancora visibili, le città industriali del Nord iniziarono a crescere a ritmi impressionanti. Era il tempo del "miracolo economico": produzione, export, infrastrutture e consumi in pieno boom. Ma tutto questo richiedeva una cosa: manodopera.

Il Nord, con i suoi poli industriali in espansione, attirò milioni di italiani dal Sud, dalle isole, dall’Appennino e perfino da aree rurali del Settentrione. Non fu solo uno spostamento geografico, ma una migrazione epocale che ridisegnò l’Italia: nuove città, nuovi quartieri, nuove identità.

Secondo l’Istat, tra il 1955 e il 1971 si mossero circa 9 milioni di persone all’interno del Paese, di cui 4 milioni verso il Nord-Ovest. Erano in gran parte giovani sotto i 30 anni, spesso accompagnati da tutta la famiglia: fu una migrazione familiare in cui spesso non si trattava solo di uomini in cerca di lavoro, ma di interi nuclei che si trasferivano per sempre.

Piemonte: il cuore industriale del cambiamento

Torino: la capitale operaia d’Italia

Torino, negli anni ’50 e ’60, era la regina dell’industria italiana. Nel 1951 contava poco più di 700.000 abitanti. Vent’anni dopo, erano oltre 1.200.000: una crescita del 70% in meno di due decenni. La gran parte di questo aumento fu dovuta all'immigrazione dal Sud.

FIAT, l’impero automobilistico torinese, assumeva senza sosta. Solo tra il 1960 e il 1970, si stima che oltre 250.000 lavoratori furono inseriti nei suoi stabilimenti. L’enorme fabbrica di Mirafiori, tra le più grandi d’Europa, produceva decine di migliaia di veicoli ogni anno. Ma produceva anche speranze, contratti, salari.

I treni che arrivavano a Porta Nuova e Porta Susa scaricavano ogni giorno centinaia di nuovi arrivati. La città rispondeva costruendo a ritmo frenetico: quartieri come Le Vallette, Mirafiori Sud, Barriera di Milano si riempivano di palazzoni, molti dei quali senza scuole, centri sociali, spazi verdi. Eppure, in quei caseggiati nacque una nuova umanità.

Molti migranti erano analfabeti o con bassa scolarizzazione. Le scuole serali si moltiplicarono. I figli imparavano presto l’italiano e il dialetto torinese, diventando il vero ponte tra i genitori e la nuova città.

Anche la discriminazione era forte. Il termine "terroni" era sulla bocca di molti. Ma la fatica comune nelle fabbriche — il sudore, il fischio delle sirene, gli scioperi — creò lentamente una solidarietà trasversale. La CGIL e la CISL, la Chiesa cattolica, le ACLI e le parrocchie di quartiere furono fondamentali per l’integrazione.

L’hinterland e le città di provincia

Il fenomeno non toccò solo Torino. La cosiddetta “cintura industriale” — comuni come Collegno, Grugliasco, Nichelino, Settimo Torinese, Rivoli — vide crescite demografiche impressionanti. Settimo passò da 24.000 abitanti nel 1951 a 60.000 nel 1971. Lavoravano nelle officine, nei laboratori, nei servizi, spesso collegati al mondo FIAT.

Anche città come Novara, con il suo settore tessile e chimico, e Vercelli, ancora ancorata alla risicoltura ma in fase di meccanizzazione agricola, attrassero lavoratori interni. Cuneo e Asti, più legate al settore primario, sperimentarono migrazioni stagionali per il raccolto o per l’edilizia, spesso da aree rurali povere della Campania e della Sicilia interna.

In queste realtà più piccole, l’integrazione fu in parte più semplice grazie alle dimensioni umane e alla maggiore prossimità culturale. Tuttavia, anche qui non mancarono episodi di discriminazione o di marginalizzazione nei piccoli centri.

Liguria: lavoro tra mare, cantieri e acciaierie

Genova: porto d’Italia, crocevia del lavoro

Genova era un’altra grande calamita del dopoguerra. Con il suo porto — uno dei più trafficati del Mediterraneo — e le sue industrie pesanti, attirava manodopera come una metropoli. Dal 1951 al 1971, la popolazione salì da 650.000 a 850.000 abitanti, nonostante lo spazio disponibile fosse limitato.

Cantieristica navale, meccanica, siderurgia, trasporti: settori che richiedevano forza lavoro continua. Ansaldo, Italsider, ERG e numerose ditte dell’indotto assunsero migliaia di operai. Molti venivano dalla Sicilia, dalla Basilicata, dall’Abruzzo, ma anche dal Piemonte rurale.

I quartieri operai di Cornigliano, Sestri Ponente e Sampierdarena esplosero: edifici tirati su in fretta, pensioni a ore, baraccopoli spontanee. Le tensioni sociali erano forti, soprattutto per la casa: negli anni ’60, Genova fu teatro di importanti proteste per l’edilizia popolare, come nel caso del "movimento dei senza tetto".

Anche qui, come a Torino, il sindacato giocò un ruolo chiave. Le sezioni del PCI e le associazioni cattoliche furono i primi spazi di incontro tra locali e migranti.

La Spezia, Savona e le città medie

Anche La Spezia, città portuale e sede di un importante arsenale militare, conobbe una forte crescita legata all’industria navale e all’economia della difesa. Nel 1951 contava circa 76.000 abitanti, che divennero oltre 120.000 vent’anni dopo. I cantieri di Muggiano e le basi militari garantivano impiego continuo, anche se spesso a condizioni faticose.

Savona, invece, era un centro industriale diversificato: carbone, chimica, ceramica, meccanica. Lavoratori arrivavano dalla Calabria e dall’entroterra ligure. Anche qui l’edilizia popolare non teneva il passo, e i conflitti urbani erano frequenti.

La Liguria fu anche teatro di esperimenti di urbanistica sociale: i quartieri CEP (Comitati Edilizia Popolare) nacquero per dare risposte a un’emergenza abitativa sempre più pressante. Non sempre riuscirono a creare inclusione, ma furono un primo passo verso una nuova idea di città.

Lombardia: la locomotiva d’Italia

Milano: città in costruzione

Negli anni del boom, Milano crebbe a ritmi vertiginosi: da 1,2 a oltre 1,7 milioni di abitanti tra il 1951 e il 1971, quasi 3 milioni con l’hinterland. Fabbriche come Pirelli, Magneti Marelli, Breda e Falck, ma anche moda, finanza e media attiravano migliaia di migranti, soprattutto dal Sud e dal Nord-Est. Nel 1971 un milanese su quattro era nato fuori regione. Nacquero quartieri periferici come Quarto Oggiaro e Gratosoglio, abitati da operai e famiglie in cerca di futuro.

Sesto San Giovanni divenne la “Stalingrado d’Italia”, simbolo della classe operaia e della sinistra, mentre comuni come Rozzano, Rho e Corsico si trasformarono da borghi agricoli a città industriali. Milano era un cantiere continuo, costruita giorno dopo giorno dalle mani dei migranti. Tra razzismo e solidarietà, lentamente la città cambiava volto.

Varese e Mantova: lavoro e identità locali

La Lombardia non è solo Milano. Se il capoluogo fu il cuore pulsante del boom economico, anche le città medie e piccole della regione giocarono un ruolo decisivo nei processi di industrializzazione e immigrazione interna.

Varese, sede dell’Aermacchi, della Ignis e di numerose aziende elettroniche, visse una forte espansione economica. L’arrivo di manodopera specializzata e non specializzata da regioni come Veneto, Abruzzo e Puglia aiutò la crescita dell’economia industriale e dei servizi. A Varese e provincia, tra il 1951 e il 1971, la popolazione crebbe di oltre 100.000 unità.

Mantova, invece, ebbe un percorso più ibrido. Qui l’agricoltura — ancora forte negli anni ’50 — si industrializzò con la meccanizzazione e lo sviluppo di poli chimici e meccanici, come la Montedison. Molti lavoratori provenivano dal Polesine e dall’Appennino tosco-emiliano, ma anche dalla Calabria e dalla Lucania.

Le città piccole offrivano opportunità più “umane”, ma spesso meno strutturate: pochi alloggi, meno sindacati forti, scarsa assistenza. Tuttavia, in queste realtà si formarono anche i primi esempi di integrazione completa: famiglie miste, migranti eletti nei consigli comunali, nuovi imprenditori “venuti da lontano”.

Valle d’Aosta: piccola regione, grande trasformazione

La Valle d’Aosta, storicamente terra di emigrazione, conobbe nel dopoguerra un’inversione di rotta.

Nel dopoguerra, la regione vide una forte crescita del settore idroelettrico, minerario e dell’edilizia. Le grandi dighe di Cignana, Beauregard, Place-Moulin, e i cantieri autostradali e ferroviari attirarono manodopera da Piemonte, Veneto e, in misura minore, dal Sud.

Aosta, con appena 20.000 abitanti nel 1951, superò i 30.000 entro il 1971. Ma furono i comuni limitrofi — come Pont-Saint-Martin, Verrès, Donnas — a registrare i maggiori aumenti percentuali.

Il lavoro era duro: alta montagna, inverno lungo, alloggi precari. I cantieri edili erano tra i più pericolosi del Paese. Ma lo stipendio era buono, e molti si fermarono. Alcuni migranti, terminato il contratto, tornarono al Sud; altri comprarono casa, fecero impresa, diedero vita a cooperative edilizie.

In una regione bilingue (italiano e francese), l’integrazione linguistica fu complessa. Tuttavia, le scuole bilingui aiutarono i figli dei migranti a integrarsi, e negli anni ’70 comparvero anche le prime esperienze di associazionismo interculturale.

Un’Italia che si è fatta in viaggio

La grande migrazione interna del dopoguerra non fu solo un trasferimento di masse: fu l’atto di nascita dell’Italia moderna. Un Paese urbano, industriale, meticcio, cresciuto grazie a milioni di donne e uomini in cerca di futuro. Non mancarono difficoltà — povertà, fatica, razzismo — ma fu anche un’esperienza di costruzione collettiva. Oggi viviamo nelle città che quelle generazioni hanno costruito. Ricordare quel passato ci aiuta a leggere il presente: perché, in fondo, siamo stati tutti nuovi arrivati.

Il nostro gruppo editoriale è fiero di essere presente proprio in tutte le città citate in questo viaggio: Torino, Novara, Vercelli, Cuneo, Genova, Savona, Mantova, Varese e Aosta. Città che, grazie ai tanti volti arrivati da lontano, hanno saputo diventare laboratori viventi di convivenza e futuro.

Valeria Toscano

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GIUGNO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium